L’olimpiade, Venezia, Rossetti, 1738

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 SCENA VII
 
 MEGACLE fra le guardie e detti
 
 Licida
1285Ah vieni illustre esempio
 di verace amistà. Megacle amato,
 caro Megacle vieni.
 Megacle
                                      Ah qual ti trovo,
 povero prence.
 Licida
                              Il rivederti in vita
 mi fa dolce la morte.
 Megacle
                                        E che mi giova
1290una vita che invano
 voglio offrir per la tua? Ma molto innanzi,
 Licida, non andrai. Noi passeremo
 ombre amiche, indivise il guado estremo.
 Licida
 O delle gioie mie, de’ miei martiri,
1295finché piacque al destin, dolce compagno,
 separarci convien. Poiché siam giunti
 agli ultimi momenti,
 quella destra fedel porgimi e senti;
 sia preghiera o comando
1300vivi; io bramo così. Pietoso amico,
 chiudimi tu di propria mano i lumi,
 ricordati di me. Ritorna in Creta
 al padre mio... Povero padre! A questo
 preparato non sei colpo crudele.
1305Deh tu l’istoria amara
 raddolcisci narrando. Il vecchio afflitto
 reggi, assisti, consola,
 lo raccomando a te. Se piange, il pianto
 tu gli asciuga sul ciglio
1310e in te, se un figlio vuol, rendigli un figlio.
 Megacle
 Taci. Mi fai morir.
 Clistene
                                     Non posso, Alcandro,
 resister più. Guarda que’ volti, osserva
 que’ replicati amplessi,
 que’ teneri sospiri e que’ confusi
1315fra le lagrime alterne ultimi baci.
 Povera umanità!
 Alcandro
                                  Signor, trascorre
 l’ora permessa al sacrificio.
 Clistene
                                                    È vero.
 Olà, sacri ministri,
 la vittima prendete. E voi custodi
1320dall’amico infelice
 dividete colui.
 Megacle
                             Barbari. Ah voi
 volete dal mio sen svelto il cor mio.
 Licida
 Ah dolce amico!
 Megacle
                                Ah caro prence!
 Licida, Megacle a due
                                                               Addio.
 Licida
 
    Prendi tu l’estremo addio, (A Megacle)
1325tu perdona il fallo mio, (A Clistene)
 chi di voi trova il mio bene
 lo consoli per pietà.
 
    Vado intrepido alla morte
 né mi lagno della sorte,
1330sono giuste le mie pene
 per punir mia infedeltà.
 
 Clistene
 O degli uomini padre e degli dei,
 onnipotente Giove,
 al cui cenno si muove
1335il mar, la terra, il ciel, di cui ripieno
 è l’universo e dalla man di cui
 pende d’ogni cagione e d’ogni evento
 la connessa catena;
 questa che a te si svena
1340sacra vittima accogli. Essa i funesti,
 che ti risplendono in man, folgori arresti.