Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano, Venezia, Fenzo, 1753

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Cortile spazioso, ornato di spoglie virili all’intorno, acquistate in varie guise dalle accorte femine. Termina il cortile con archi maestosi, oltre i quali vedesi la gran piazza, da dove entrano nel cortile sovra carro trionfale, tirato da vari uomini:
 
 TULIA, CINTIA, AURORA, precedute da coro di donne, le quali portano seco loro delle cattene e delle vittoriose insegne. Mentre si canta il coro gli uomini s’incatenano.
 
 TULIA, CINTIA, AURORA
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
 CORO
 
    Non fa scorno e non dà pena
 volontaria schiavitù.
 
 TULIA
5Ite all’opre servili
 e partite fra voi le cure e i pesi.
 Altri alla rocca intesi,
 altri all’ago, altri all’orto o alla cucina,
 dove il nostro comando or vi destina.
 AURORA
10Obbedite, servite e poi sperate,
 che il regno delle donne
 è di speranza pieno.
 Se goder non si può, si spera almeno.
 CINTIA
 E chi vive sperando
15per sua felicità muore cantando.
 CORO
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
    Non fa scorno, non dà pena
 volontaria schiavitù. (Partono gli uomini incatenati, condotti dalle donne. Le tre sudette scendono dal carro, il quale si fa retrocedere per la parte dond’è venuto)
 
 SCENA II
 
 TULIA, CINTIA e AURORA
 
 TULIA
20Poiché del viril sesso
 abbiam noi sottomesso il fier orgoglio,
 tener l’abbiamo incatenato al soglio.
 Ma quai credete voi,
 mie fedeli compagne e consigliere,
25fian migliori i progetti,
 gli uomini per tenere a noi soggetti?
 CINTIA
 Questo nemico sesso,
 di natura superbo e orgoglioso,
 scuote e lacera il fren, quand’è pietoso.
30Col rigor, col disprezzo,
 soglion le scaltre donne
 tener gli uomini avvinti e incatenati.
 Se sono innamorati
 tutto soglion soffrire; e quanto sono
35più sprezzanti le donne e più crudeli,
 essi son più pazienti e più fedeli.
 AURORA
 È ver ma crudeltà consuma amore.
 Io consiglio migliore
 credo sia il lusingarli,
40finger ognor d’amarli,
 accenderli ben bene a poco a poco
 e poi del loro amor prendersi gioco.
 TULIA
 Né troppo crude né pietose troppo
 essere ci convien, poiché il disprezzo
45eccita la pietà soverchio usata.
 La fierezza è temuta e non amata.
 Regoli la prudenza
 il feminile impero.
 Or clemente, or severo
50il nostro cor si mostri
 ed il sesso virile a noi si prostri.
 CINTIA
 Ognun pensi a suo senno; io vuo’ costoro
 aspramente trattar; voglio vederli
 piangere, sospirare,
55fremere, delirare;
 e vuo’ che, doppo un lungo
 crudo servire e amaro,
 un leggiero piacer mi paghin caro. (Parte)
 
 SCENA III
 
 TULIA ed AURORA
 
 TULIA
 Aurora, ah non vorrei
60che per troppo voler s’avesse a perdere
 l’acquistato finor dominio nostro.
 Donne alfin siamo e a noi
 forza non diè natura
 che nei vezzi, nei sguardi e in le parole.
65Spade e lancie trattar, loriche e scudi
 non è cosa da noi. Se l’uom si scuote,
 val più un braccio di lui che dieci destre
 di femine vezzose e tenerelle
 ch’hanno il loro potere in esser belle.
 AURORA
70Tulia, voi, per dir vero,
 saggiamente parlate e a voi la sorte
 diè sesso feminile
 ma il senno ed il saper più che virile.
 TULIA
 Raguniamo il consiglio.
75Facciam che stabilite
 siano leggi migliori, onde si tenda
 impossibile all’uom scuotere il giogo.
 Che se l’uomo ritorna ad esser fiero
 farà strage crudel del nostro impero.
 
80   No, tollerar non posso
 dell’uomo il fasto altero;
 vuo’ regolar l’impero
 qual giudice, qual re.
 
    Si frenerà l’orgoglio
85di quegli audaci cori;
 ciascuna a usar rigori
 apprenderà da me.
 
 SCENA IV
 
 AURORA, poi GRAZIOSINO
 
 AURORA
 Che piacer, che diletto
 puol recar alla donna il fier rigore!
90Il trattar con amore
 gl’uomini a noi soggetti
 soffrir li fa la servitude in pace
 e la femina gode e si compiace.
 Io fra quanti son presi ai lacci nostri
95amo il mio Graziosino,
 amoroso, fedele e semplicino,
 e lo tratto, perché mi adori e apprezzi,
 con soavi parole e dolci vezzi.
 Elà. (Esce un servo) Venga qui tosto
100Graziosino, lo schiavo a me soggetto. (Parte il servo)
 Infatti il poveretto
 merita ch’io gli faccia buona ciera,
 se mi serve e mi fa da cameriera.
 Eccolo ch’egli viene. Ehi Graziosino.
 GRAZIOSINO
105Signora. (Viene facendo le calze)
 AURORA
                    Cosa fate?
 GRAZIOSINO
 Lavoro in fretta in fretta
 e in tre mesi ho fatt’io mezza calzetta.
 AURORA
 Lasciate il lavorar. Venite qui.
 GRAZIOSINO
 Bene signora sì.
 AURORA
110Obbedirete sempre i cenni miei?
 GRAZIOSINO
 Io faccio quello che comanda lei.
 AURORA
 Caro il mio Graziosino,
 siete tanto bellino.
 GRAZIOSINO
 Mi fatte vergognar.
 AURORA
                                      Vi voglio bene.
115E vederete del mio amore il frutto.
 GRAZIOSINO
 Queste parole mi consolan tutto.
 AURORA
 Baciatemi la mano.
 GRAZIOSINO
                                      Gnora sì.
 AURORA
 Perché voi mi piacete,
 vi fo queste finezze.
 GRAZIOSINO
120Oh benedette sian le mie bellezze!
 AURORA
 Ma vuo’ che siate attento
 a servirmi qualora vi comando.
 La mattina per tempo
 mi recherete il cioccolato al letto;
125mi scalderete i panni;
 mi dovrete allestir la tavoletta;
 starete in anticamera aspettando
 per entrar il comando;
 e se verranno visite a trovarmi
130voi dovrete avisarmi
 e come fanno i buoni servitori
 voi dovrete aspettar e star di fuori.
 GRAZIOSINO
 Di fuori?
 AURORA
                    Vi s’intende.
 GRAZIOSINO
 E dentro?
 AURORA
                      Signor no,
135aspettar voi dovrete.
 GRAZIOSINO
                                        Aspetterò.
 AURORA
 Se farete così vi vorrò bene.
 GRAZIOSINO
 Sì cara, farò tutto.
 Farò la cameriera;
 farò la cuciniera;
140farò tutte le cose più triviali;
 laverò le scudele e gli orinali.
 AURORA
 In cose tanto abiette
 impiegarvi non vuo’. Voi siete alfine
 il mio caro, il mio bello,
145il mio amor tenerello,
 il mio fedele amato Graziosino,
 tanto caro al mio cor, tanto bellino.
 
    Quegl’occhietti sì furbetti
 m’hanno fatta innamorar;
150quel bocchino piccinino
 mi fa sempre sospirar;
 
    caro il mio bene,
 dolce mia speme,
 sempre sempre
155ti voglio amar.
 
    (Ei gode tutto.
 E questo è il frutto
 della lusinga.
 Ami o lo finga
160donna che vuole
 l’uomo incantar).
 
 SCENA V
 
 GRAZIOSINO solo
 
 GRAZIOSINO
 Oh che gusto, oh che gusto! Ah che mi sento
 andar per il contento il cor in brodo.
 Graziosin fortunato! Oh quanto io godo!
165Non si può dar nel mondo
 piacer che sia maggiore
 d’un corrisposto amore. Aman le belve,
 amano i sordi pesci, aman gli augelli,
 le pecore e gli agnelli;
170amano i cani e i gatti
 e quei che amar non san son tutti matti.
 
    Quando gli augelli cantano,
 amor li fa cantar;
 e quando i pesci guizzano,
175amor li fa guizzar.
 
    La pecora, la tortora,
 la passera, la lodola
 amor fa giubilar.
 Oh che piacer amabile!
180Oh che gustoso amar!
 
    Farò lo cuoco, farò lo sguattero;
 laverò i piatti ed ettecetera,
 purché l’amore mi faccia il core
 movere, ridere e giubilar.
 
 SCENA VI
 
 Camera.
 
 GIACINTO collo specchio in mano guardandosi con caricatura
 
 GIACINTO
 
185   Madre natura,
 tu m’hai tradito
 ma t’ho schernito
 col farmi bello
 con il pennello,
190come le donne
 sogliono far.
 
 Questa parrucca invero,
 questo capel, che colla polve è intriso,
 fa risaltar mirabilmente il viso.
195Al ragirar di queste
 mie vezzose pupille
 spargo fiamme e faville; e questa bocca,
 che sembra agli occhi miei graziosa e bella,
 fa tutte innamorar quando favella.
200Queste donne son tutte
 invaghite di me; schiavo son io
 di queste belle, è vero,
 ma sovra il loro cor tutt’ho l’impero.
 Ecco la vaga Cintia. Presto, presto,
205il nastro, la parrucca, i guanti, tutto,
 tutto assetar conviene e gli occhi e il labro,
 colle dolci parole e i dolci sguardi,
 si prepari a vibrar saette e dardi.
 CINTIA
 (Ecco il bell’amorino). (Ironicamente)
 GIACINTO
210Mia sovrana, mio nume, a voi m’inchino.
 CINTIA
 E ben, che fate qui?
 GIACINTO
                                       Qual farfalletta
 d’intorno al vostro lume
 vengo, mia bella, a incenerir le piume.
 CINTIA
 Parmi con più ragione
215vi potreste chiamare un farfallone.
 GIACINTO
 Quella vezzosa bocca
 non pronuncia che grazie e bizzarie.
 CINTIA
 La vostra non sa dir che scioccherie.
 GIACINTO
 Deh lasciate ch’io possa
220coll’odoroso fiato
 de’ miei caldi sospiri
 quelle belle incensar guancie adorate.
 CINTIA
 Andate via di qua; non mi seccate.
 GIACINTO
 Ah, se sdegnate, o bella,
225i fumi del mio cor, porterò altrove
 il mio guardo, il mio piede,
 il mio affetto sincero e la mia fede.
 CINTIA
 Olà, così si parla?
 Voi staccarvi da me! Voi d’altra donna
230servo, schiavo ed amante?
 Temerario, arrogante,
 voi dovete sofrir le mie catene.
 GIACINTO
 Qual mercede averò?
 CINTIA
                                          Tormenti e pene.
 GIACINTO
 Giove, Pluton, Nettuno,
235dei tremendi e possenti,
 voi che udite gli accenti
 d’una donna spietata,
 spezzate voi questa catena ingrata.
 Sì sì, Nettun m’inspira,
240Giove mi dà valore,
 Pluto mi dà furore;
 perfida tirannia,
 umilmente m’inchino e vado via.
 CINTIA
 Fermatevi; ed avrete
245tanto cor di lasciarmi?
 Voi diceste d’amarmi,
 di servirmi fedel con tutto il core
 ed ora mi lasciate? Ah traditore!
 GIACINTO
 Ma se voi mi sprezzate,
250se voi mi dileggiate,
 come s’io fossi un uom zottico e vile,
 e studio invan di comparir gentile.
 CINTIA
 Senza studiar, voi siete
 abbastanza gentil, grazioso e bello.
255Quell’occhio briconcello,
 quel vezzoso bocchin, quel bel visetto
 m’hanno fatta una piaga in mezzo al petto.
 GIACINTO
 Dunque, cara, mi amate.
 CINTIA
                                                Sì, v’adoro.
 GIACINTO
 Idol mio, mio tesoro,
260lingua non ho bastante
 per render grazie al vostro dolce amore.
 Concedete il favore
 che rispettosamente
 e umilissimamente
265io vi possa baciar la bella mano.
 CINTIA
 Oh signor no, voi lo sperate invano.
 GIACINTO
 Ma perché mai? Perché?
 CINTIA
 Queste grazie da me
 non si han sì facilmente.
 GIACINTO
270Io morirò.
 CINTIA
                      No me n’importa niente.
 GIACINTO
 Dunque, se non v’importa,
 d’altra bella sarò.
 CINTIA
                                  Voi siete mio.
 GIACINTO
 Che ne volete far?
 CINTIA
                                    Quel che vogl’io.
 GIACINTO
 Ah quel dolce rigor più m’incatena!
275Soffrirò la mia pena,
 morirò, schiatterò, se lo bramate.
 Basta, bell’idol mio, che voi mi amate.
 
    Feritemi, piagatemi,
 ch’io non mi lagnerò.
280Amatemi, miratemi
 o presto morirò.
 
    Che dite? Che fate?
 Negate pietà?
 
    Barbara donna,
285perfida furia,
 il duol mi lacera,
 mi svenerò.
 
    Caro bell’idol mio
 pieno d’amor son io,
290non siate più crudele,
 fedele a voi sarò.
 
 SCENA VII
 
 CINTIA, poi TULIA
 
 CINTIA
 Oh quanto mi fan ridere
 con questo sospirar, con questo piangere.
 Gli uomini non s’avveggono
295che quanto più le pregano
 le donne insuperbite più diventano
 e gli amanti per gioco allor tormentano.
 TULIA
 Cintia, che mai faceste
 al povero Giacinto? Egli sospira.
300Egli smania e delira;
 ah, se così farete,
 l’impero di quel cor voi perderete.
 CINTIA
 Anzi più facilmente
 lo perderei colla pietade e i vezzi.
305Gl’uomini sono avvezzi
 per la soverchia nostra
 facilità del sesso
 a saziarsi di tutto e cambiar spesso.
 
    Se gli uomini sospirano,
310che cosa importa a me?
 Che pianghino, che crepino
 ma vuo’ che stiano lì.
 Anch’essi se potessero
 con noi farian così.
 
315   Laddove delle femine
 il regno ancor non v’è
 la tirania dei perfidi
 purtroppo s’infierì;
 ed or di quelle misere
320vendetta si fa qui.
 
 SCENA VIII
 
 TULIA, poi RINALDINO
 
 TULIA
 Ma io, per dir il vero,
 sono di cor più tenero di lei,
 son con gli amanti miei
 quanto basta severa e orgogliosa;
325ma son, quando fia d’uopo, anco pietosa.
 Talor fingo il rigore,
 freno di lor l’affetto e la baldanza,
 fra il timore li tengo e la speranza.
 RINALDINO
 Tulia, bell’idol mio,
330de’ vostri servi il più fedel son io.
 Deh oziosa non lasciate
 la mia fede, il mio zelo,
 che sol quando per voi, bella, m’adopro,
 felicità nel mio destino io scopro.
 TULIA
335Dite il ver Rinaldino,
 siete pentito ancor d’avervi reso
 suddito e servo mio? Vi pesa e incresce
 della smarrita libertà primiera?
 Sembravi la catena aspra e severa?
 RINALDINO
340Oh dolcissimi nodi,
 sospirati, voluti e cari sempre
 al mio tenero cor! Sudino pure
 sotto l’elmo i guerrieri; Astrea tormenti
 i seguaci del foro; e di Galeno
345sui fogli malintesi
 studi e s’affanni il fisico impostore.
 Io seguace d’amore,
 fuor della turba insana
 di chi mena sua vita in duri stenti,
350godo, vostra mercé, pace e contenti.
 TULIA
 Noi con pietà trattiamo
 i vassalli ed i servi e non crudeli
 siamo coll’uom, qual colla donna è l’uomo.
 Noi dai consigli escluse,
355prive d’autorità, come se nate
 non compagne dell’uom ma serve e schiave,
 solo ad opre servili
 condannate dal vostro ingrato sesso,
 far per noi si dovria con voi lo stesso.
360Ma nostra autorità, nostro rigore
 temprerà dolce amore
 ed il vostro servir, che non fia grave,
 sarà grato per noi, per voi soave.
 
    Sappi che a te fedele
365sempre il mio cor serbai,
 che ancor chiudendo i rai
 fedele a te sarò.
 
 SCENA IX
 
 RINALDO solo
 
 RINALDINO
 Dov’è, dov’è chi dice
 che dura ed aspra sia
370d’amor la prigionia? Finché un amante
 vive dubbioso e incerto
 fra il dovere e l’amor, fra il dolce e il giusto,
 pace intera non ha ma poiché tutto
 s’abbandona al piacer gode e non sente
375i rimorsi del cor... Ma oh dio! Purtroppo
 li risento al mio sen, malgrado al cieco
 abbandono di me fatto al diletto,
 e mi sgrida l’onore, a mio dispetto.
 Ah! Che farò? Si studi,
380se possibile sia scacciar dal cuore
 il residuo fatal del mio rossore.
 
    Se belle tanto siete
 nell’ira e nel furore
 quali in amor farete,
385o vaghe del mio cuor
 luci adorate.
 
    Voi troppo fiere, o dio,
 sprezzate il foco mio
 e ad onta del amor
390in me volete ognor
 ire spietate.
 
 SCENA X
 
 GIACINTO ed AURORA
 
 GIACINTO
 Oh Diana mia gentil.
 AURORA
                                         Vago Ateone!
 GIACINTO
 Piacemi il paragone,
 poiché son vostro amante e vostro servo,
395ma ohimè, Ateone è divenuato un cervo!
 AURORA
 Io crudele non son qual fu la dea.
 GIACINTO
 Né io sarò immodesto
 qual fu il pastor dolente.
 AURORA
 Siete bello e prudente.
 GIACINTO
400Tutta vostra bontà.
 AURORA
 Giacinto, in verità
 voi mi piacete assai.
 GIACINTO
 Arder tutto mi sento ai vostri rai.
 
 SCENA XI
 
 CINTIA e detti
 
 CINTIA
 (Con Aurora Giacinto?)
 AURORA
405Ma voi di Cintia siete.
 GIACINTO
 Più di lei mi piacete.
 Parmi che il vostro bello
 mi renda assai più snello,
 miratemi nel volto, a poco a poco
410come per vostro amor son tutto foco.
 CINTIA
 Acqua, acqua, padrone, acqua vi vuole
 il foco ad ammorzar.
 GIACINTO
                                        Oh Cintia mia,
 ardo d’amor per voi.
 CINTIA
 Ingannarmi non puoi,
415ho le parole tue tutte ascoltate.
 GIACINTO
 Deh mia vita...
 CINTIA
                              E saranno bastonate.
 GIACINTO
 Bastonate a un par mio? Deh Aurora, a voi
 l’onor mio raccomando.
 AURORA
 Siete schiavo di Cintia, io non comando.
 CINTIA
420E voi, gentil signora,
 vi dilettate di rapire altrui
 il vassallo e l’amante?
 AURORA
 Faccio quello ancor io che fanno tante.
 CINTIA
 Ma con me nol farete.
 AURORA
                                          Allor che sappia
425di darvi gelosia,
 voi dovrete tremar dell’arte mia.
 CINTIA
 Distrutto in questa guisa
 nostro impero sarà.
 AURORA
                                       Poco m’importa.
 Pria che ceder al vostro
430fasto superbo e altero,
 vada tutto sossopra il nostro impero.
 CINTIA
 Giacinto, andiam.
 GIACINTO
                                    Vengo.
 AURORA
                                                   Crudel, voi dunque
 mi lasciate così?
 GIACINTO
                                 Ma se conviene...
 CINTIA
 Si viene o non si viene?
 GIACINTO
                                              Eccomi lesto.
 AURORA
435Morirò, se partite.
 GIACINTO
                                    Eccomi, io resto.
 CINTIA
 
    Venite o ch’io vi faccio
 provare il mio furor.
 
 AURORA
 
    Ingrato crudelaccio,
 voi mi strappate il cor.
 
 GIACINTO
 
440   (Mi trovo nell’impaccio
 fra amore e fra timor).
 
 CINTIA
 
    Voi siete il servo mio.
 
 GIACINTO
 
 È vero, sì signora.
 
 AURORA
 
 Amante vi son io.
 
 GIACINTO
 
445Anco il mio cor v’adora.
 
 CINTIA
 
 Voglio esser obbedita.
 
 GIACINTO
 
 Ed io v’obbedirò.
 
 AURORA
 
 Non merto esser tradita.
 
 GIACINTO
 
 Io non vi tradirò.
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
450   E ben che risolvete?
 
 GIACINTO
 
 Mie belle, se volete,
 io mi dividerò.
 Contente voi sarete,
 non dubitate no.
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
455   Di qua non vi partite,
 adesso tornerò.
 
 GIACINTO
 
    Contente voi sarete,
 non dubitate no. (Partono le due donne)
 
 GIACINTO
 
    Quest’è un imbroglio;
460no, più non voglio
 farmi sì bello.
 Perde il cervelo
 chi mi rimira.
 Ognun sospira
465per mia beltà.
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
    Ecco ritorno,
 eccomi qua.
 
 GIACINTO
 
    Belle mie stelle
 chiedo pietà.
 
 AURORA
 
470   Questo è il mio core (Gli presenta un core)
 per voi piagato.
 
 CINTIA
 
 Questo è un bastone (Gli mostra un bastone)
 per voi serbato.
 
 GIACINTO
 
 Son imbrogliato.
 
 AURORA
 
475Se lo bramate,
 ve lo darò.
 
 CINTIA
 
 Di bastonate
 v’accoperò.
 
 GIACINTO
 
    (L’una: «Ti dono»,
480l’altra: «Bastono»;
 quella il furore,
 questa l’amore,
 cosa farò?)
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
 Via risolvete.
 
 GIACINTO
 
485Risolverò.
 
    La vostra tirannia
 piacere non mi dà.
 La vostra cortesia
 contento più mi fa.
 
 AURORA
 
490   Venite dunque meco.
 
 GIACINTO
 
 Con voi mi porterò.
 
 CINTIA
 
    Bricon, se parti seco
 io ti bastonerò.
 
 GIACINTO
 
    Da voi le bastonate,
495da lei gli amplessi avrò.
 
 CINTIA
 
    Indegno, scelerato,
 io mi vendicherò.
 
 GIACINTO
 
    (Gridate, strepitate).
 
 AURORA
 
 (Intanto goderò).
 
 Fine dell’atto primo