Il filosofo di campagna, Londra, Griffin, 1768

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini e LESBINA con una rosa
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago sul mattino,
 perderai vicino a sera
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori;
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più che è fresca, più s’apprezza;
 s’abbandona allor che perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più,
 che cotesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Non così parlereste,
 se il padre vi sposasse con Rinaldo
 e non pensasse a Nardo.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
20Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange; e se non basta
 si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah, mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                 Io v’offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
25in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
 far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara di te mi fido.
 LESBINA
                                     Sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
30   Se perde il caro lido,
 sopporta il mar che freme.
 Lo scoglio è quel che teme
 il misero nocchier. (Parte)
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
35Affé la compatisco.
 Questa anch’io la capisco.
 Insegna la prudenza,
 se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 TRITEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
40Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 È ver; colla padrona
 mi divertiva un poco.
 TRITEMIO
                                          E mi figuro
45che cantate si avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh, no signore!
 Di questo e di quel fiore,
 di questo e di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
50Le volete sentir?
 TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 (Qualche strofetta canterò a proposito).
 TRITEMIO
 (Oh ragazza!... Farei uno sproposito).
 LESBINA
 Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
55   Quando son giovine,
 son fresco e bello,
 son tenerello,
 di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio,
60gettato sono;
 non son più buono
 col pizzicor.
 
 TRITEMIO
 Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vo’ cantar sulla cicoria.
 
65   Son fresca, son bella,
 cicoria novella,
 mangiatemi presto,
 coglietemi su.
 
    Se resto nel prato
70radicchio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 TRITEMIO
 Senti, ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
75Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella.
 Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta che ho imparata
80sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
 vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello
 o vo’ star nel prato ancor.
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO, poi RINALDO
 
 TRITEMIO
85Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
 RINALDO
 (Sorte non mi tradir). Signor.
 TRITEMIO
                                                         Padrone.
 RINALDO
 Se ella mi permettesse,
 le direi due parole.
 TRITEMIO
90Anche quattro ne ascolto e più se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare;
 son cavaliere e sono i beni miei
 vicini a’ suoi.
 TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
95Ella ha una figlia...
 TRITEMIO
                                     Sì signor.
 RINALDO
                                                         Dirò,
 se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma m’isprona l’amor.
 TRITEMIO
                                          Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor...
 TRITEMIO
                                   Dunque signor mio caro,
 per venire alle corte, io vi dirò...
 RINALDO
100M’accordate la figlia?
 TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ah mi sento morir!
 TRITEMIO
                                      Per cortesia
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Che speri?
 TRITEMIO
                       Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
105dite perché né men si vuol ch’io speri.
 TRITEMIO
 La ragion?
 RINALDO
                       Vo’ saper...
 TRITEMIO
                                              Sì, volontieri.
 
    La mia ragione è questa,
 mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
110e la ragion voleste.
 La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
 perché vo’ dir di no.
 
    Se non vi basta, ancora
115un’altra ne dirò.
 Rispondo: «Signor no,
 perché la vo’ così»;
 e son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 RINALDO
120Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debba andar villanamente inulto.
125O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO con una vanga ed alcuni villani, poi LENA
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
130con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato?
 Presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
135e dipoi si mangerà;
 del buon vin si beverà;
 ed allegri si starà.
 
 Vanga mia benedetta!
 Mio diletto conforto e mio sostegno;
140tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo, il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca e il cavolo.
 Non cambierei, lo giuro,
145col piacer delle feste e de’ teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 LENA
 (Eccolo qui. La vanga
 è tutto il suo diletto).
 Se foste un poveretto,
150compatirvi vorrei; ma siete ricco,
 avete de’ poderi, de’ contanti;
 la fatica lasciate a’ lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 più tosto che parlar come una sciocca,
155fareste meglio a maneggiar la rocca.
 LENA
 Colla rocca, col fuso e co’ famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensar a maritarmi.
 NARDO
 Sì; volontieri; presto;
160comparisca un marito; eccolo qui.
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace?
 LENA
                                       Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
165a caso per la strada
 qualche affamato con parucca e spada.
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella;
 povera vanarella.
 LENA
 Io non voglio un signor né un contadino;
170mi basta un cittadino. E imito voi.
 Del signor don Tritemio la figliuola
 v’hanno proposta in sposa; io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
175con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 Ammogliatevi presto, signor zio;
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
180abbiate carità.
 Io sono un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio;
 vedete, caro zio,
185ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete, m’intendete,
 movetevi a pietà. (Parte)
 
 NARDO
190Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà!
 La si mariterà la poverina
 ma la vo’ maritar da contadina.
 Ma piano, signor Nardo;
195vedo che non pensate
 però come parlate.
 Della città il costume
 sprezzaste con filosofa dottrina
 e sposarete poi la cittadina?
200Questo nome sicuro a dirittura
 m’ha cacciato nel corpo
 un poco di paura.
 Ma l’impegno è già fatto.
 Andiam ma no. Si tratta d’una moglie.
205Ma ognuno che lo sa
 di me si riderà, se torno indietro.
 Oh che imbroglio! Oh che impaccio!
 Risolvermi non so; sudo ed aghiaccio.
 
    Pensieri a capitolo,
210che abbiamo da far?
 La femmina è un articolo
 che dà da pensar.
 
    Mi dice l’amore:
 «Contenta il tuo core»;
215l’onore mi dice:
 «Non fare, non lice»;
 che abbiamo da far?
 Nel cor poverello
 campana a martello
220sentire mi par.
 
    Che dichino, che parlino,
 che gridino, che ciarlino.
 Oh questa sì ch’è buona!
 Oh questa sì ch’è bella!
225Io son padrone e quella
 contento vo’ sposar.
 
 SCENA V
 
 Sala in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO, dopo LESBINA
 
 EUGENIA
 Deh, se mi amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
230Il vostro genitor.
 EUGENIA
                                 Ohimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete. È Lesbina.
 EUGENIA
                                              Io vivo in pene.
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia.
 EUGENIA
 Il genitor?
 LESBINA
                       Oibò.
 RINALDO
 Dunque chi è che la domanda?
 LESBINA
                                                           Bravo!
235Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signor, è il di lei sposo.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di tradir chi vi adora?
 EUGENIA
                                           È ver, son figlia
 ma son amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
240Ambi pietà mi fate
 e a me condur lasciate la faccenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado.
 RINALDO
                                               Anch’io.
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
245ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua, voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio.
 RINALDO
                                     Soffrir conviene.
 
    Al passaggier talora
 cinto di notte oscura
250basta una stella ancora
 per animare il cor. (Partono)
 
 SCENA VI
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attaccava
 prestamente al partito;
 troppo presto volea far da marito.
255Ecco il ricco villano;
 ora son nell’impegno,
 tutta l’arte ci vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora ci son io.
 NARDO
260Buondì a vossignoria.
 LESBINA
                                          Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
 Potete in questo loco
 aspettar, se vi aggrada.
 NARDO
                                             Aspetterò.
 Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so.
 NARDO
265Sareste per ventura
 la figliuola di lui venuta qui?
 LESBINA
 Potria darsi di sì.
 NARDO
 Alla ciera mi par.
 LESBINA
                                   Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete da ver.
 LESBINA
                                    Vostra bontà.
 NARDO
270Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
 Il cor d’una fanciulla,
 se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
 Ah, furbetta, furbetta! Voi m’avete
275conosciuto a drittura;
 delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
 Siete forse?
 NARDO
                         Via, chi?
 LESBINA
                                            Nardino bello?
 NARDO
 Sì, carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
280Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
 Eh restate, carina!
 LESBINA
                                     Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi mi piace.
 Ma.
 NARDO
           Che ma!
 LESBINA
                             Non so dir che cosa sia.
285Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
 (Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Compatite, signor, se io non so,
290son così, non so far all’amore.
 Una cosa mi sento nel core
 che col labbro spiegar non si può.
 
    Miratemi qua,
 saprete cosa è.
295Voltatevi in là,
 lontano da me.
 
    Vo’ partire, mi sento languire.
 Ah, col tempo spiegarmi saprò. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO, poi DON TRITEMIO, indi LENA, dopo LESBINA
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
300che la natura in lei parla innocente.
 Finger anche potrebbe; è ver purtroppo;
 ma è un cattivo animale
 quel che senza ragion sospetta male.
 TRITEMIO
 Messer Nardo da bene,
305compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio.
 Vi saluto di core.
 NARDO
                                  Ed io v’abbraccio.
 TRITEMIO
 Or verrà la figliuola.
 NARDO
                                        È già venuta.
 TRITEMIO
 La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì; l’ho già veduta.
 TRITEMIO
310Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 TRITEMIO
 Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 Che volete voi qui?
 LENA
                                      Con sua licenza.
 Alla sposa vorrei far riverenza.
 TRITEMIO
315Ora la chiamerò.
 NARDO
 Concludiamo le nozze.
 TRITEMIO
                                           Io presto fo.
 LENA
 Signor zio, come è bella?
 NARDO
 La vedrai; è una stella.
 LENA
 È galante, è graziosa?
 NARDO
320È galante, è gentile ed amorosa.
 LENA
 Vi vorrà ben?
 NARDO
                            Si vede
 da un certo non so che
 che l’ha la madre sua fatta per me.
 Appena ci siam visti,
325un incognito amor di simpatia
 ha messo i nostri cuori in allegria.
 
    Son pien di giubilo,
 ridente ho l’animo,
 nel sen mi palpita
330brillante il cor.
 
 LENA
 
    Il vostro giubilo
 nelle mie viscere
 risveglia ed agita
 novello ardor.
 
 LESBINA
 
335   Sposino amabile,
 per voi son misera;
 mi sento mordere
 dal dio d’amor.
 
 NARDO
 
    Vieni al mio seno,
340sposina mia.
 
 LENA
 
 Signora zia,
 a voi m’inchino.
 
 A TRE
 
 Dolce destino,
 felice amor!
 
 LESBINA
 
345   Parto, parto, il genitore...
 
 NARDO
 
 Perché partir?
 
 LESBINA
 
                              Il mio rossore
 non mi lascia restar qui. (Parte)
 
 NARDO
 
    Vergognosetta
 la poveretta
350se ne fuggì.
 
 LENA
 
    Se fossi in lei,
 non fuggirei
 chi mi ferì.
 
 TRITEMIO
 
    La ricerco e non la trovo.
355Oh che smania in seno io provo!
 Dove diavolo sarà?
 
 NARDO, LENA
 
 Ah ah ah.
 
 TRITEMIO
 
    L’ho cercata su e giù;
 l’ho cercata qua e là.
360Voi ridete? Come va?
 
 NARDO
 
 Fino adesso è stata qua.
 
 TRITEMIO
 
 Dov’è andata?
 
 NARDO
 
                             È andata là.
 
 TRITEMIO
 
 Quando è là, la troverò
 e con me la condurrò. (Parte)
 
 NARDO
 
365   Superare il genitore
 potrà bene il suo rossore.
 
 LENA
 
 Non è tanto vergognoso
 il suo core collo sposo.
 
 A DUE
 
 Si confonde nel suo petto
370il rispetto coll’amor.
 
 LESBINA
 
    Presto, presto, sposo bello,
 via, porgetemi l’anello,
 che la sposa allor sarò.
 
 LENA
 
 Questa cosa far si può.
 
 NARDO
 
375Ecco, ecco, ve lo do.
 
 LESBINA
 
    Torna il padre, vado via.
 
 NARDO
 
 Ma perché tal ritrosia?
 
 LESBINA
 
 Il motivo non lo so.
 
 LENA
 
 Dallo sposo non fuggite.
 
 LESBINA
 
380Compatite, tornerò. (Parte)
 
 NARDO, LENA
 
    Caso raro, caso bello!
 Una sposa coll’anello
 ha rossor del genitor!
 
 TRITEMIO
 
    Non la trovo.
 
 A DUE
 
                              Ah ah ah.
 
 TRITEMIO
 
385Voi ridete?
 
 A DUE
 
                        È stata qua.
 Collo sposo ha favellato.
 E l’anello già le ha dato.
 
 TRITEMIO
 
 Alla figlia?
 
 A DUE
 
                       Signorsì.
 
 TRITEMIO
 
 Alla sposa?
 
 A DUE
 
                        Messersì.
 
 TRITEMIO
 
390   Quel ch’è fatto fatto sia.
 
 A TRE
 
 Stiamo dunque in allegria,
 che la sposa vergognosa
 alla fin si cangerà.
 E l’amore nel suo core
395con piacer trionferà.
 
 Fine dell’atto primo