Gustavo primo re di Svezia, Venezia, Rossetti, 1740

Vignetta Frontespizio
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 ERNESTO, ERGILDA
 
 Ernesto
 Felicissimo giorno in cui riaquista
325la nostra libertade il fregio antico.
 Scaccia dal volto, Ergilda,
 l’importuno pallor. Richiama il riso
 sulle timide labbra. Io stesso, io stesso
 vidi dall’alte mura
330l’inimico fuggir.
 Ergilda
                                 Ah ciò non basta
 per l’afflitto mio cor. Deh, padre amato,
 consolami; concedi
 Learco all’amor mio.
 Ernesto
                                        Ma del suo affetto
 assicurar ti puoi? Non mi dicesti
335ch’è tua rival Dorisbe?
 Ergilda
                                            È vero e temo
 di costei le lusinghe, ah se tu m’ami,
 padre, lungi da noi scaccia l’ingrata.
 Non è tua figlia alfin.
 Ernesto
                                         Saria empietade
 l’abbandonar un’infelice.
 Ergilda
                                                Adunque
340per Ergilda e Dorisbe
 fia del tuo cor la tenerezza eguale?
 Dorisbe è donna vil.
 Ernesto
                                        No, non è tale.
 In Dorisbe rispetta
 de’ nostri antichi re l’ultimo germe.
 Ergilda
345Signor, mi narri il ver?
 Ernesto
                                             Non mente Ernesto.
 Ergilda
 Il suo nome?
 Ernesto
                           Clotilde.
 Ergilda
                                             E come mai
 giunse nelle tue man? Da cruda belva
 non dicesti d’averla
 difesa per pietà? Che i suoi natali
350erano ignoti a te?
 Ernesto
                                   Sì, tutto finsi
 per celare l’arcano. Io la sottrassi
 dalla stragge crudel del regio sangue.
 Tutti i figli del re, tutti i nipoti
 di coltello perir. Solo in Gustavo,
355benché in man de’ nemici
 vivea la nostra speme; e questo pure
 ci tolsero li dei. Son già due lustri
 che somerso è nell’onde. Or questa figlia
 l’avanzo è sol della regal famiglia.
 Ergilda
360Dunque dovrò a Clotilde
 io la fronte chinar?
 Ernesto
                                      No; devi cauta
 celar l’arcano. Il dissi
 per frenar l’ira tua. Finché Dorisbe
 si crede tale, è tua soggetta. Averti,
365se la scopri, dovrebbe
 cederle i primi onori il tuo rispetto.
 Ergilda
 Tutto le cederei fuor che l’affetto.
 Ernesto
 Ma qual suono? Quai gridi? Ecco Learco;
 ecco il popol festoso.
 Ergilda
                                        Oh dei! Dorisbe
370al trionfo precede?
 Cotanto ardire ogni misura eccede.
 
 SCENA II
 
 LEARCO, DORISBE, ARGENO, seguito di guerrieri e popolo e detti
 
 coro
 
    Viva il nostro difensore
 che in valor pari non ha.
 Viva il gran vendicatore
375della nostra libertà.
 
 Ergilda, Dorisbe a due
 
    Numi voi del mio dolore
 deh movetevi a pietà.
 Consolate un mesto core
 pien d’amore e fedeltà. (Ogniuna da sé)
 
 coro
 
380   Viva il nostro diffensore
 che in valor pari non ha;
 viva il gran vendicatore
 della nostra libertà.
 
 Learco
 Achetatevi, amici, e il vostro zelo
385con inni più divoti
 sciolga i suoi voti e renda grazie al cielo.
 Ernesto
 Lascia che al sen ti stringa
 generoso garzon. Tu rendi a questa
 patria, un tempo infelice, il suo riposo.
 Ergilda
390Permettimi che possa,
 signor, col labbro mio
 formar applausi alle tue glorie anch’io.
 Learco
 Per sì bella vittoria
 nulla si deve a me. Le calde preci
395del popolo fedel giunsero al cielo
 ed in nostra difesa
 tutte pugnar le intelligenze eterne.
 Ernesto
 Apprenda ognun di voi
 la favella qual sia de’ veri eroi.
 Dorisbe
400Tenti, Learco, invano
 celar la tua virtù. Come nel seno
 chiudi un cor valoroso,
 così questo tuo cor fosse pietoso.
 Argeno
 Non fu solo Learco
405distruttor de’ nemici. Anch’io, Dorisbe,
 nel cimento pugnai;
 fui compagno al trionfo e vinsi anch’io.
 Dorisbe
 Ma non hai di Learco
 le più belle virtù.
 Argeno
410Di’ che gl’affetti tuoi
 lo distinguon così.
 Dorisbe
                                    Sì; ciò che vuoi.
 Ergilda
 (Superba!) (Da sé)
 Learco
                         In sì bel giorno
 chetati, Argeno.
 Argeno
                                Invan lo speri.
 Ernesto
                                                             Audace,
 vuoi funestar con tue follie la pace?
 Argeno
415Io cerco da un’ingrata
 per cui piango e sospiro il mio riposo.
 Da Learco pretendo
 più rispetto al mio grado; e il genitore
 più pietoso vorrei d’un figlio al core.
 Ernesto
420In Learco rispetta
 il tuo benefattor. Del padre in faccia
 modera il troppo ardir. Serba il tributo
 dal cor del figlio al genitor dovuto.
 Argeno
 (Taccia per or lo sdegno. A miglior tempo
425vendicarmi saprò). (Da sé) Deh chi di voi
 provò nel seno amore
 compatisca i trasporti al mio dolore.
 
    Chi sa che cosa è amar
 senza speranza in sen
430gl’effetti condonar
 del mio dolor saprà.
 
    Acceso d’altro amor
 mirar l’amato ben
 è un barbaro dolor
435che simile non ha.
 
 SCENA III
 
 ERNESTO, LEARCO, ERGILDA, DORISBE e popolo
 
 Ernesto
 Dunque sperar potiamo
 di compita vittoria il certo frutto?
 Learco
 Non v’è più che temer. L’usurpatore
 cadde fra’ primi. Al suo cader le schiere
440spaventate, confuse,
 volsero a noi le spalle. I nostri brandi
 le giunsero però. Pagar col sangue
 gl’ostinati l’ardir; ma fu da noi,
 dicasi a nostro vanto,
445sparmiato il sangue a chi versava il pianto.
 Ernesto
 Figlio ti attendo al fonte
 pria che tramonti il sole. Affar non lieve
 teco deggio trattar. Voi me seguite. (Al popolo)
 L’invisibile destra,
450che oggi sconfitto ha l’empio,
 andiamo, amici, a ringraziar nel tempio. (Parte col popolo)
 
 SCENA IV
 
 ERGILDA, LEARCO, DORISBE
 
 Ergilda
 Ahimè, qual fier contrasto
 d’amore e gelosia! (Da sé)
 Dorisbe
                                     (Ah fosse almeno
 solo Learco!)
 Learco
                           Oh dei! Sì meste, (Da sé)
455sì confuse perché?
 Ergilda
                                     (Perfido!)
 Dorisbe
                                                          (Ingrato!)
 Ergilda
 (Come tosto a Dorisbe
 ha lo sguardo rivolto!) (Da sé)
 Dorisbe
 (Come tosto mirò d’Ergilda il volto!) (Da sé)
 Learco
 Possibile ch’io deggia
460nel dì del mio trionfo
 per te vivere in pene? (Ad Ergilda)
 Ergilda
                                            Ecco l’oggetto (Additando Dorisbe)
 che saprà consolarti. In lei, Learco,
 troverai la tua pace.
 Learco
 Deh Ergilda, idolo mio...
 Ergilda
                                               T’accheta, audace.
 
465   Non mi parlar d’amor,
 so che mendace sei,
 poveri affetti miei!
 Perfido, traditor,
 so che m’inganni.
 
470   Lasciami sospirar,
 non mi parlar mai più,
 se un infedel sei tu
 pace non so sperar
 fra tanti affanni.
 
 SCENA V
 
 LEARCO e DORISBE
 
 Learco
475Adorata Dorisbe,
 abbi pietà di me.
 Dorisbe
                                   Ah in te non veggo
 più il mio fido Learco.
 Learco
                                           Oh dei! Che dici?
 Sì, cara, ti consola,
 che regni nel mio cor.
 Dorisbe
                                          Ma non già sola.
 Learco
480Non tormentarmi più; sai qual destino
 per mia sventura eterna
 mi condanni a soffrir doppi legami.
 Dorisbe
 Scioglier uno ne puoi.
 Learco
                                           Taci, se m’ami.
 Dorisbe
 
    Oh dio che pena è questa,
485che barbaro tormento!
 In seno, oh dio! mi sento
 l’affanno del morir.
 
    Deh mira afflitta e mesta
 colei che sol te adora.
490Ah, se non vuoi ch’io mora,
 consola il mio martir.
 
 SCENA VI
 
 LEARCO solo
 
 Learco
 È destino comun che un core amante
 compri a prezzo di pene
 la dolce tirannia di sue catene.
495Ma che ad amar costretto
 sia un cor senza speranza
 questo è dolor che ogni dolore avanza.
 Amo Ergilda e Dorisbe
 né quella più di questa
500né questa più di quella
 rasembra agl’occhi miei vezzosa e bella.
 Sperarle ambe non lice,
 lasciarne una non posso. Ah vuol fortuna
 ch’io l’ami entrambe e non ne speri alcuna.
 
505   Io son qual peregrino
 in barbare contrade,
 confuso fra due strade
 che scegliere non sa.
 
    E tanto nel cammino
510s’arresta, sin che arriva
 nemico che lo priva
 di vita o libertà.
 
 SCENA VII
 
 Giardino delizioso nell’abitazione d’Ernesto con fontana nel mezzo e sedili ombrosi all’intorno.
 
 ERNESTO, poi LEARCO
 
 Ernesto
 E Learco non viene? Ah non v’è al mondo
 piena felicità. Chi più contento
515oggi di me? Ma il pertinace affetto
 di Dorisbe e di Ergilda
 turba la pace mia. Rivali entrambe
 sono amanti riamate;
 a non tradir Clotilde
520il dover mi consiglia,
 m’obliga amore a non tradir la figlia.
 Learco
 Eccomi a’ cenni tuoi.
 Ernesto
                                         Figlio, sediamo (Siedono sui sedili erbosi)
 e per quell’infelice
 privileggio d’età che porto in fronte
525permettimi ch’io possa
 libero favellar.
 Learco
                              Di padre hai meco
 la ragione e l’impero.
 Ernesto
                                          Oggi godiamo,
 mercé del tuo valor, pace nel regno.
 Infrante le catene
530di cruda servitù, dispor potiamo
 della nostra corona. Il popol tutto
 brama Learco al trono;
 quel che tu gli serbasti or t’offre in dono.
 Learco
 Più grato mi è l’affetto
535d’un popolo fedel che il trono stesso,
 nol ricuso però. Ma Dalecarlia
 picciola parte è del svezzese regno;
 chi m’assicura, Ernesto,
 dell’assenso comun?
 Ernesto
                                        Chi può temerne?
540Tutti deggiono a te la libertade;
 tutti con noi segreta
 tennero intelligenza. Arbitro io sono
 de’ voti del Senato.
 Learco
                                      Odi; potrei
 tal arcano scoprir, sicché dovuto
545questo soglio a me fosse.
 Ma no, con chi lo dona,
 di sangue, di ragion parlar non devo.
 Sol dalle vostre mani io lo ricevo.
 Ernesto
 Qual sangue? Qual ragion?...
 Learco
                                                       Deh mi concedi
550non spiegarmi di più. Verrà fra poco
 chi farà noto al mondo
 qual sia Learco... In volto
 ti cangi? Perché mai?
 Ernesto
                                          Signor perdona... (S’alza)
 Learco
 No, se piacer mi vuoi, siedi e ragiona.
 Ernesto
555(Che fia?) Dunque m’ascolta. (Siede)
 Tu sei straniero ignoto
 e, benché fossi ancor di regio sangue,
 sai che le nostre leggi
 vogliono sol del nostro sangue i reggi.
560Ma spesso variar lice
 a seconda de’ casi anco i decreti.
 Or prevale l’affetto. A un tal diritto
 pur che regni Learco
 ciascun rinunzierà. Questo sol chiede
565il popolo da te; vuol che una sposa
 oggi, signor, tu scelga,
 onde ne’ figli tuoi
 si assicuri la patria i reggi suoi.
 Learco
 (Che mai dirò?) Comincia
570forse il popolo adesso
 a impor le leggi al re?
 Ernesto
                                          Legge soave
 che spiacer non ti può. So che Learco
 ama Ergilda e Dorisbe
 ma non mi è noto a chi la mano ei serbi.
575Sai ch’Ergilda è mia figlia e ciò sol basta
 perché sia di te degna. Io ti assicuro
 sangue illustre in Dorisbe. O questa o quella
 sceglier tu devi al trono;
 queste del popol tuo le leggi sono.
 Learco
580Oimè, che punto è questo?
 Io sceglier? Come mai? Le adoro entrambe,
 impossibil ciò fia.
 Ernesto
                                    Ma sai ch’entrambe
 non lice amar. Le perdi
 tutte e due, se non scegli.
 Learco
                                                Ah per pietade
585restino in libertà gl’affetti miei.
 S’una di queste due mi costa il soglio,
 cedo lo scettro e più regnar non voglio.
 Ernesto
 Ma qual frutto pretendi
 da questo strano amore?
 Learco
                                                Altra mercede
590non bramo che pietà.
 Ernesto
                                          Torna in te stesso. (S’alza e Learco sta sedendo)
 Pensaci. Or che all’occaso
 Febo sen riede, a riposar va’ intanto.
 Ti attendo al nuovo dì. Sì, mi lusingo
 di vederti cangiato,
595di mirar la tua pace in altro stato.
 
    Non così tosto il gelo
 scioglie l’estivo ardore,
 non così tosto in cielo
 scaccia le nubi il sol,
 
600   come potrai tu stesso
 scacciar dal proprio cuore
 quel che ti tiene oppresso
 barbaro acerbo duol.
 
 SCENA VIII
 
 LEARCO solo, sedendo
 
 Learco
 Dunque sarò mai sempre
605scherzo di ria fortuna? Iniqua sorte,
 mi togliesti dal piè le rie catene
 per raddopiarle al cor? Non ti bastava
 i tre lustri d’esilio? Oggi che torno
 degl’avi miei sul soglio, oggi, crudele,
610mi tormenti così? Perché da morte
 mi salvasti? Perché, barbara sorte?
 Ma sembrami che il sonno
 prometta all’alma mia
 qualche tregua fugace al suo dolore.
615Deh immagini d’Ergilda e di Dorisbe,
 fino ch’io dorma almeno,
 deh non venite a tormentarmi il seno. (S’addormenta)
 
 SCENA IX
 
 ERGILDA, poi DORISBE, poi ARGENO con un arciere, LEARCO che dorme
 
 Ergilda
 Ah dello sdegno ad onta
 mi tormenta l’affetto,
620se Learco non trovo,
 se d’amor non gli parlo,
 viver non posso... Oh numi! Eccolo; ei dorme.
 Che fo? Che mi consigli,
 povero afflitto cor? Coraggio... Ah veggo
625donna che giunge. È forse
 la mia rival? Si scopra
 dell’audace il disegno. (Si ritira dietro la fonte)
 Dorisbe
 Ombre gradite, a consigliarmi io vegno.
 Deggio morir? Deggio sperar... Ma oh dio.
630Qui dorme l’idol mio? Caro, il riposo
 non ti turbin giammai larve funeste.
 Serbi al tuo cor la pace
 sempre pietoso il cielo.
 Godi... Gente s’avanza. Io qui mi celo. (Si ritira in un viale di sotto)
 Argeno
635Ecco nel sonno immerso
 il superbo rival dell’amor mio.
 Amico, alle tue mani (All’arciere)
 fido la mia vendetta. Ah che dal core
 sento rimproverarmi il tradimento.
640Ma se celo a Dorisbe
 la man che lo svenò, mi rendo poi
 men orribile oggetto agl’occhi suoi. (Parte)
 
 SCENA X
 
 ERGILDA, DORISBE, LEARCO che dorme. L’arciere che addatta all’arco lo strale
 
 Ergilda
 Che intesi?
 Dorisbe
                        Che ascoltai? (Nell’atto che l’arciere vuole scoccar il dardo, Ergilda e Dorisbe l’arrestano. La prima gli leva l’arco, l’altra lo strale, l’arciere fugge)
 Ergilda
                                                  Fermati.
 Dorisbe
                                                                     Lascia.
 Learco
 Numi. Ergilda, Dorisbe. (Si sveglia)
 Ergilda
645Un nemico...
 Dorisbe
                           Un fellone...
 Ergilda
 Te provò di ferir.
 Dorisbe
                                  Vollea tua morte.
 Ergilda
 Già caduto saresti,
 se a tempo io non giungea.
 Dorisbe
                                                   Perir dovevi,
 s’era il mio piè più tardo.
 Ergilda
650Mira l’arco crudele.
 Dorisbe
                                      Osserva il dardo.
 Learco
 Ad entrambe degg’io dunque la vita?
 Ergilda
 Da morte io ti sotrassi.
 Dorisbe
                                            Io ti salvai.
 Ergilda
 Mi sarai sempre ingrato?
 Dorisbe
 Mi negherai mercede?
 Learco
655(Ahi qual nuovo contrasto alla mia fede!)
 Ergilda, oh dio! mi chiamerai spietato,
 crudo, lo so, mi chiamerai, Dorisbe;
 ma che farvi poss’io? Per esser fido,
 vi rassembro incostante. All’una o all’altra
660manco s’io scelgo e se non scelgo, oh dio!
 peno e merto non spera il penar mio.
 Ergilda
 Ma non son io, Learco,
 quella che tu dicesti
 tuo ben, tua vita? Non son io colei
665che tanto agl’occhi tuoi
 parve vezzosa e bella?
 Quella più non son io?
 Learco
                                            Sì che sei quella.
 Dorisbe
 Crudel, dunque io non sono
 più la speranza tua. Non ti sovviene
670la fede, i giuramenti,
 i sospiri, gl’accenti
 con cui tutti impegnasti
 per te gl’affetti miei?
 Quella più non son io.
 Learco
                                           Sì, quella sei.
 Dorisbe
 
675   Se quella son, se mi ami,
 caro, non mi tradir.
 
 Ergilda
 
    Se il mio morir non brami,
 consola il mio martir.
 
 Learco
 
    Oh dio... vorrei... ma il fato...
 
 Ergilda, Dorisbe a due
 
680T’intendo, core ingrato.
 
 Learco
 
 Pietà, mercé, perdono.
 
 Ergilda
 
 Son cieca.
 
 Dorisbe
 
                      Sorda io sono.
 
 Ergilda, Dorisbe a due
 
 Non miro
                     un traditor.
 Non odo
 
 Learco
 
 Che barbaro dolor!
 
 Ergilda, Dorisbe a due
 
685   Qual anima infedele
 chiudi nel sen crudele?
 
 Learco
 
 Così voi non direste,
 se mi vedeste il cor.
 
 Fine dell’atto secondo