Le virtuose ridicole, Venezia, Bettinelli, 1752

Vignetta Frontespizio
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Cortile.
 
 AFFRODISIA e ser SACCENTE
 
 ser Saccente
 Sapientissima donna,
 onor del vostro sesso,
 se la filosofia davvero amate,
610dunque i precetti suoi cauta osservate.
 Affrodisia
 Io son della gran scienza
 rigorosa osservante.
 In che credete voi ch’io sia mancante?
 ser Saccente
 Filosofia c’insegna
615che la natura di sé stessa amante
 per sua conservazione
 vuol la propagazione.
 L’uomo e la donna col conubio uniti
 della filosofia senton gl’inviti.
 Affrodisia
620Anche a ciò ho proveduto.
 M’ho trovato uno sposo,
 poiché filosofia mi scalda il seno.
 ser Saccente
 E lo sposo chi fia?
 Affrodisia
                                    Egli è Erideno.
 ser Saccente
 Male, male!
 Affrodisia
                         Perché?
 ser Saccente
625Troppo giovine egli è.
 Affrodisia
                                          Ma cosa importa?
 ser Saccente
 Aristotile nostro
 si vis nubere, disse, nube pari.
 E convien ch’Erideno e studi e impari.
 Affrodisia
 Dunque che far dovrei?
 ser Saccente
630Affrodisia, direi...
 che sol per voi, dottissima madama,
 arde il mio cor che vi sospira ed ama.
 Affrodisia
 Sì sì, sento inspirarmi
 filosofico ardore
635che vi rende padron di questo core.
 
 SCENA II
 
 ERIDENO e detti
 
 Erideno
 Afrodisia diletta,
 per voi gioire aspetta
 quest’amante cor mio.
 Affrodisia
 Siete giovine ancor; studiate. Addio.
 Erideno
640Come! Non siete voi
 la mia tenera sposa?
 Affrodisia
 Femina virtuosa
 mal si unirebbe a un tenero scolaro.
 Aristotile stesso,
645l’imparai non ha guari,
 si vis nubere, disse, nube pari.
 Erideno
 Dunque mi discacciate?
 Crudel, mi abbandonate?
 Affrodisia
 Compatite, Erideno,
650filosofico ardor m’infiamma il seno.
 
    Più bell’ardore accende
 amor nel seno mio.
 Amare sol vogl’io
 chi è degno del mio cor.
 
655   Funesto alfin si rende
 un disuguale affetto.
 Vuo’ scegliere un oggetto
 di scienza possessor.
 
 SCENA III
 
 ERIDENO e ser SACCENTE
 
 ser Saccente
 (Dunque Affrodisia è mia.
660Oh benedetta la filosofia).
 Erideno
 Ah femmina mendace!
 Invano hai tu studiato,
 se la fede a serbar non hai imparato.
 ser Saccente
 Amico, per qual causa
665d’Affrodisia tacciar vuoi l’incostanza?
 Già le femine sono in abbondanza.
 Erideno
 Ma! Se lei mi piaceva
 e se mi prometteva
 amor nel di lei seno il mio diletto,
670ora frenar non so l’ira nel petto.
 ser Saccente
 Deh lo sdegno calmate;
 allo studio applicate.
 Crediate a me che parlovi per pratica,
 la femina non est bona grammatica.
 
 SCENA IV
 
 ERIDENO solo
 
 Erideno
675Ah purtroppo egli è vero.
 Ciascun ne’ studi suoi trova ragione
 d’adular, di seguir la sua passione.
 La donna, che di fede
 suol mancar per natura,
680allorch’apre coi studi l’intelletto
 cerca giustificar il suo difetto.
 Se la donna è ignorante,
 vincer si può talora;
 ma quando è letterata,
685inflessibil diviene ed ostinata.
 
    Donne vaghe, i studi vostri
 son le grazie, sono i vezzi,
 far che piaccia e che s’apprezzi
 un bel labro di rubin.
 
690   Acquistar gli affetti nostri
 è la scuola del bel sesso.
 Ah costei procura adesso
 di passare il suo confin.
 
 SCENA V
 
 PEGASINO, poi MELIBEA
 
 Pegasino
 Non vorrei che Gazzetta
695colla bella invenzion del don Chisciotte
 avesse fatto colpo
 nel cuor di Melibea.
 Eccola. Ha un quadro in mano
 e mi pare un ritratto.
700Vuo’ veder cosa sia.
 Un ritratto mi pone in gelosia. (Si ritira)
 Melibea (Osservando il ritratto di Cleopatra)
 
    Oh Cleopatra fortunata
 col suo caro Marcantonio,
 cui d’amore in testimonio
705colle perle abbeverò.
 
 Se il cor di Cleopatra
 per il gran Marcantonio si perdeo,
 abbi pazienza, caro Tolomeo.
 Semiramide ancora,
710come scrive un istorico vetusto,
 ha fatto un non so che su questo gusto.
 Pegasino
 (Parla di Cleopatra. Non vi è male).
 Mia bella, a voi m’inchino.
 Melibea
 Ecco qui, Pegasino,
715una raccolta di composizioni.
 Pegasino
 Io pure in queste carte
 ne tengo la mia parte.
 Ho dei componimenti
 di poeti eccellenti,
720fatti sul stil del Tasso e dell’Ariosto,
 del Petrarca, di Dante e del Marini,
 con parole da Testi e d’Achillini.
 Melibea
 Sentiamo: «Madrigale (Legge)
 di Smorfia Celidonio,
725arcadico pastore».
 Pegasino
 Smorfia pastor? Oh sarà un bravo autore!
 Melibea
 «Graziosa Melibea,
 non so se ninfa o dea...»
 Oh bellissimo!
 Pegasino
                              Oh caro!
 Melibea
730«Non so se ninfa o dea,
 sposati in sì bel giorno».
 Che bella cosa!
 Pegasino
                              Oh bella!
 Melibea
 «Sposati in sì bel giorno,
 se non lo fai, no me n’importa... un corno».
 Pegasino
735Oh vita mia!
 Melibea
                           Che dite? (Malinconica)
 Pegasino
                                               Eh non vi è male.
 Melibea
 Questo per nozze è un brutto madrigale.
 Pegasino
 Io ne leggerò dunque uno de’ miei
 che dei vostri saran forse più bei.
 Eccolo: «Madrigale (Legge)
740di Mummia Calinfronio,
 pastor delle campagne immaginarie
 dell’Arcadia dell’isole Canarie».
 Melibea
 Oh questo sarà bello!
 Pegasino
 «Oh Pegasin gentile,
745del caval pegaseo figlio diletto...»
 Melibea
 Oh bravo!
 Pegasino
                      Oh benedetto!
 «Sposa la pastorella,
 vaga, gentile e bella».
 Melibea
 Oh che versi!
 Pegasino
                            Oh che gusto
750nel leggerli mi viene!
 Melibea
 Oh quel «bella e gentil» ci sta pur bene!
 Pegasino
 «Sposa la pastorella,
 vaga, gentile e bella,
 che ti possa venir la caccarella».
 Melibea
755Oibò!
 Pegasino
              Puzza un pochino.
 Melibea
 Oh diavol malandrino!
 Pegasino
 I nostri amici, ognun coi versi suoi,
 si burlano di noi.
 Melibea
 Dunque che far dobbiamo?
 Pegasino
760Fra di noi concludiamo;
 e senza la raccolta
 sposiamoci una volta.
 Melibea
                                          Ma... vogl’io,
 per meglio sodisfarmi,
 con qualche idea poetica sposarmi. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 PEGASINO solo
 
 Pegasino
765Via la contenterò,
 qualche idea troverò che buona sia,
 per spiegar la poetica pazzia.
 
    Fra cetre e cembali
 la sposerò.
770Fra pive e gnaccare
 l’abbraccierò.
 La cornamusa
 non so se s’usa,
 m’informerò.
 
775   Fra verdi platani,
 sull’erbe tenere,
 fra i cigni amabili
 la condurrò;
 fra cetre e cembali
780la sposerò. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 ARMONICA e ser SACCENTE
 
 ser Saccente
 Oh perché mai volete
 esporvi sulle scene? Non sapete
 quante cose vi vogliono
 per aver lode o almen compatimento?
785Pensate pria d’esporvi a un tal cimento.
 Armonica
 Io ci ho bell’e pensato;
 non vuo’ la virtù mia resti sepolta.
 Vuo’ produrmi una volta
 e far vedere al mondo
790che se poco ne so non mi confondo.
 ser Saccente
 Io non so più che dire,
 fate quel che volete.
 Ma almen, se v’esponete,
 fatelo con modestia e con giudizio,
795se non volete andare in precipizio.
 Armonica
 Insegnatemi voi
 com’ho da regolarmi.
 ser Saccente
 Ma poi vi stancherete di abbadarmi.
 Circa il saper, pazienza.
800Basta andar in cadenza qualche volta.
 Già per lo più meno ne sa chi ascolta.
 Armonica
 Sin qui siamo d’accordo.
 ser Saccente
                                                Nell’azione
 vi vorrei regolata,
 non molto caricata
805ma natural, composta e disinvolta
 e movere le mani una alla volta.
 Armonica
 Me ne ricorderò.
 ser Saccente
                                  Ma sopra tutto
 non siate presontuosa;
 non siate schizzinosa;
810riportatevi a quei che più ne sanno,
 perché il troppo voler fa poi del danno.
 Armonica
 Basta, signor Saccente,
 io mi riporterò;
 di voi mi fiderò che siete onesto.
815A me preme cantar, non bado al resto.
 ser Saccente
 All’occasion, figliuola,
 io mi ricorderò
 di proporvi al teatro certamente,
 giacché senza di me non si fa niente.
820Ma ditemi chi siete;
 ditemi il nome vostro,
 la vostra condizione,
 quella dei genitori
 e tutto quel che vi può far del bene,
825se occasion di recitar vi viene.
 Armonica
 Armonica è il mio nome
 ma circa i genitori,
 circa allo stato mio,
 tutto quel vi dirò che dir poss’io.
 
830   Son figlia di mio padre
 ma non si sa di chi.
 Mi raccontò mia madre
 ch’egli era un gran signor.
 
    Io poi son virtuosa,
835un tantinin graziosa.
 Direi che bella sono
 ma mi vergogno un po’.
 Non sono maliziosa
 ma il fatto mio lo so.
 
 SCENA VIII
 
 Ser SACCENTE solo
 
 ser Saccente
840Ecco all’itale scene
 una nuova eroina
 che farà da matrona e da regina.
 E dopo d’aver fatto
 tai caratteri in scena
845sarà poi persuasa
 di poter sostenerli ancora in casa.
 È cosa che fa ridere i capponi
 sentir le pretensioni,
 veder le smorfie ed il pavoneggiarsi
850con cui crede la bella immortalarsi.
 
    Finché suona il ritornello
 passeggiando se ne va.
 E poi canta il viso bello
 la la la lara la la la.
 
855   Si bisbiglia nell’udienza,
 non s’abbada alla cadenza.
 Poi si batte da chi ascolta
 e si grida: «Un’altra volta».
 Sia per spasso, sia per chiasso,
860vien fastosa a replicar.
 
 SCENA IX
 
 MELIBEA vestita alla guerriera incontra ser SACENTE e lo ferma
 
 Melibea
 All’armi, all’armi, anch’io voglio provarmi
 entro d’un elmo imprigionar il crine,
 come un tempo faceano l’eroine.
 ser Saccente
 Altro peso per voi
865amor destina colli strali suoi.
 Melibea
 Quest’abito mi piace;
 questa spada m’alletta.
 Presto all’armi, alle stragi, alla vendetta.
 ser Saccente
 Ella impazzisce affatto.
 Melibea
                                             Chi è colui
870vestito da guerriero? Esser Gazzetta
 certamente dovrebbe. All’armi, all’armi;
 voglio seco provarmi. (Tira fuori la spada)
 ser Saccente
                                           Con licenza, (Osservando la spada)
 via, via, vi do licenza;
 pugnate pure col furor coniuncta,
875perché la vostra spada est sine puncta.
 
 SCENA X
 
 GAZZETTA da guerriero e detti
 
 Melibea
 All’armi. (Correndo verso la scena)
 Gazzetta
                     «Oh tu, che porte
 che corri sì?»
 ser Saccente
                            (Tancredi). (Da sé)
 Melibea
                                                   «E guerra e morte».
 ser Saccente
 (Da Clorinda risponde).
 Gazzetta
 «Guerra e morte averai, io non rifiuto
880darlati se la cerchi». (Si battono)
 ser Saccente
                                         Aiuto, aiuto. (Parte)
 Gazzetta
 «Nostra sventura è ben che qui s’impieghi
 tanto valor, dove silenzio il copra.
 Ma poiché sorte rea vien che ci nieghi
 e lode e testimon degno dell’opra,
885pregoti, se fra l’armi han luogo i preghi,
 ch’il tuo nome, il tuo stato a me tu scopra,
 acciò ch’io sapia, o vinto o vincitore,
 chi la mia morte o la vittoria onore».
 Melibea
 «Indarno chiedi
890quel ch’ho per uso di non far palese
 ma, chiunque mi sia, tu innanzi vedi
 un di que’ duo che la gran torre accese».
 Gazzetta
 «Il tuo dir e il tacer al par mi alletta,
 barbaro, discortese, alla vendetta». (Si battono e Melibea cade)
 Melibea
895«Amico, hai vinto, io ti perdon, perdona».
 ser Saccente
 «In questa forma
 passa la bella donna e par che dorma». (Parte)
 Gazzetta
 Via, datemi la mano.
 Melibea
 Ohimè! Non posso più.
 Gazzetta
900Via, levatevi su.
 Melibea
 Non voglio più imitare
 le donne guerreggianti
 ma l’eroine placide ed amanti.
 Gazzetta
 Sì, mi è passato il caldo;
905più Tancredi non son ma son Rinaldo.
 Melibea
 Finita è la disfida;
 più Clorinda non son ma son Armida.
 Gazzetta
 «Volgi, mia cara, volgi
 a me quegl’occhi, onde beata bei,
910che son, se tu nol sai, ritratto vero
 delle bellezze tue gl’incendi miei».
 Melibea
 «Sarò, qual più vorrai, scudiero o scudo».
 Gazzetta
 «Sarò tuo cavalier».
 Melibea
                                       «Non più battaglia.
 Vattene, passa il mar, pugna e travaglia».
 Gazzetta
915Armida mi discaccia?
 Melibea
                                           Ah ch’io mi sento
 invasa dal furor di gelosia!
 Non so dove mi sia. Povero Orlando!
 Ha perduto il cervello
 e l’ho perduto anch’io; ma mi consola
920che se pazza son io non sarò sola.
 
    Il cervel m’è andato via.
 Vuo’ cercarlo qua e là.
 Chi l’avesse me lo dia;
 me lo dia per carità.
925Ehi, signor, il mio cervello.
 Non lo voglio, non è quello;
 siete pazzo più di me.
 
    Voi l’avete? Signorsì.
 Zitto, zitto, eccolo lì.
930Eh cercarlo non mi giova.
 Chi lo perde non lo trova.
 Vola, vola e se ne va;
 la la la lara la la la. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 GAZZETTA solo
 
 Gazzetta
 In verità la cosa
935sempre divien più bella. È questa casa,
 in cui venuti siam per allegria,
 il maggior arsenal della pazzia.
 Ma questo è un male in uso
 che per tutto è diffuso.
940Chi è pazzo criminoso e chi giocondo
 e de pazzi diversi è pieno il mondo.
 
    Han tutti i mariti
 qualcosa a soffrir;
 per tutto le liti
945si fanno sentir.
 
    La moglie gelosa:
 «Briccone, sfacciato».
 La donna orgogliosa:
 «Villano spiantato».
950La savia: «Imprudente».
 La pazza: «Insolente».
 E tutti i mariti
 tormentan così.
 
 SCENA XII
 
 Sala magnifica con scalinata, rappresentante la regia di Parnaso colle nove muse.
 
 AFFRODISIA, ERIDENO, ARMONICA, PEGASINO e GAZZETTA
 
 coro
 
    Discenda il biondo nume,
955venga d’Apollo il lume
 di questi suoi pastori
 gli ardori a consolar.
 
 parte del coro
 
    E finché viene Apollo
 colla sua cetra al collo,
960discenda Melibea,
 febea di Febo al par.
 
 coro
 
    Venga, venga Melibea,
 del buon gusto amica dea,
 cui le nove allegre muse
965son già use a venerar. (A suono d’allegri strumenti scende Melibea)
 
 Melibea
 Grazie, signori miei,
 grazie dei vostri generosi inviti.
 Eccomi qui disposta a secondarvi
 nell’amor e nell’armi,
970coll’istorico stile e i dolci carmi.
 Erideno
 Voi che istorica siete,
 dite se letto avete
 che vi sia stata un’alma più infedele
 d’Affrodisia crudele.
975Mi deride l’ingrata
 e fa di me strappazzo;
 mi tratta da ignorante e da ragazzo.
 Melibea
 Caro Erideno mio, la compatisco.
 Ella ha molto saper e molta dote;
980se dico il ver, sdegnarvi non vorrei.
 Non siete, figliol mio, buono per lei.
 Affrodisia
 Oh cara Melibea,
 lodo la vostra idea.
 Voi ben mi conoscete
985e ciò che mi bisogna voi sapete.
 Erideno
 
    Oimè! Voi mi scacciate? (Ad Affrodisia)
 
 Affrodisia
 
 Non vi dispero ancor. (Ad Erideno)
 
 Erideno
 
    Mio bene, oh dio! mi amate?
 
 Affrodisia
 
 Non vi prometto amor.
 
 a due
 
990   Un certo non so che
 parmi sentire in me
 che mi tormenta il cor. (Partono)
 
 SCENA XIII
 
 MELIBEA, ARMONICA, PEGASINO e GAZZETTA, poi ser SACCENTE
 
 Armonica
 Graziosa Melibea,
 arcadica, febea,
995a voi mi raccomando.
 Melibea
                                          E che bramate?
 Armonica
 Vorrei, se vi degnate,
 essere ammessa anch’io,
 siccome ser Saccente mi propose,
 nell’accademia delle virtuose.
 Melibea
1000Sì sì, vi ammetteremo
 e la nostra patente vi daremo.
 Pegasino
 Orsù, donna vezzosa
 e mia futura sposa,
 vi ricordate voi di avermi detto:
1005«Voglio, per soddisfarmi,
 con qualche idea poetica sposarmi»?
 Melibea
 È ver, me lo ricordo.
 Pegasino
                                        Ora vedrete
 cosa per voi farò...
 Gazzetta
                                    Pazzo voi siete. (A Pegasino)
 Il cor di Melibea
1010solo prova per me d’amore il caldo.
 Ella è Armida amorosa ed io Rinaldo.
 Pegasino
 A voi punto non bado;
 vedrete Melibea
 se ho poetica idea,
1015s’io son fra’ vati un inventor valente.
 (Spero farà da uomo ser Saccente). (Da sé)
 Gazzetta
 Ma io, che so la storia
 tutta, tutta a memoria,
 saprò favoleggiar meglio di te.
1020(Ser Saccente gentil farà per me). (Da sé)
 Melibea
 Bravi, bravi, bravissimi,
 mi siete ambi carissimi.
 Farò con l’uno e l’altro il matrimonio.
 Armonica
 Ed io vi servirò di testimonio.
 Pegasino
 
1025   Vieni, vieni, biondo Apollo
 coll’aurata cetra al collo.
 La tua dea Melibea
 vieni, vieni a consolar.
 
 Gazzetta
 
    Vieni, vieni, dio del giorno,
1030coi bei raggi il viso adorno,
 fra i strumenti, fra i concenti,
 vieni, vieni a giubilar.
 
 a quattro
 
    Vieni, vieni, biondo nume,
 col tuo lume e non tardar. (A suono di sinfonia scende ser Saccente, vestito da Apollo colla cetra e con seguito di poeti inghirlandati, ognuno de’ quali porta un instrumento musicale in mano e due corone)
 
 ser Saccente
 
1035   Fidi amanti che costanti
 implorate il mio favor,
 già discendo e v’accendo
 di febeo possente ardor.
 
 Melibea, Pegasino, Gazzetta, Armonica a quattro
 
    L’alma ho ripiena
1040d’alto contento;
 ah! che mi sento
 brillare il cor.
 
 ser Saccente
 
    Io tocco la cetra;
 v’inspiro lo stile.
1045Del sesso gentile
 v’invito a cantar.
 
 Melibea, Armonica, Pegasino, Gazzetta a quattro
 
    Dov’è un istrumento?
 Dov’è un chittarone?
 Violino, violone,
1050spinetta, violetta,
 trombone, trombetta?
 Io voglio cantar;
 io voglio suonar.
 Non posso più star. (Quelli del seguito di ser Saccente distribuiscono a tutti un istrumento musicale, col quale cantando si accompagnano)
 
 ser Saccente, Pegasino, Gazzetta a tre
 
1055   Vivan le donne,
 viva il bel sesso,
 per cui professo
 tutto l’amor.
 
    Pera chi dice
1060che non han fede,
 chi in lor non crede
 sincero il cor.
 
 tutti
 
    Vivano i suoni,
 vivano i canti,
1065vivan gl’amanti,
 viva l’amor.
 
 Pegasino
 
    Via, signore, per favore
 le corone disponete
 con giustizia, con bontà.
 
 Melibea, Armonica a due
 
1070(La corona chi l’avrà?) (Ognuna da sé)
 
 Pegasino, Gazzetta a due
 
    (Melibea ne averà una.
 E quell’altra mia sarà). (Ognuno da sé)
 
 ser Saccente
 
    Ecco qui doppia corona;
 la più bella a te si dona,
1075che ben degna è sol di te.
 
 Pegasino, Gazzetta a due
 
 (E quell’altra fia per me). (Da sé)
 
 Melibea, Armonica a due
 
    E quell’altra a chi la date?
 
 ser Saccente
 
 Non lo so, ci penserò.
 
 Gazzetta, Pegasino a due
 
    Eh, signor, non ci pensate,
1080lo sapete, m’intendete.
 A chi tocca già si sa.
 
 ser Saccente
 
 A chi tocca si darà.
 
 Pegasino, Gazzetta a due
 
    Son qua io, Febo mio.
 
 ser Saccente
 
 Ed Armonica l’avrà. (Dà la corona ad Armonica)
 
 Melibea, Armonica a due
 
1085   Mi piace, mi diletta,
 mi dà contento al cor. (Accompagnandosi coi loro strumenti)
 
 Pegasino, Gazzetta a due
 
    Flon, flon, la Girometta
 m’ha fatto un bell’onor.
 
 Melibea, Armonica, ser Saccente a tre
 
    Su su, che cosa avete,
1090siete di malumor?
 
 Pegasino, Gazzetta a due
 
    (Convien dissimulare
 per ora il batticor).
 
 a cinque
 
    Torniamo in allegria,
 diciamo in compagnia:
 
1095   «Vivano i suoni,
 vivano i canti,
 vivan gli amanti,
 viva l’amor».
 
 Fine dell’atto secondo