L’olimpiade, Venezia, Rossetti, 1738

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 SCENA IV
 
 Vasta campagna alle falde d’un monte; ponte rustico sul fiume Alfeo, composto di tronchi d’alberi rozzamente convessi; capanne pastorali, con veduta in lontano della città d’Olimpia.
 
 ARGENE in abito di pastorella, ARISTEA con seguito
 
 coro
 
125   O care selve, o cara,
 felice libertà.
 
 Argene
 
    Qui se un piacer si gode
 parte non v’ha la frode
 ma lo condisce a gara
130amore e fedeltà.
 
 coro
 
    O care selve, o cara,
 felice libertà.
 
 Argene
 
    Qui poco ogniun possiede
 e ricco ogniun si crede
135né più bramando impara
 che cosa è povertà.
 
 coro
 
    O care selve, o cara,
 felice libertà.
 
 Argene
 
    Senza custodi o mura
140la pace è qui sicura
 che l’altrui voglia avara
 onde allettar non ha.
 
 coro
 
    O care selve, o cara,
 felice libertà.
 
 Argene
 
145   Qui gl’innocenti amori
 di ninfe...
 
                     Ecco Aristea.
 Aristea
                                               Siegui, o Licori.
 Argene
 Già il rozzo mio soggiorno
 torni a render felice, o principessa?
 Aristea
 Ah fuggir da me stessa
150potessi ancor come dagli altri. Amica,
 tu non sai qual funesto
 giorno per me sia questo.
 Argene
                                                 È questo un giorno
 glorioso per te. Di tua bellezza
 qual può l’età futura
155prova aver più sicura? A conquistarti
 nell’olimpico agone
 tutto il fior della Grecia oggi s’espone.
 Aristea
 Ma chi bramo non v’è. Deh si proponga
 men funesta materia
160al nostro ragionar. Dimmi, Licori.
 Gl’interrotti lavori
 riprendi e parla. Incominciasti un giorno
 a narrarmi i tuoi casi. Il tempo è questo
 di proseguirgli. Il mio dolor seduci,
165raddolcisci, se puoi,
 i miei tormenti in rammentando i tuoi.
 Argene
 Se avran tanta virtù, senza mercede
 non va la mia costanza. A te già dissi
 che Argene è il nome mio, che in Creta io nacqui
170d’illustre sangue e che gli affetti miei
 fur più nobili ancor de’ miei natali.
 Aristea
 So fin qui.
 Argene
                       De’ miei mali
 ecco il principio. Del cretense soglio
 Licida, il regio erede,
175fu la mia fiamma ed io la sua. Celammo
 prudenti un tempo il nostro amor ma poi
 l’amor s’accrebbe e, come in tutti avviene,
 la prudenza scemò. Comprese alcuno
 il favellar de’ nostri sguardi, ad altri
180i sensi ne spiegò. Di voce in voce
 tanto in breve si stese
 il maligno romor che il re l’intese.
 Se ne sdegnò, sgridonne il figlio; a lui
 vietò di più vedermi e col divieto
185gliene accrebbe il desio, che aggiunge il vento
 fiamme alle fiamme e più superbo un fiume
 fanno gli argini opposti. Ebbro d’amore
 freme Licida e pensa
 di rapirmi e fuggir. Tutto il disegno
190spiega in un foglio; a me l’invia. Tradisce
 la fede il messo e al re lo reca. È chiuso
 in custodito albergo
 il mio povero amante. A me s’impone
 che a straniero consorte
195porga la destra. Io lo ricuso. Ogniuno
 contro me si dichiara. Il re minaccia,
 mi condannan gli amici, il padre mio
 vuol che al nodo acconsenta. Altro riparo
 che la fuga o la morte
200al mio caso non trovo. Il men funesto
 credo il più saggio e l’eseguisco. Ignota
 in Elide pervenni. In queste selve
 mi proposi abitar. Qui fra pastori
 pastorella mi finsi; or son Licori.
205Ma serbo al caro bene
 fido in sen di Licori il cor d’Argene.
 Aristea
 Inver mi fai pietà. Ma la tua fuga
 non approvo però. Donzella e sola
 cercar contrade ignote,
210abbandonar...
 Argene
                             Dunque dovea la mano
 a Megacle donar?
 Aristea
                                   Megacle! (Oh nome!)
 Di qual Megacle parli?
 Argene
                                            Era lo sposo
 questi che il re mi destinò. Dovea
 dunque obbliar...
 Aristea
                                   Ne sai la patria?
 Argene
                                                                   Atene.
 Aristea
215Come in Creta pervenne?
 Argene
                                                  Amor vel trasse,
 com’ei stesso dicea, ramingo, afflitto.
 Nel giungervi fu colto
 da stuol di masnadieri e oppresso ormai
 la vita vi perdea. Licida a sorte
220vi si avvene e ’l salvò. Quindi fra loro
 fidi amici fur sempre. Amico al figlio,
 fu noto al padre e dal reale impero
 destinato mi fu, perché straniero.
 Aristea
 Ma ti ricordi ancora
225le sue sembianze?
 Argene
                                    Io l’ho presente. Avea
 bionde le chiome, oscuro il ciglio, i labbri
 vermigli sì ma tumidetti, e forse
 oltre il dover, gli sguardi
 lenti e pietosi, un arrossir frequente,
230un soave parlar... Ma... Principessa
 tu cambi di color! Che avvenne?
 Aristea
                                                             Oh dio!
 Quel Megacle che pingi è l’idol mio!
 Argene
 Che dici?
 Aristea
                     Il vero. A lui
 lunga stagion già mio segreto amante,
235perché nato in Atene,
 niegommi il padre mio né volle mai
 conoscerlo, vederlo,
 ascoltarlo una volta. Ei disperato
 da me partì; più nol rividi. E in questo
240punto da te so de’ suoi casi il resto.
 Argene
 Inver sembrano i nostri
 favolosi accidenti.
 Aristea
                                    Ah s’ei sapesse
 ch’oggi per me qui si combatte!
 Argene
                                                            In Creta
 a lui voli un tuo servo e tu procura
245la pugna differir.
 Aristea
                                  Come?
 Argene
                                                  Clistene
 è pur tuo padre; ei qui presiede eletto
 arbitro delle cose; ei può se vuole...
 Aristea
 Ma non vorrà.
 Argene
                             Che nuoce,
 principessa, il tentarlo?
 Aristea
                                              E ben, Clistene
250vadasi a ritrovar.
 Argene
                                  Fermati. Ei viene.