De gustibus non est disputandum, Venezia, Fenzo, 1754

Vignetta Frontespizio
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera.
 
 ERMINIA ed ARTIMISIA
 
 Artimisia
 Venite qui, nipote garbatissima,
 vi voglio consolare; anzi vi voglio
 chiedere un po’ di scusa,
1080se per divertimento
 recato ho al vostro cuor qualche tormento.
 Siamo in campagna alfine
 e par che la campagna ci permetta
 di far, per allegria, qualche scenetta.
 Erminia
1085Signora, io non v’intendo.
 Artimisia
 Mi spiegherò! Sappiate
 che il povero Celindo
 v’ama, v’adora ed è fedele a voi.
 Diciamola tra noi,
1090un po’ di tentazion gli ho posta in mente
 ma l’ho fatto per burla e non è niente.
 Erminia
 Voi faceste da scherzo, egli davvero.
 In ogni guisa, è sempre
 mancatore Celindo.
 Artimisia
                                       Eh via, nipote,
1095ogni trista memoria ormai si taccia,
 chi è di là? (Viene il paggio)
 Erminia
                        Quell’ingrato
 mi ha schernito, mi ha offeso e mi tradì.
 Artimisia
 Dite a Celindo che l’aspetto qui. (Al paggio che parte)
 Erminia
 Seco non vuo’ parlar.
 Artimisia
                                         Sì nipotina,
1100parlate al meschinel che vi vuol bene.
 Serbar odio per questo non conviene.
 Erminia
 No, non merita amore.
 Artimisia
                                            Eccolo.
 Erminia
                                                           Io parto.
 Artimisia
 Alfin son vostra zia.
 Un affronto non soffro in casa mia.
 Erminia
1105Resterò per rispetto.
 Artimisia
 (Vuo’ che faccian la pace a lor dispetto).
 
 SCENA II
 
 CELINDO e detti
 
 Celindo
 Che si vuole da me?
 Artimisia
                                        Celindo caro,
 la maschera mi levo e parlo chiaro.
 Finsi amare con voi sol per far prova
1110della costanza vostra
 con Erminia che v’ama;
 e mi ha scandalizzato
 debol tanto trovarvi e tanto ingrato.
 Celindo
 Merito è ver lo scherno,
1115merito sdegno e non domando amore.
 Ma se pietoso il cuore
 s’arrese al vostro pianto,
 reo della colpa mia non son poi tanto.
 Artimisia
 Uditelo nipote;
1120ei da sé stesso mancator s’accusa
 e nel merito mio trova la scusa.
 Di pietà non è indegno
 chi mi apprezza e mi stima a questo segno.
 Erminia
 Se vi fanno pietà gli affetti suoi
1125consolatelo voi. (Ad Artimisia)
 Artimisia
                                E perché no?
 Se lo dite davvero io lo farò.
 Erminia
 (Misera me!)
 Artimisia
                            Finiamola.
 Venite qui. (A Celindo)
 Celindo
                         Obbedisco.
 Artimisia
 Datemi quella mano.
 Erminia
                                         (Oimè, che tenta?)
 Artimisia
1130Nipotina gentil siete contenta?
 Erminia
 Ah che voi mi tradite.
 Amo ancor quell’ingrato,
 lo confesso purtroppo a mio rossore;
 voi da questo mio sen strappate il cuore.
 Artimisia
1135Ah ah l’ho indovinata.
 L’avete confessata
 la passione che ancor v’arde di drento.
 Ora è il mio cuor contento.
 Ecco, Celindo è vostro e non è mio.
1140Aggiustatevi voi; signori, addio. (Parte)
 
 SCENA III
 
 ERMINIA e CELINDO
 
 Celindo
 Bella Erminia adorata.
 Erminia
 Bella a me, se sprezzata
 m’avete ingrato, audacemente altero?
 Celindo
 Idol mio, non è vero.
1145Artimisia ha voluto
 ridere a spese nostre, io l’ho saputo.
 Erminia
 Ma voi del di lei merito
 siete invaghito.
 Celindo
                               Il pianto
 di colui m’avvilì.
 Erminia
                                  Che debil cuore!
1150Per pietà divenuto è traditore?
 
    Fra le virtù dell’alma
 bella pietà si onora;
 ma la pietade ancora
 sempre non è virtù.
 
1155   Quando l’onesto eccede,
 nemica alla ragione,
 quando al dover s’oppone,
 non si conosce più. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 CELINDO, poi don PACHIONE
 
 Celindo
 Alfin si placherà, placato io sono.
1160Ogn’onta le perdono... Ma qual onta?
 Ella non m’ha sprezzato.
 Artimisia l’ha detto ed ha scherzato.
 È ver che siamo in villa,
 che di tutto si può prendersi gioco.
1165Ma Artimisia, per dirla, eccede un poco.
 don Pachione
 Amico, allegramente.
 Celindo
 Allegri se si può.
 don Pachione
 Allegri, che stassera io mangerò.
 Celindo
 D’essere avvelenato
1170non avete paura?
 don Pachione
 No, Artimisia mel dice e m’assicura.
 Celindo
 Ed io credo che mai
 vi sia stato per voi cotal periglio,
 scherza Artimisia e noi pone in scompiglio.
 don Pachione
1175Sia com’esser si voglia
 stassera mangerò; questo mi basta.
 Se giunger posso a lavorar coi denti
 i perigli mi scordo ed i tormenti.
 Celindo
 Già la sera s’avanza,
1180nella vicina stanza
 s’imbandisce la mensa e manca poco
 a consolarvi affatto.
 don Pachione
 Artimisia da me voluto ha un patto.
 Celindo
 E quale?
 don Pachione
                    Pria che giunga
1185l’ora d’andare a cena
 vuol ch’io abbia la pena
 di stare a tavolino
 col gioco a trattener Ramerino.
 Celindo
 Che bizzaro pensier.
 don Pachione
                                        Dice che a tutti
1190vuol dar sodisfazione,
 contenta di ciascun vuol la passione.
 Obbedirla anche in ciò da me si deve
 ma farò una partita breve breve.
 Celindo
 Voi amate Artimisia e non sapete
1195ch’ella del cavalier...
 don Pachione
                                       Pazzo è il meschino.
 Celindo
 Non credo che lo sia ma se tal fosse
 è certa la ragione,
 che Artimisia di tutto è la cagione.
 
    Ah sono pur tanti
1200que’ miseri amanti
 che vivono in pene
 fra l’aspre catene
 ed han per mercede
 d’amore e di fede
1205tormenti e rigor.
 
    Resister non puote
 a legge sì dura.
 Lo spirto si scuote,
 la mente s’oscura.
1210Si cangia in deliri
 l’ardor de’ sospiri
 d’un misero cor. (Parte)
 
 SCENA V
 
 Don PACHIONE, poi RAMERINO
 
 don Pachione
 Ehi ehi Ramerino. (Verso la scena)
 Venite qui, spicciamoci una volta.
1215Son pronto a sodisfar le vostre brame;
 giochiam pure, ma presto, perché ho fame.
 Ramerino
 Portate il tavoliere
 e carte e segni e più d’un candeliere.
 A qual gioco giochiamo?
 don Pachione
                                               A un gioco presto.
 Ramerino
1220Giocheremo a picchetto.
 Un filippo per un, per me direi
 chi prima arriva alle partite sei.
 don Pachione
 Starem qui tutta notte?
 No, facciamla finita.
1225D’un filippo si giochi una partita.
 Ramerino
 Una partita sola?
 don Pachione
 Una partita e presta.
 
 SCENA VI
 
 ROSALBA e detti ed i servi che portano il tavolino con quel che occore per il gioco
 
 Rosalba
 Non venite signor? La cena è lesta.
 don Pachione
 Vengo sì...
 Ramerino
                      Dove andate,
1230non dovete mangiar se non giocate.
 Artimisia lo disse.
 don Pachione
                                    È vero, il so.
 Artimisia crudele, io giocherò.
 Presto per compassione.
 Ramerino
                                               Io non ho fretta. (Siede)
 don Pachione
 Giochiam questo filippo alla bassetta.
 Ramerino
1235Precipitoso non son io nel gioco.
 Il danaro lo perdo a poco a poco.
 don Pachione
 Le carte farò io.
 Ramerino
                                No, mio signore.
 Lei mi fa troppo onore; s’ha da alzare
 e alla sorte veder chi tocca a fare.
 don Pachione
1240Che seccatura; andiamo. Tocca a me.
 Rosalba
 Signori miei il danaro
 reca quando si perde un po’ di pena,
 fate così, giocatevi la cena.
 don Pachione
 Misero me se la perdessi. Presto
1245ho scartato, signor, son bell’e lesto.
 Ramerino
 Adagio non ho ancora
 il gioco esaminato.
 Oh! Ve ne lascio una.
 don Pachione
                                         Se ho scartato.
 Ramerino
 Vostro danno... Ma no, non vi fo torto,
1250ritornerò a scartar!
 don Pachione
                                      Son mezzo morto.
 Rosalba
 Finitela una volta,
 che la cena patisce.
 don Pachione
                                      Avete inteso?
 Ramerino
 Io v’ho dato ripicco.
 don Pachione
                                       Ed io l’ho preso. (S’alza)
 Ecco il filippo; andiam; son contentissimo.
 Ramerino
1255La revincita, presto.
 don Pachione
                                       Obbligatissimo.
 Ramerino
 Un punto a faraone. (Fa il taglio)
 don Pachione
                                        Signor no.
 Ramerino
 A madama dirò
 che non son sodisfatto.
 don Pachione
 Voi mi volete far diventar matto.
 
1260   Presto un punto. Vada il re.
 Dite lor che vengo tosto. (A Rosalba)
 E che aspettino anche me.
 È venuto? Signor no.
 Quando viene? Creperò.
 
1265   Rosalbina, andate innanzi, (A Rosalba)
 non vorrei passar de’ guai.
 Questo re non viene mai?
 È venuto, l’ho perduto,
 tre filippi han da bastar.
1270No, non voglio più giocar. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 RAMERINO e ROSALBA
 
 Ramerino
 Or son contento anch’io;
 è questo il gusto mio.
 Quando m’ho divertito
 mangio con più piacer, con più appetito.
 Rosalba
1275Sia ringraziato il cielo,
 veder gli altri contenti è il mio gran spasso,
 quando godono gli altri anch’io m’ingrasso.
 Ramerino
 Fin che staremo insieme
 v’ingrasserete poco.
1280Sfortunato nel gioco
 son un che gioca sempre e sempre perde
 e son, Rosalba mia, ridotto al verde.
 
    L’umanità infelice
 a delirar soggetta
1285il proprio mal s’affretta
 incauta a procacciar.
 
    Trova diletto in quello
 che più le reca affanno,
 o non conosce il danno
1290o non lo vuol curar. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 ROSALBA sola
 
 Rosalba
 Mi par assai che un uomo
 e conosca e ragioni e parli bene
 e non sappia poi far quel che conviene.
 Compatibili sono i ciechi nati,
1295non gl’imprudenti e sciocchi
 che colle proprie man si cavan gli occhi.
 
    Io veggo il periglio
 d’un tenero amore,
 ascolto il consiglio
1300che mandami il cuore.
 Mi piace, m’alletta
 la mia libertà.
 
    M’insegna, mi dice
 farfalla infelice
1305che perde le piume
 chi scherza col lume,
 chi tema non ha. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 ARTIMISIA ed il CAVALIERE
 
 il Cavaliere
 Deh lasciatemi andar.
 Artimisia
                                           No, cavaliere.
 La contessa non son di Montebello.
 il Cavaliere
1310Né il cavalier son io.
 Artimisia
                                        Sì, siete quello.
 il Cavaliere
 O voi tre volte il giorno
 vi cambiate di cuore e di pensiero
 o divenuto i’ son pazzo davvero.
 Artimisia
 Orsù qualunque sia
1315questa vostra pazzia, guarirla io voglio.
 Preso ho l’impegno che sarete sano
 e quando parlo non favello invano.
 il Cavaliere
 Non ha la testa mia perduto il sale.
 Artimisia
 Del rimedio si parli e non del male.
1320Io vi voglio guarir.
 il Cavaliere
                                     Come?
 Artimisia
                                                     Con niente.
 I pazzi io li guarisco facilmente.
 Il canto vi diletta?
 il Cavaliere
                                    Sì signora.
 Artimisia
 Ed il ballo vi piace?
 il Cavaliere
                                       Il ballo ancora.
 Artimisia
 Del matrimonio vi dispiacerebbe
1325la soavissima face?
 il Cavaliere
 È questa un’altra cosa che mi piace.
 Artimisia
 Ecco il rimedio vostro. In questa sera
 dopo la breve cena,
 musica vi sarà, vi sarà il ballo.
1330Voi, che avete buon gusto e buona testa,
 sarete il direttore della festa.
 il Cavaliere
 Lo farò, sì signora.
 Artimisia
 Tutto non dissi ancora.
 Porgendovi di sposa alfin la mano,
1335tornerete del tutto allegro e sano.
 Ah? Che vi par?
 il Cavaliere
                                 Mi sento
 il core giubbilar per l’allegrezza.
 Cotanta contentezza
 con un sì dolce bene
1340guarirebbero i pazzi da catene.
 Io sono il cavalier, son Roccaforte.
 Vostro sposo son io, voi mia consorte.
 Artimisia
 Piano un poco.
 il Cavaliere
                              Tornate
 a volermi patetico?
 Artimisia
                                      Un sol patto
1345voglio da voi per accordarvi il resto.
 il Cavaliere
 Qual è il patto, mia cara?
 Artimisia
                                                Eccolo. È questo.
 Voglio che in faccia a tutti
 di nostra compagnia
 confessiate che deste in frenesia.
1350Voglio che dite d’essere impazzito
 e che la mia virtù v’abbia guarito.
 il Cavaliere
 Ma come l’ho da dir?...
 Artimisia
                                            Tant’è, dovete
 accordar che impazziste e dirlo a tutti.
 Altrimenti vi lascio e me ne vo.
1355Ben lo direte voi?
 il Cavaliere
                                   Sì lo dirò.
 Artimisia
 Andiamo dunque uniti
 a principiar la cena.
 Il povero Pacchione aspetta e pena.
 il Cavaliere
 Ma se confesso io stesso
1360d’esser stato impazzito...
 Artimisia
                                               O sì o no;
 quel ch’io voglio direte?
 il Cavaliere
                                              Io lo dirò.
 Artimisia
 
    Cavalierin gentile
 siete il mio dolce amor.
 
 il Cavaliere
 
    Ah che piacer simile
1365non ho provato ancor.
 
 Artimisia
 
    Ebbi pietà di voi
 misero pazzo allor.
 
 il Cavaliere
 
    Pazzo non fui, signora...
 
 Artimisia
 
 Come! Si nega! Olà.
 
 il Cavaliere
 
1370   Sì sono pazzo ancora,
 questa è la verità.
 
 Artimisia
 
    Pazzo non siete,
 voi mi piacete.
 
 il Cavaliere
 
 Mi sanerete
1375se mia sarete.
 
 a due
 
 Il nostro cuore
 pietoso amore
 consolerà.
 
 Artimisia
 
    Ma voi senza cervello
1380perché di Montebello
 contessa dire a me?
 
 il Cavaliere
 
    E voi perché volere
 negar che il cavaliere
 io fossi? Ma perché?
 
 Artimisia
 
1385   Voi eravate pazzo.
 
 il Cavaliere
 
 Codesto è uno strapazzo.
 
 Artimisia
 
 Negate se potete
 ed io vi lascerò.
 
 il Cavaliere
 
    Dirò come volete
1390e lo confermerò.
 
 Artimisia
 
    Cavalierino
 caro, carino.
 
 il Cavaliere
 
 Ah madamina
 bella, bellina.
 
 a due
 
1395Leva il cervello
 quel bambinello
 del dio d’amor.
 
    Ma lieto rende
 con sue vicende
1400la pace al cor. (Partono)
 
 SCENA X
 
 Sala illuminata con tavola per la cena.
 
 ERMINIA, CELINDO, don PACCHIONE, don RAMERINO, ROSALBA e servi
 
 don Pachione
 Dove si son ficcati
 Artimisia ed il pazzo?
 L’arrosto si consuma,
 la zuppa si raffredda e l’ora è tarda
1405e la fame vie più divien gagliarda.
 Rosalba
 Eccoli.
 don Pachione
                Grazie al cielo.
 Che levino l’arrosto. (Ad un servo)
 A tavola ciascun prenda il suo posto. (Agli altri compagni)
 
 SCENA ULTIMA
 
 ARTIMISIA, il CAVALIERE e detti
 
 Artimisia
 Scusate, amici, ecco la parca cena
1410che al solito s’appresta.
 don Pachione
 Andiamo, via, che siate benedetta.
 Artimisia
 Ma prima che ceniamo,
 il cavaliere a cui
 tornata è nel cervello la ragione
1415vuol far la descrizione
 del mal della pazzia, ch’egli ha provato,
 e del rimedio che l’ha risanato.
 don Pachione
 No, per amor del cielo.
 Celindo
                                            Eh sì sentiamo.
 don Pachione
 Signora son due ore che aspettiamo.
 Artimisia
1420Cavalier fate presto.
 il Cavaliere
                                        Che dirò?
 Artimisia
 Che siete stato pazzo.
 il Cavaliere
                                          Sì signori.
 Artimisia
 Che non conoscevate
 più voi medesmo né gli amici vostri.
 il Cavaliere
 È vero.
 Artimisia
                 Che vi pareva
1425d’essere diventato una gran bestia.
 il Cavaliere
 Questo poi...
 Artimisia
                          Lo negate?
 il Cavaliere
                                                Eh non lo nego.
 Artimisia
 Or chi vi risanò dite, vi prego.
 il Cavaliere
 D’Artimisia la mano,
 signori miei, mi fe’ ritornar sano.
 don Pachione
1430È finita l’istoria?
 Artimisia
 L’istoria è terminata.
 Erminia
 Signora zia garbata
 mi rallegro con lei.
 Celindo
 Anch’io con tal pozion risanerei.
 Artimisia
1435Animo dunque, o cari.
 Fate quel che ho fatt’io,
 coraggio vi darà l’esempio mio.
 Sposatevi, alla fine
 ad Erminia di madre in luogo io sono.
1440Fatelo e cento doppie anch’io vi dono.
 Celindo
 Che dite? (Ad Erminia)
 Erminia
                      Io non disento.
 Celindo
 Ecco mio ben la destra.
 Erminia
                                             Ecco la mano.
 Le cento doppie. (Ad Artimisia)
 Artimisia
                                  Io non prometto invano.
 don Pachione
 Anche codesta è fatta.
1445E non si mangia mai?
 Artimisia
                                           Sì don Pacchione,
 ora si mangerà. Tutti contenti
 voglio che siate alfin. Celindo, Erminia,
 inclinati agli amori
 goderanne il piacer de’ loro ardori.
1450Il cavalier felice
 sarà nell’allegria,
 risanato da me dalla pazzia.
 Don Ramerin col gioco è soddisfatto.
 Mangerà don Pacchion qualche buon piatto.
1455Rosalba, che sol gode
 gli altri allegri veder, si rasserena.
 Siamo tutti contenti. Andiamo a cena.
 
 Coro
 
 don Pachione
 
    Che gusto, che diletto
 è quello del mangiar.
 
 Erminia, Celindo
 
1460   Del gusto dell’affetto
 maggior non si può dar.
 
 don Ramerino
 
    Il gioco è il re de’ gusti.
 
 Rosalba
 
 Mi gusta l’altrui ben.
 
 il Cavaliere
 
    Il gusto che mi piace
1465è sempre giubbilar.
 
 Artimisia
 
    Il gusto che mi piace
 è gli altri tormentar.
 
 tutti
 
    Ciascuno godi.
 Suo gusto lodi
1470e tornisi a cantar:
 
    «De’ gusti disputar cosa è fallace,
 non è bel quel ch’è bel ma quel che piace».
 
 Fine del dramma