Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano, Mosca, Stamperia Imperiale, 1759 (Il mondo alla roverscia)

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Cortile spazioso.
 
 TULIA, CINTIA, AURORA. Mentre si canta il coro gli uomini s’incatenano
 
 TULIA, CINTIA, AURORA
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
 CORO
 
    Non fa scorno e non dà pena
 volontaria schiavitù.
 
 TULIA
5Ite all’opre servili
 e partite fra voi le cure e i pesi.
 Altri alla rocca intesi,
 altri all’ago, altri all’orto o alla cucina,
 dove il nostro comando or vi destina.
 AURORA
10Obbedite, servite e poi sperate,
 che il regno nostro
 è di speranza pieno.
 Se goder non si può, si spera almeno.
 CINTIA
 E chi vive sperando
15per sua felicità muore cantando.
 CORO
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
    Non fa scorno e non dà pena
 volontaria schiavitù. (Partono gli uomini incatenati, condotti dalle donne)
 
 SCENA II
 
 TULIA, CINTIA e AURORA
 
 TULIA
20Poiché del viril sesso
 abbiam noi sottomesso il fier orgoglio,
 tener l’abbiamo incatenato al soglio.
 Ma quai credete voi,
 mie fedeli compagne e consigliere,
25fian migliori i progetti,
 gli uomini per tenere a noi soggetti?
 CINTIA
 Questo nemico sesso,
 di natura superbo ed orgoglioso,
 scuote e lacera il fren, quand’è pietoso.
30Col rigor, col disprezzo
 soglion le scaltre donne
 tener gli uomini avvinti e incatenati.
 Se sono innamorati,
 tutto soglion soffrire; e quanto sono
35più sprezzanti le donne e più crudeli,
 essi son più pazienti e più fedeli.
 AURORA
 È ver, ma crudeltà consuma amore.
 Il consiglio migliore
 credo sia il lusingarli,
40finger ognor d’amarli,
 accenderli ben bene a poco a poco
 e poi del loro amor prendersi gioco.
 TULIA
 Né troppo crude né pietose troppo
 essere ci convien, poiché il disprezzo
45eccita la pietà soverchio usata.
 La fierezza è temuta e non amata.
 Regoli la prudenza
 il feminile amore.
 Or clemente, or severo
50il nostro cor si mostri
 ed il sesso virile a noi si prostri.
 CINTIA
 Ognun pensi a suo senno; io vuo’ costoro
 aspramente trattar, voglio vederli
 piangere, sospirare,
55fremere, delirare
 e vuo’ che, dopo un lungo
 crudo servire e amaro,
 un leggiero piacer mi paghin caro. (Parte)
 
 SCENA III
 
 TULIA ed AURORA
 
 TULIA
 Aurora, ah non vorrei
60che per troppo voler s’avesse a perdere
 l’acquistato finor dominio nostro.
 Donne alfin siamo e a noi
 forza non diè natura
 che nei vezzi, nei sguardi e in le parole.
65Spade e lancie trattar, loriche e scudi
 non è cosa da noi. Se l’uom si scuote,
 val più un braccio di lui che dieci destre
 di femine vezzose e tenerelle
 ch’hanno il loro potere in esser belle.
 AURORA
70Tulia, voi, per dir vero,
 sagiamente parlate e a voi la sorte
 diè sesso feminile
 ma il senno ed il saper più che virile.
 Anzi madre natura
75alla breve statura
 del vostro corpo graziosetto e bello
 ha supplito con darvi assai cervello.
 Indi la madre vostra
 vi diè il nome di Tulia con ragione,
80poiché sembrate un Tulio Cicerone.
 TULIA
 Raguniamo il consiglio.
 Facciam che stabilite
 siano leggi migliori, onde si renda
 impossibile all’uom scuotere il giogo.
85Che se l’uomo in amor è superiore
 farà strage crudel del nostro core.
 
    Serbo l’intata fede
 all’amor mio costante,
 altro di più non chiede
90questo mio cor amante
 altro sperar non sa.
 
    Sarò così felice
 s’egli mi serba il core
 e il barbaro destino
95del troppo suo rigore
 tardi si pentirà.
 
 SCENA IV
 
 AURORA, poi GRAZIOSINO
 
 AURORA
 Che piacer, che diletto
 puol recar alla donna il fier rigore!
 Il trattar con amore
100gl’uomini a noi soggetti
 soffrir li fa la servitute in pace
 e la femina gode e si compiace.
 Io, fra quanti son presi ai lacci nostri,
 amo il mio Graziosino,
105amoroso, fedele e semplicino;
 e lo tratto, perché mi adori e apprezzi,
 con soavi parole e dolci vezzi.
 Elà. Venga qui tosto (Esce un servo)
 Graziosino, lo schiavo a me soggetto. (Parte il servo)
110Infatti il poveretto
 merita ch’io gli faccia buona ciera,
 se mi serve e mi fa da cameriera.
 Eccolo ch’egli viene. Ehi Graziosino.
 GRAZIOSINO
 Signora. (Viene facendo le calze)
 AURORA
                    Cosa fate?
 GRAZIOSINO
115Lavoro in fretta in fretta
 e in tre mesi ho fatt’io mezza calzetta.
 AURORA
 Lasciate il lavorar. Venite qui.
 GRAZIOSINO
 Bene, signora sì.
 AURORA
 Obbedirete sempre i cenni miei?
 GRAZIOSINO
120Io faccio quello che comanda lei.
 AURORA
 Caro il mio Graziosino,
 siete tanto bellino.
 GRAZIOSINO
 Mi fate vergognar.
 AURORA
                                     Vi voglio bene
 e vederete del mio amore il frutto.
 GRAZIOSINO
125Queste parole mi consolan tutto.
 AURORA
 Baciatemi la mano.
 GRAZIOSINO
                                      Gnora sì.
 AURORA
 Perché voi mi piacete,
 vi fo queste finezze.
 GRAZIOSINO
 Oh benedette sian le mie belezze.
 AURORA
130Ma vuo’ che siate attento
 a servirmi qualora vi comando.
 La mattina per tempo
 mi recherete il cioccolate al letto;
 mi scalderete i panni;
135mi dovrete allestir la tavolletta;
 starete in anticamera aspettando
 per entrar il comando;
 e se verranno visite a trovarmi,
 voi dovrete avisarmi
140e come fanno i buoni servitori
 voi dovrete aspettar e star di fuori.
 GRAZIOSINO
 Di fuori?
 AURORA
                    Vi s’intende.
 GRAZIOSINO
 E dentro...
 AURORA
                       Signor no,
 aspettar voi dovrete.
 GRAZIOSINO
                                        Aspetterò.
 AURORA
145Se farete così, vi vorrò bene.
 GRAZIOSINO
 Sì cara, farò tutto.
 Farò la cameriera;
 farò la cuciniera;
 farò tutte le cose più triviali;
150laverò le scudele e gli orinali.
 AURORA
 In cose tanto abiette
 impiegarvi non vuo’. Voi siete alfine
 il mio caro, il mio bello,
 il mio amor tenerello,
155il mio fedele amato Graziosino,
 tanto caro al mio cor, tanto bellino.
 
    Quegl’occhietti sì furbetti
 m’hanno fatta innamorar;
 quel bocchino piccinino
160mi fa sempre sospirar.
 
    Caro il mio bene,
 dolce mia spene,
 sempre sempre
 ti voglio amar.
 
165   (Ei gode tutto.
 E questo è il frutto
 della lusinga.
 Ami o lo finga
 donna che vuole
170l’uomo incantar).
 
 SCENA V
 
 GRAZIOSINO solo
 
 GRAZIOSINO
 Oh che gusto, oh che gusto! Ah che mi sento
 andar per il contento il cor in brodo.
 Graziosin fortunato. Oh quanto io godo!
 Non si può dar nel mondo
175piacer che sia maggiore
 d’un corrisposto amore. Aman le belve,
 amano i sordi pesci, aman gli augelli,
 le pecore e gli agnelli;
 amano i cani e i gatti
180e quei che amar non san son tutti matti.
 
    Quando gli augelli cantano,
 amor li fa cantar;
 e quando i pesci guizzano,
 amor li fa guizzar.
 
185   La pecora, la tortora,
 la passera, la lodola
 amor fa giubilar.
 Oh che piacer amabile!
 Oh che gustoso amar!
 
190   Farò lo cuoco, farò lo sguattero;
 laverò i piatti ed ettecetera,
 purché l’amore mi faccia il core
 movere, ridere e giubilar.
 
 SCENA VI
 
 Camera.
 
 GIACINTO collo specchio in mano guardandosi con caricatura
 
 GIACINTO
 
    Madre natura,
195tu m’hai tradito
 ma t’ho schernito
 col farmi bello
 con il pennello,
 come le donne
200sogliono far.
 
 Questa parucca invero,
 questo capel, che colla polve è intriso,
 fa risaltar mirabilmente il viso.
 Al ragirar di queste
205mie vezzose pupille
 spargo fiamme e faville; e questa bocca,
 che sembra agli occhi miei graziosa e bella,
 fa tutte innamorar quando favella.
 Queste donne son tutte
210invaghite di me; schiavo son io
 di queste belle, è vero,
 ma sovra il loro cor tutt’ho l’impero.
 Ecco la vaga Cintia. Presto, presto,
 il nastro, la parucca, i guanti, tutto,
215tutto assettar conviene e gli occhi e il labbro,
 colle dolci parole e i dolci sguardi,
 si prepari a vibrar saette e dardi.
 CINTIA
 (Ecco il bell’amorino).
 GIACINTO
 Mia sovrana, mio nume, a voi m’inchino.
 CINTIA
220E ben, che fate qui?
 GIACINTO
                                       Qual farfalletta
 d’intorno al vostro lume
 vengo, mia bella, a incenerir le piume.
 CINTIA
 Parmi con più ragione
 vi potreste chiamare un farfallone.
 GIACINTO
225Quella vezzosa bocca
 non pronuncia che grazie e bizzarie.
 CINTIA
 La vostra non sa dir che scioccherie.
 GIACINTO
 Deh lasciate ch’io possa
 coll’odoroso fiato
230de’ miei caldi sospiri
 quelle belle incensar guancie adorate.
 CINTIA
 Andate via di qua; non mi seccate.
 GIACINTO
 Ah, se sdegnate, o bella,
 i fumi del mio cor, porterò altrove
235il mio guardo, il mio piede,
 il mio affetto sincero e la mia fede.
 CINTIA
 Olà, così si parla?
 Voi staccarvi da me! Voi d’altra donna
 servo, schiavo ed amante!
240Temerario, arrogante,
 voi dovete soffrir le mie catene.
 GIACINTO
 Qual mercede averò?
 CINTIA
                                          Tormenti e pene.
 GIACINTO
 Giove, Pluton, Nettuno,
 dei tremendi e possenti,
245voi che udite gli accenti
 d’una donna spietata,
 spezzate voi questa catena ingrata.
 Sì sì, Nettun m’inspira,
 Giove mi dà valore,
250Pluto mi dà furore;
 perfida tirannia,
 umilmente m’inchino e vado via.
 CINTIA
 Fermatevi; ed avrete
 tanto cor di lasciarmi?
255Voi diceste d’amarmi,
 di servirmi fedel con tutto il core
 ed ora mi lasciate? Ah traditore!
 GIACINTO
 Ma se voi mi sprezzate,
 se voi mi dileggiate,
260come s’io fossi un uom zottico e vile,
 e studio invan di comparir gentile.
 CINTIA
 Senza studiar, voi siete
 abbastanza gentil, grazioso e bello.
 Quell’occhio briconcello,
265quel vezzoso bocchin, quel bel visetto
 m’hanno fatta una piaga in mezzo al petto.
 GIACINTO
 Dunque, cara, mi amate?
 CINTIA
                                                 Sì, v’adoro.
 GIACINTO
 Idol mio, mio tesoro,
 lingua non ho bastante
270per render grazie al vostro dolce amore.
 Concedete il favore
 che rispettosamente
 e umilissimamente
 io vi possa baciar la bella mano.
 CINTIA
275Oh signor no; voi lo sperate invano.
 GIACINTO
 Ma perché mai? Perché?
 CINTIA
 Queste grazie da me
 non si han sì facilmente.
 GIACINTO
 Io morirò.
 CINTIA
                      Non me n’importa niente.
 GIACINTO
280Dunque, se non v’importa,
 d’altra bella sarò.
 CINTIA
                                  Voi siete mio.
 GIACINTO
 Che ne volete far?
 CINTIA
                                    Quel che vogl’io.
 GIACINTO
 Ah quel dolce rigor più m’incatena.
 Soffrirò la mia pena,
285morirò, schiatterò, se lo bramate,
 basta, bell’idol mio, che voi mi amate.
 
    Cara Cintia allor che voglio
 da te lungi andar un passo,
 sento in me sì gran cordoglio
290che m’impetro come un sasso.
 Perdo i sensi, son gelato,
 resto immoto in mezzo qua.
 
    Quel bel volto, anima mia,
 ah, il mio cor già pena e smania,
295tu conosci, tu ben vedi
 che scolpito è in petto a me.
 
 SCENA VII
 
 CINTIA, poi TULIA
 
 CINTIA
 Oh quanto mi fan ridere
 con questo sospirar, con questo piangere.
 Gli uomini non s’avveggono
300che quanto più le pregano
 le donne insuperbite più diventano
 e gli amanti per gioco allor tormentano.
 TULIA
 Cintia, che mai faceste
 al povero Giacinto? Egli sospira.
305Egli smania e delira.
 Ah, se così farete,
 l’impero di quel cor voi perderete.
 CINTIA
 Anzi più facilmente
 lo perderei colla pietade e i vezzi.
310Gl’uomini sono avezzi
 per la soverchia nostra
 facilità del sesso
 a saziarsi di tutto e cambiar spesso.
 
    Se gl’uomini sospirano,
315che cosa importa a me?
 Che pianghino, che crepino
 ma vuo’ che stiano lì.
 Anch’essi se potessero
 con noi farian così.
 
320   Là dove delle femine
 la crudeltà non v’è,
 la tirannia dei perfidi
 purtroppo s’infierì;
 ed or di quelle misere
325vendetta si fa qui.
 
 SCENA VIII
 
 TULIA, poi RINALDINO
 
 TULIA
 Ma io, per dir il vero,
 sono di cor più tenero di lei.
 Son con gli amanti miei
 quanto basta severa e orgogliosa;
330ma son, quando fia d’uopo, anco pietosa.
 Talor fingo il rigore,
 freno di lor l’affetto e la baldanza,
 fra il timore li tengo e la speranza.
 RINALDINO
 Tulia, bell’idol mio,
335de’ vostri servi il più fedel son io.
 Deh oziosa non lasciate
 la mia fede, il mio zelo,
 che sol quando per voi, bella, m’adopro,
 felicità nel mio destino io scopro.
 TULIA
340Dite il ver Rinaldino,
 siete pentito ancor d’avervi reso
 suddito e servo mio? Vi pesa e incresce
 della smarita libertà primiera?
 Sembravi la catena aspra e severa?
 RINALDINO
345Oh dolcissimi nodi,
 sospirati, voluti e cari sempre
 al mio tenero cor! Sudino pure
 sotto l’elmo i guerrieri; Astrea tormenti
 i seguaci del foro; e di Galeno
350sui fogli malintesi
 studi e s’affanni il fisico impostore.
 Io seguace d’amore,
 fuor della turba insana
 di chi mena sua vita in duri stenti,
355godo, vostra mercé, pace e contenti.
 TULIA
 Noi con pietà trattiamo
 i vassalli ed i servi e non crudeli
 siamo coll’uom, qual colla donna è l’uomo.
 Ed il vostro servir, che non fia grave,
360sarà grato per noi, per voi soave. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 RINALDINO solo
 
 RINALDINO
 Dov’è, dov’è chi dice
 che dura ed aspra sia
 d’amor la prigionia? Finché un amante
 vive dubioso e incerto
365fra il dovere e l’amor, fra il dolce e il giusto,
 pace intera non ha ma poiché tutto
 s’abbandona al piacer, gode e non sente
 i rimorsi del cor... Ma oh dio! purtroppo
 li risento al mio sen, malgrado al cieco
370abbandono di me fatto al diletto,
 e mi sgrida l’onore, a mio dispetto.
 Ah! Che farò? Si studi,
 se possibile sia, scacciar dal cuore
 il residuo fatal del mio rossore.
 
375   Destrier, ch’all’armi usato
 fugge dal chiuso albergo,
 scorre la selva, il prato,
 agita il crin sul tergo
 e fa co’ suoi nitriti
380le valli rissuonar.
 
    Ed ogni suon che ascolta
 crede che sia la voce
 del cavaglier feroce
 che l’anima a pugnar.
 
 SCENA X
 
 GIACINTO ed AURORA
 
 GIACINTO
385Oh Diana mia gentile!
 AURORA
                                            Vago Ateone!
 GIACINTO
 Piacemi il paragone,
 poiché son vostro amante e vostro servo;
 ma ohimè, che Ateone è diventato un cervo.
 AURORA
 Io crudele non son qual fu la dea.
 GIACINTO
390Né io sarò immodesto
 qual fu il pastor dolente.
 AURORA
 Siete bello e prudente.
 GIACINTO
 Tutta vostra bontà.
 AURORA
 Giacinto, in verità
395voi mi piacete assai.
 GIACINTO
 Arder tutto mi sento ai vostri rai.
 
 SCENA XI
 
 CINTIA e detti
 
 CINTIA
 (Con Aurora Giacinto?) (Da sé)
 AURORA
 Ma voi di Cintia siete.
 GIACINTO
 Più di lei mi piacete.
400Parmi che il vostro bello
 mi renda assai più snello.
 Miratemi nel volto, a poco a poco
 come per vostro amor son tutto foco.
 CINTIA
 Acqua, acqua, padrone, acqua vi vuole
405il foco ad ammorzar.
 GIACINTO
                                        Oh Cintia mia,
 ardo d’amor per voi.
 CINTIA
 Ingannarmi non puoi,
 ho le parole tue tutte ascoltate.
 GIACINTO
 Deh mia vita...
 CINTIA
                              E saranno bastonate.
 GIACINTO
410Bastonate a un par mio? Deh Aurora, a voi
 l’onor mio raccomando.
 AURORA
 Siete schiavo di Cintia; io non comando.
 CINTIA
 E voi, gentil signora,
 vi dilettate di rapire altrui
415il vassallo e l’amante?
 AURORA
 Faccio quello ancor io che fanno tante.
 CINTIA
 Ma con me nol farete.
 AURORA
                                          Allor che sappia
 di darvi gelosia,
 voi dovrete tremar dell’arte mia.
 CINTIA
420Distrutto in questa guisa
 il nostro amor sarà.
 AURORA
                                      Poco m’importa;
 pria che ceder al vostro
 fasto superbo e altero,
 vada tutto sossopra il mio pensiero.
 CINTIA
425Giacinto, andiam.
 GIACINTO
                                    Vengo.
 AURORA
                                                   Crudel, voi dunque
 mi lasciate così?
 GIACINTO
                                 Ma se conviene...
 CINTIA
 Si viene o non si viene?
 GIACINTO
                                              Eccomi lesto.
 AURORA
 Morirò, se partite.
 GIACINTO
                                    Eccomi, io resto.
 CINTIA
 
    Venite o ch’io vi faccio
430provare il mio furor.
 
 AURORA
 
    Ingrato, crudelaccio,
 voi mi strappate il cor.
 
 GIACINTO
 
    (Mi trovo nell’impaccio
 fra amore e fra timor).
 
 CINTIA
 
435   Voi siete il servo mio.
 
 GIACINTO
 
 È vero, sì signora.
 
 AURORA
 
 Amante vi son io.
 
 GIACINTO
 
 Anco il mio cor v’adora.
 
 CINTIA
 
 Voglio esser ubbidita.
 
 GIACINTO
 
440Ed io v’ubbidirò.
 
 AURORA
 
 Non merto esser tradita.
 
 GIACINTO
 
 Io non vi tradirò.
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
    E ben che risolvete?
 
 GIACINTO
 
 Mie belle, se volete,
445io mi dividerò.
 Contente voi sarete,
 non dubitate no.
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
    Di qua non vi partite,
 adesso tornerò.
 
 GIACINTO
 
450   Contente voi sarete,
 non dubitate no. (Partono le due donne)
 
    Quest’è un imbroglio;
 no, più non voglio
 farmi sì bello.
455Perde il cervello
 chi mi rimira.
 Ognun sospira
 per mia beltà.
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
    Ecco ritorno,
460eccomi qua.
 
 GIACINTO
 
    Belle mie stelle
 chiedo pietà.
 
 AURORA
 
    Questo è il mio core (Gli presenta un core)
 per voi piagato.
 
 CINTIA
 
465Questo è un bastone (Gli mostra un bastone)
 per voi serbato.
 
 GIACINTO
 
 Son imbrogliato.
 
 AURORA
 
 Se lo bramate,
 ve lo darò.
 
 CINTIA
 
470Di bastonate
 v’accopperò.
 
 GIACINTO
 
    (L’una: «Ti dono»,
 l’altra: «Bastono»;
 quella il furore,
475questa l’amore;
 cosa farò?)
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
 Via risolvete.
 
 GIACINTO
 
 Risolverò.
 
    La vostra tirannia (A Cintia)
480piacere non mi dà,
 la vostra cortesia (Ad Aurora)
 contento più mi fa.
 
 AURORA
 
    Venite dunque meco.
 
 GIACINTO
 
 Con voi mi porterò.
 
 CINTIA
 
485   Bricon, se parti seco,
 io ti bastonerò.
 
 GIACINTO
 
    Da voi le bastonate,
 da lei gli amplessi avrò.
 
 CINTIA
 
    Indegno, scelerato,
490io mi vendicherò.
 
 GIACINTO
 
    Gridate, strepitate.
 
 AURORA
 
 (Intanto goderò).
 
 Fine dell’atto primo