Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano, Praga, 1755 (Il mondo alla roverscia o sia Le donne che comandano)

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Cortile spazioso, ornato di spoglie virili all’intorno, acquistate in varie guise dalle accorte femine.
 
 TULIA, CINTIA, AURORA, precedute da coro di donne, le quali portano seco loro delle vittoriose insegne. Mentre si canta il coro, gli uomini s’incatenano
 
 TULIA, CINTIA, AURORA
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
 CORO
 
    Non fa scorno e non dà pena
 volontaria schiavitù.
 
 TULIA
5Ite all’opre servili
 e partite fra voi le cure e i pesi.
 Altri alla rocca intesi,
 altri all’ago, altri all’orto o alla cucina,
 dove il nostro comando or vi destina.
 AURORA
10Obbedite, servite e poi sperate,
 che il regno delle donne
 è di speranza pieno.
 Se goder non si può, si spera almeno.
 CINTIA
 E chi vive sperando
15per sua felicità muore cantando.
 CORO
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
    Non fa scorno e non dà pena
 volontaria schiavitù. (Partono gli uomini incatenati, condotti dalle donne)
 
 SCENA II
 
 TULIA, CINTIA e AURORA
 
 TULIA
20Poiché del viril sesso
 abbiam noi sottomesso il fier orgoglio,
 tener l’abbiamo incatenato al soglio.
 Ma quai credete voi,
 mie fedeli compagne e consigliere,
25fian migliori i progetti,
 gli uomini per tenere a noi soggetti?
 CINTIA
 Questo nemico sesso,
 di natura superbo e orgoglioso,
 scuote e lacera il fren, quand’è pietoso.
30Col rigor, col disprezzo,
 soglion le scaltre donne
 tener gli uomini avvinti e incatenati.
 Se sono innamorati,
 tutto soglion soffrire; e quanto sono
35più sprezzanti le donne e più crudeli,
 essi son più pazienti e più fedeli.
 AURORA
 È ver, ma crudeltà consuma amore.
 Il consiglio migliore
 credo sia il lusingarli,
40finger ognor d’amarli,
 accenderli ben bene a poco a poco
 e poi del loro amor prendersi gioco.
 TULIA
 Né troppo crude né pietose troppo
 essere ci convien, poiché il disprezzo
45eccita la pietà soverchio usata.
 La fierezza è temuta e non amata.
 Regoli la prudenza
 il feminile impero.
 Or clemente, or severo
50il nostro cor si mostri
 ed il sesso virile a noi si prostri.
 CINTIA
 Ognun pensi a suo senno; io vuo’ costoro
 aspramente trattar, voglio vederli
 piangere, sospirare,
55fremere, delirare
 e vuo’ che, dopo un lungo
 crudo servire e amaro,
 un leggiero piacer mi paghin caro. (Parte)
 
 SCENA III
 
 TULIA ed AURORA
 
 TULIA
 Aurora, ah non vorrei
60che per troppo voler s’avesse a perdere
 l’acquistato finor dominio nostro.
 Donne alfin siamo e a noi
 forza non diè natura
 che nei vezzi, nei sguardi e in le parole.
65Spade e lancie trattar, loriche e scudi
 non è cosa da noi. Se l’uom si scuote,
 val più un braccio di lui che dieci destre
 di femine vezzose e tenerelle
 ch’hanno il loro potere in esser belle.
 AURORA
70Tulia, voi, per dir vero,
 sagiamente parlate e a voi la sorte
 diè sesso feminile
 ma il senno ed il saper più che virile.
 Anzi madre natura
75alla breve statura
 del vostro corpo graziosetto e bello
 ha supplito con darvi assai cervello.
 Indi la madre vostra
 vi diè il nome di Tulia con ragione,
80poiché sembrate un Tulio Cicerone.
 TULIA
 Raguniamo il consiglio.
 Facciam che stabilite
 siano leggi migliori, onde si renda
 impossibile all’uom scuotere il giogo.
85Che se l’uomo ritorna ad esser fiero
 farà strage crudel del nostro impero.
 
    Fiero leon, che audace
 scorse per l’ampia arena,
 soffre la sua catena
90e minacciar non sa.
 
    Ma se quei lacci spezza,
 ritorna alla fierezza,
 stragi facendo ei va.
 
 SCENA IV
 
 AURORA, poi GRAZIOSINO
 
 AURORA
 Che piacer, che diletto
95puol recar alla donna il fier rigore!
 Il trattar con amore
 gl’uomini a noi soggetti
 soffrir li fa la servitute in pace
 e la femina gode e si compiace.
100Io, fra quanti son presi ai lacci nostri,
 amo il mio Graziosino,
 amoroso, fedele e semplicino;
 e lo tratto, perché mi adori e apprezzi,
 con soavi parole e dolci vezzi.
105Elà. (Esce un servo) Venga qui tosto
 Graziosino, lo schiavo a me soggetto. (Parte il servo)
 Infatti il poveretto
 merita ch’io gli faccia buona ciera,
 se mi serve e mi fa da cameriera.
110Eccolo ch’egli viene. Ehi Graziosino.
 GRAZIOSINO
 Signora. (Viene facendo le calze)
 AURORA
                    Cosa fate?
 GRAZIOSINO
 Lavoro in fretta in fretta
 e in tre mesi ho fatt’io mezza calzetta.
 AURORA
 Lasciate il lavorar. Venite qui.
 GRAZIOSINO
115Bene, signora sì.
 AURORA
 Obbedirete sempre i cenni miei?
 GRAZIOSINO
 Io faccio quello che comanda lei.
 AURORA
 Caro il mio Graziosino,
 siete tanto bellino.
 GRAZIOSINO
120Mi fate vergognar.
 AURORA
                                     Vi voglio bene
 e vederete del mio amore il frutto.
 GRAZIOSINO
 Queste parole mi consolan tutto.
 AURORA
 Baciatemi la mano.
 GRAZIOSINO
                                      Gnora sì.
 AURORA
 Perché voi mi piacete,
125vi fo queste finezze.
 GRAZIOSINO
 Oh benedette sian le mie bellezze.
 AURORA
 Ma vuo’ che siate attento
 a servirmi qualora vi comando.
 La mattina per tempo
130mi recherete il cioccolate al letto;
 mi scalderete i panni;
 mi dovrete allestir la tavoletta;
 starete in anticamera aspettando
 per entrar il comando;
135e se verranno visite a trovarmi
 voi dovrete avisarmi
 e come fanno i buoni servitori
 voi dovrete aspettar e star di fuori.
 GRAZIOSINO
 Di fuori?
 AURORA
                    Vi s’intende.
 GRAZIOSINO
140E dentro...
 AURORA
                       Signor no,
 aspettar voi dovrete.
 GRAZIOSINO
                                        Aspetterò.
 AURORA
 Se farete così, vi vorrò bene.
 GRAZIOSINO
 Sì cara, farò tutto.
 Farò la cameriera;
145farò la cuciniera;
 farò tutte le cose più triviali;
 laverò le scudele e gli orinali.
 AURORA
 In cose tanto abiette
 impiegarvi non vuo’. Voi siete alfine
150il mio caro, il mio bello,
 il mio amor tenerello,
 il mio fedele amato Graziosino,
 tanto caro al mio cor, tanto bellino.
 
    Quegl’occhietti sì furbetti
155m’hanno fatta innamorar;
 quel bocchino piccinino
 mi fa sempre sospirar.
 
    Caro il mio bene,
 dolce mia spene,
160sempre, sempre
 ti voglio amar.
 
    (Ei gode tutto
 e questo è il frutto
 della lusinga.
165Ami o lo finga
 donna che vuole
 l’uomo incantar).
 
 SCENA V
 
 GRAZIOSINO solo
 
 GRAZIOSINO
 Oh che gusto, oh che gusto! Ah che mi sento
 andar per il contento il cor in brodo.
170Graziosin fortunato. Oh quanto io godo!
 Non si può dar nel mondo
 piacer che sia maggiore
 d’un corrisposto amore. Aman le belve,
 amano i sordi pesci, aman gli augelli,
175le pecore e gli agnelli;
 amano i cani e i gatti
 e quei che amar non san son tutti matti.
 
    Quando gli augelli cantano,
 amor li fa cantar;
180e quando i pesci guizzano,
 amor li fa guizzar.
 
    La pecora, la tortora,
 la passera, la lodola
 amor fa giubilar.
185Oh che piacer amabile!
 Oh che gustoso amar!
 
    Farò lo cuoco, farò lo sguattero;
 laverò i piatti ed ettecetera,
 purché l’amore mi faccia il core
190movere, ridere e giubilar.
 
 SCENA VI
 
 Camera.
 
 GIACINTO collo specchio in mano guardandosi con caricatura
 
 GIACINTO
 
    Madre natura,
 tu m’hai tradito
 ma t’ho schernito
 col farmi bello
195con il pennello,
 come le donne
 sogliono far.
 
 Questa parucca invero,
 questo capel, che colla polve è intriso,
200fa risaltar mirabilmente il viso.
 Al ragirar di queste
 mie vezzose pupille
 spargo fiamme e faville; e questa bocca,
 che sembra agli occhi miei graziosa e bella,
205fa tutte innamorar, quando favella.
 Queste donne son tutte
 invaghite di me; schiavo son io
 di queste belle, è vero,
 ma sovra il loro cor tutt’ho l’impero.
210Ecco la vaga Cintia. Presto, presto,
 il nastro, la parucca, i guanti, tutto,
 tutto assettar conviene e gli occhi e il labbro,
 colle dolci parole e i dolci sguardi
 si prepari a vibrar saette e dardi.
 CINTIA
215(Ecco il bell’amorino).
 GIACINTO
 Mia sovrana, mio nume, a voi m’inchino.
 CINTIA
 E ben, che fate qui?
 GIACINTO
                                       Qual farfalletta
 d’intorno al vostro lume
 vengo, mia bella, a incenerir le piume.
 CINTIA
220Parmi con più ragione
 vi potreste chiamare un farfallone.
 GIACINTO
 Quella vezzosa bocca
 non pronuncia che grazie e bizzarie.
 CINTIA
 La vostra non sa dir che scioccherie.
 GIACINTO
225Deh lasciate ch’io possa
 coll’odoroso fiato
 de’ miei caldi sospiri
 quelle belle incensar guancie adorate.
 CINTIA
 Andate via di qua; non mi seccate.
 GIACINTO
230Ah, se sdegnate, o bella,
 i fumi del mio cor, porterò altrove
 il mio guardo, il mio piede,
 il mio affetto sincero e la mia fede.
 CINTIA
 Olà, così si parla?
235Voi staccarvi da me! Voi d’altra donna
 servo, schiavo ed amante?
 Temerario, arrogante,
 voi dovete soffrir le mie catene.
 GIACINTO
 Qual mercede averò?
 CINTIA
                                          Tormenti e pene.
 GIACINTO
240Giove, Pluton, Nettuno,
 dei tremendi e possenti,
 voi che udite gli accenti
 d’una donna spietata,
 spezzate voi questa catena ingrata.
245Sì sì, Nettun m’inspira,
 Giove mi dà valore,
 Pluto mi dà furore;
 perfida tirannia,
 umilmente m’inchino e vado via.
 CINTIA
250Fermatevi; ed avrete
 tanto cor di lasciarmi?
 Voi diceste d’amarmi,
 di servirmi fedel con tutto il core
 ed ora mi lasciate? Ah traditore!
 GIACINTO
255Ma se voi mi sprezzate,
 se voi mi dileggiate,
 come s’io fossi un uom zottico e vile,
 e studio invan di comparir gentile.
 CINTIA
 Senza studiar, voi siete
260abbastanza gentil, grazioso e bello.
 Quell’occhio briconcello,
 quel vezzoso bocchin, quel bel visetto
 m’hanno fatta una piaga in mezzo al petto.
 GIACINTO
 Dunque, cara, mi amate?
 CINTIA
                                                 Sì v’adoro.
 GIACINTO
265Idol mio, mio tesoro,
 lingua non ho bastante
 per render grazie al vostro dolce amore.
 Concedete il favore
 che rispettosamente
270e umilissimamente
 io vi possa baciar la bella mano.
 CINTIA
 Oh signor no; voi lo sperate invano.
 GIACINTO
 Ma perché mai? Perché?
 CINTIA
 Queste grazie da me
275non si han sì facilmente.
 GIACINTO
 Io morirò.
 CINTIA
                      Non me n’importa niente.
 GIACINTO
 Dunque, se non v’importa,
 d’altra bella sarò.
 CINTIA
                                  Voi siete mio.
 GIACINTO
 Che ne volete far?
 CINTIA
                                    Quel che vogl’io.
 GIACINTO
280Ah quel dolce rigor più m’incatena!
 Soffrirò la mia pena,
 morirò, schiatterò, se lo bramate,
 basta, bell’idol mio, che voi mi amate.
 
    Cara Cintia, allor che voglio
285da te lungi andar un passo,
 sento in me sì gran cordoglio
 che m’impetro come un sasso,
 perdo i sensi, son gelato,
 resto immoto in mezzo qua.
 
290   Quel bel volto, anima mia,
 ah! il mio cor già pena e smania;
 tu conosci, tu ben vedi
 che scolpito è in petto a me.
 
 SCENA VII
 
 CINTIA, poi TULIA
 
 CINTIA
 Oh quanto mi fan ridere
295con questo sospirar, con questo piangere!
 Gli uomini non s’avveggono
 che quanto più le pregano
 le donne insuperbite più diventano
 e gli amanti per gioco allor tormentano.
 TULIA
300Cintia, che mai faceste
 al povero Giacinto? Egli sospira,
 egli smania e delira.
 Ah, se così farete,
 l’impero di quel cor voi perderete.
 CINTIA
305Anzi più facilmente
 lo perderei colla pietade e i vezzi.
 Gl’uomini sono avezzi
 per la soverchia nostra
 facilità del sesso
310a saziarsi di tutto e cambiar spesso.
 
    Se gl’uomini sospirano,
 che cosa importa a me?
 Che pianghino, che crepino
 ma vuo’ che stiano lì.
315Anch’essi, se potessero,
 con noi farian così.
 
    Là dove delle femine
 il regno ancor non v’è,
 la tirannia dei perfidi
320purtroppo s’infierì
 ed or di quelle misere
 vendetta si fa qui.
 
 SCENA VIII
 
 TULIA, poi RINALDINO
 
 TULIA
 Ma io, per dir il vero,
 sono di cor più tenero di lei,
325son con gli amanti miei
 quanto basta severa e orgogliosa
 ma son, quando fia d’uopo, anco pietosa.
 Talor fingo il rigore,
 freno di lor l’affetto e la baldanza,
330fra il timore li tengo e la speranza.
 RINALDINO
 Tulia, bell’idol mio,
 de’ vostri servi il più fedel son io.
 Deh oziosa non lasciate
 la mia fede, il mio zelo,
335che sol quando per voi, bella, m’adopro,
 felicità nel mio destino io scopro.
 TULIA
 Dite il ver Rinaldino,
 siete pentito ancor d’avervi reso
 suddito e servo mio? Vi pesa e incresce
340della smarrita libertà primiera?
 Sembravi la catena aspra e severa?
 RINALDINO
 Oh dolcissimi nodi,
 sospirati, voluti e cari sempre
 al mio tenero cor! Sudino pure
345sotto l’elmo i guerrieri; Astrea tormenti
 i seguaci del foro; e di Galeno
 sui fogli malintesi
 studi e s’affanni il fisico impostore.
 Io seguace d’amore,
350fuor della turba insana
 di chi mena sua vita in duri stenti,
 godo, vostra mercé, pace e contenti.
 TULIA
 Noi con pietà trattiamo
 i vassalli ed i servi e non crudeli
355siamo coll’uom, qual colla donna è l’uomo.
 Noi dai consigli escluse,
 prive d’autorità, come se nate
 non compagne dell’uom ma serve e schiave,
 solo ad opre servili
360condannate dal vostro ingrato sesso,
 far per noi si dovria con voi lo stesso.
 Ma nostra autorità, nostro rigore
 temprerà dolce amore
 ed il vostro servir, che non sia grave,
365sarà grato per noi, per voi soave.
 
    Voi donzelle che vedete
 qual mi reca amore affanno
 imparate del tiranno
 a fuggir la crudeltà.
 
370   Ei piacer promette e pace
 ma ne cinge di catene
 e sperar non ci conviene
 di tornare in libertà.
 
 SCENA IX
 
 RINALDINO solo
 
 RINALDINO
 Dov’è, dov’è chi dice
375che dura ed aspra sia
 d’amor la prigionia? Finché un amante
 vive dubioso e incerto
 fra il dovere e l’amor, fra il dolce e il giusto,
 pace intera non ha ma poiché tutto
380s’abbandona al piacer gode e non sente
 i rimorsi del cor... Ma oh dio! Purtroppo
 li risento al mio sen, malgrado al cieco
 abbandono di me fatto al diletto,
 e mi sgrida l’onore a mio dispetto.
385Ah! Che farò? Si studi,
 se possibile sia, scacciar dal cuore
 il residuo fatal del mio rossore.
 
    Sento che nel mio seno
 voce d’onor mi sgrida,
390dice che ho l’alma infida,
 se lascio il caro ben.
 
    Del cor non è difetto,
 è colpa sol d’amore
 e il misero mio petto
395ah non penasse almen.
 
 SCENA X
 
 GIACINTO ed AURORA
 
 GIACINTO
 Oh Diana mia gentile!
 AURORA
                                            Vago Ateone!
 GIACINTO
 Piacemi il paragone,
 poiché son vostro amante e vostro servo,
 ma ohimè, che Ateone è diventato un cervo.
 AURORA
400Io crudele non son qual fu la dea.
 GIACINTO
 Né io sarò immodesto
 qual fu il pastor dolente.
 AURORA
 Siete bello e prudente.
 GIACINTO
 Tutta vostra bontà.
 AURORA
405Giacinto, in verità
 voi mi piacete assai.
 GIACINTO
 Arder tutto mi sento ai vostri rai.
 
 SCENA XI
 
 CINTIA e detti
 
 CINTIA
 (Con Aurora Giacinto?) (Da sé)
 AURORA
 Ma voi di Cintia siete.
 GIACINTO
410Più di lei mi piacete.
 Parmi che il vostro bello
 mi renda assai più snello.
 Miratemi nel volto, a poco a poco
 come per vostro amor son tutto foco.
 CINTIA
415Acqua, acqua, padrone, acqua vi vuole
 il foco ad ammorzar.
 GIACINTO
                                        Oh Cintia mia,
 ardo d’amor per voi.
 CINTIA
 Ingannarmi non puoi,
 ho le parole tue tutte ascoltate.
 GIACINTO
420Deh mia vita...
 CINTIA
                              E saranno bastonate.
 GIACINTO
 Bastonate a un par mio? Deh Aurora, a voi
 l’onor mio raccomando.
 AURORA
 Siete schiavo di Cintia; io non comando.
 CINTIA
 E voi, gentil signora,
425vi dilettate di rapire altrui
 il vassallo e l’amante?
 AURORA
 Faccio quello ancor io che fanno tante.
 CINTIA
 Ma con me nol farete.
 AURORA
                                          Allor che sappia
 di darvi gelosia,
430voi dovrete tremar dell’arte mia.
 CINTIA
 Distrutto in questa guisa
 nostro impero sarà.
 AURORA
                                       Poco m’importa;
 pria che ceder al vostro
 fasto superbo e altero,
435vada tutto sossopra il nostro impero.
 CINTIA
 Giacinto, andiam.
 GIACINTO
                                    Vengo.
 AURORA
                                                   Crudel, voi dunque
 mi lasciate così?
 GIACINTO
                                 Ma se conviene...
 CINTIA
 Si viene o non si viene?
 GIACINTO
                                              Eccomi lesto.
 AURORA
 Morirò, se partite.
 GIACINTO
                                    Eccomi, io resto.
 CINTIA
 
440   Venite o ch’io vi faccio
 provare il mio furor.
 
 AURORA
 
    Ingrato, crudelaccio,
 voi mi strappate il cor.
 
 GIACINTO
 
    (Mi trovo nell’impaccio
445fra amor e fra timor).
 
 CINTIA
 
    Voi siete il servo mio.
 
 GIACINTO
 
 È vero, sì signora.
 
 AURORA
 
 Amante vi son io.
 
 GIACINTO
 
 Anco il mio cor v’adora.
 
 CINTIA
 
450Voglio esser ubbidita.
 
 GIACINTO
 
 Ed io v’ubbidirò.
 
 AURORA
 
 Non merto esser tradita.
 
 GIACINTO
 
 Io non vi tradirò.
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
    E ben, che risolvete?
 
 GIACINTO
 
455Mie belle, se volete,
 io mi dividerò.
 Contente voi sarete,
 non dubitate, no.
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
    Di qua non vi partite,
460adesso tornerò.
 
 GIACINTO
 
    Contente voi sarete,
 non dubitate, no. (Partono le due donne)
 
    Quest’è un imbroglio;
 no, più non voglio
465farmi sì bello.
 Perde il cervello
 chi mi rimira.
 Ognun sospira
 per mia beltà.
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
470   Ecco ritorno,
 eccomi qua.
 
 GIACINTO
 
    Belle mie stelle,
 chiedo pietà.
 
 AURORA
 
    Questo è il mio core
475per voi piagato. (Gli presenta un core)
 
 CINTIA
 
 Questo è un bastone
 per voi serbato. (Gli mostra un bastone)
 
 GIACINTO
 
 Son imbrogliato.
 
 AURORA
 
 Se lo bramate,
480ve lo darò.
 
 CINTIA
 
 Di bastonate
 v’accopperò.
 
 GIACINTO
 
    (L’una: «Ti dono»,
 l’altra: «Bastono»;
485quella il furore,
 questa l’amore;
 cosa farò?)
 
 CINTIA, AURORA A DUE
 
 Via risolvete.
 
 GIACINTO
 
 Risolverò.
 
490   La vostra tirannia
 piacere non mi dà. (A Cintia)
 La vostra cortesia
 contento più mi fa. (Ad Aurora)
 
 AURORA
 
    Venite dunque meco.
 
 GIACINTO
 
495Con voi mi porterò.
 
 CINTIA
 
    Bricon, se parti seco,
 io ti bastonerò.
 
 GIACINTO
 
    Da voi le bastonate,
 da lei gli amplessi avrò.
 
 CINTIA
 
500   Indegno, scelerato,
 io mi vendicherò.
 
 GIACINTO
 
    Gridate, strepitate.
 
 AURORA
 
 (Intanto goderò).
 
 Fine dell’atto primo