Il pazzo glorioso, Venezia, Fenzo, 1753

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 SCENA II
 
 FLAMINIO inseguendo due masnadieri e detto
 
 Flaminio
55Indegni non fugite.
 don Ferrante
                                      Ah vil codardo.
 Teco la voglio; prendi questo colpo,
 to’ quest’altro e quest’altro empio marrano,
 non sai che tieni a fronte il grande Orlando?
 Oimè son sdrucciolato, aiuto, aiuto,
60che se no il grande Orlando è già perduto.
 Flaminio
 Ferma villan.
 don Ferrante
                            Dagli a quel furfante.
 Flaminio
 Fuggisti è ver? Ma me la pagherai.
 S’alzi signor.
 don Ferrante
                           S’alzi? S’alzi una fava,
 ho l’ossa eroicamente ben pistate.
 Flaminio
65Vi portaste da prode.
 don Ferrante
 Sì ma da prode ancor mi son toccate.
 Flaminio
 La faceste da eroe.
 don Ferrante
                                     Dimmi una cosa.
 Ci dà il caso che Orlando
 abbia avute le sleppe qualche volta?
 Flaminio
70Oh molte; e con Gradasso e sopra il ponte
 allor che combaté con Rodomonte.
 don Ferrante
 Da vero? S’è coss’è gran cosa
 che quel vil mascalzone
 anche a me refilato abbia il giubbone.
75Ma come v’è accaduto un tale influsso?
 Flaminio
 Dirò, son palladino e fo chiamarmi
 il cavalier del Foco.
 don Ferrante
                                      O gioia mia!
 Io pur faccio lo stesso.
 Flaminio
                                           Ne gioisco.
 Vo cercando avventure e qua arrivato
80con quei due masnadier la pugna presi;
 il successo osservaste.
 don Ferrante
 Ed ho conseguito
 anch’io l’onor d’aver la parte mia
 che ancora mi fa male. Or cavaliero
85t’invito nel mio albergo.
 Flaminio
                                              Ed io l’accetto.
 don Ferrante
 Ti starai sempre meco?
 Flaminio
                                              Ah no; marcire
 non vo’ nell’ozio imbelle; io son guerriero;
 aspira grandi imprese il mio gran cuore
 e vo’ sol generoso
90fra disaggi acquistar gloria ed onore.
 
    So che corre in campo armato
 per l’onore il fier guerriero;
 so che solca il buon nocchiero
 con la speme audace il mar.
 
95   So ch’a un core inamorato
 l’ozio è solo d’alimento;
 ma pur so ch’a me è tormento,
 perché il ben sa dilungar. (Partono)