Il filosofo di campagna, Vienna, Ghelen, 1768

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini, LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai vicino a sera
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Cara rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo destino
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza,
 s’abbandona allor che perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più,
 che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
 io intesi ragionar.
 EUGENIA
                                    Nozze infelici
 sarebbero al cuor mio le divisate
 dal crudel genitore.
 LESBINA
20Non così parlereste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Ohimè...
 LESBINA
                                      V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
25nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
30si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io v’offerisco
 quel che so, quel che posso.
 EUGENIA
                                                    A te mi fido,
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
35Meglio sola che male accompagnata.
 Così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
 più ch’è fresca, più s’apprezza,
40s’abbandona allor che perde
 il bel verde dell’età. (Eugenia parte)
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco,
 quest’anch’io la capisco.
45Insegna la prudenza,
 se non si ha quel che piace è meglio senza.
 DON TRITEMIO
 Che si fa signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
50Poco fa t’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 È ver; colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh non signore;
55di questo o di quel fiore,
 di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 (Qualche stroffetta canterò a proposito).
 DON TRITEMIO
60Oh ragazza... Farei uno sproposito.
 LESBINA
 Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine
 son fresco e bello,
65son tenerello,
 di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio
 gettato sono,
 non son più buono
70col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
 Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca e son bella
 cicoria novella,
75mangiatemi presto;
 coglietemi su.
 
    Se resto nel prato
 radicchio invecchiato,
 nessuno si degna
80raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
 Senti ragazza mia
 questa canzon ha un poco d’allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella;
85prima che ad invecchiar ti veda il fato,
 esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora;
 dovreste alla signora
 pensar, caro padrone,
90or ch’è buona stagione,
 or ch’è frutto maturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato
 ma tu se’ un bocconcino
95per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
 vecchia mano di pastor,
 
100   voglio un bello pastorello
 o vuo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO, poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
 Eppure io mi lusingo
105che a forza di finezze
 tutto supererò,
 che col tempo con lei tutto farò.
 Per or d’Eugenia mia
 liberarmi mi preme; un buon partito
110Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 Or ora sarà qui. Vediamo un poco
 se viene, s’è venuto, se verrà,
 convien spicciarla presto. Chi... chi è di là.
115Nardo, Tonio, Patrizio. Oh che disgrazia!
 Ho tanti mangiapani in casa mia
 e quando ho più bisogno
 giusto non v’è nessuno.
 RINALDO
                                             Ella è in errore;
 qui v’è un suo servitore
120al suo merto umilissimo
 divoto ossequiosissimo
 che al suo trono prostrato...
 DON TRITEMIO
                                                    Uh quanta robba!
 Pigliate fiato; schiavo, padron mio.
 RINALDO
 Ell’è sola il padron, servo son io.
125Servo che più si pregia
 d’un  umil vassallaggio
 che se tutta la terra
 umile a’ piedi suoi rendesse omaggio.
 DON TRITEMIO
 Piano, voi m’affogate.
130Ma dov’hanno a finir queste sparate?
 RINALDO
 Sono un picciol corteggio
 che un’umile mia supplica preceda.
 DON TRITEMIO
 Quanto più m’appaltate
 io meno vi capisco.
135Eh via di grazia, lei mi venga schietto.
 RINALDO
 Son venutto ad effetto
 di presentare al tribunal di lei
 un umil memorial de’ pensier miei.
 DON TRITEMIO
 Signor lei sbaglia affé,
140che qui s’espone a bocca,
 né ci fu mai codesta usanza sciocca.
 RINALDO
 Se così si compiace,
 la supplica esporrò come a lei piace.
 Se non fosse il mio ardir troppo eccedente
145la supplica saria
 d’unir la di lei casa con la mia.
 DON TRITEMIO
 Signor sono a pigione,
 lei vada e se l’intenda col padrone.
 RINALDO
 Ella prende un abbaglio.
 DON TRITEMIO
150Oh spiegatevi meglio.
 RINALDO
 Sospiro ardentemente...
 DON TRITEMIO
 Che cosa?
 RINALDO
                      Di sposar...
 DON TRITEMIO
                                             Chi?
 RINALDO
                                                         La sua figlia.
 DON TRITEMIO
 Ah ah ora v’ho inteso;
 sicché quest’è la supplica?
 RINALDO
                                                  Ella è tale.
 DON TRITEMIO
155Ora rispondo al vostro memoriale.
 Per venir alle corte io vi dirò...
 RINALDO
 Che m’accorda la figlia.
 DON TRITEMIO
                                             Oh signor no.
 RINALDO
 Ah mi sento morir.
 DON TRITEMIO
                                      Per cortesia
 non venite a morire in casa mia.
 RINALDO
160Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei feudi,
 le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
165Ma la ragion almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                   Sì, volentieri.
 
    La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta.
170La figlia mi chiedeste
 e la ragion vorreste...
 La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
175   Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò.
 Rispondo: «Signor no,
 perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
180la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
185ch’io debb’andar villanamente inulto.
 O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano. (Parte)
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
190poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
195a podare, a seminare,
 e dappoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
200mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo e il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
205Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
 con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
210Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gl’uomini ognor sempre gl’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
215zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LENA e NARDO
 
 LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto.
 Se foste un poveretto (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
220avete de’ poderi e de’ contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia
 più tosto che parlar come una sciocca
 faresti meglio a maneggiar la rocca.
 LENA
225Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì volentieri; presto
 comparisca un marito? Eccolo qui!
230Vuoi sposar mia nipote? Signorsì. (Accenna un villano)
 Eccolo. Io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace?
 LENA
                                       Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
235qualche affamato con perucca e spada.
 LENA
 Io non voglio un signor né un contadino;
 mi basta un cittadino
 che stia bene.
 NARDO
                            Di che?
 LENA
                                             Ch’abbia un’entrata
 qual a mediocre stato si conviene,
240che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena pretendi assai;
 se lo brami così nol troverai.
 Per lo più i cittadini
 hanno pochi quattrini e troppe voglie;
245e non usano molto amar la moglie.
 Per pratica commune
 nelle cittadi usata,
 è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LENA
 Il signor don Tritemio
250è cittadino, e pure
 così non usa?
 NARDO
                            È vero,
 ma in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LENA
255Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace
 con patto che non sia
260gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta.
 Oggi la vederò.
 LENA
                               Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
265visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
270abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha;
 voi siete il babbo mio.
 Vedete caro zio
275ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
280Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà;
 la si mariterà la poverina;
 ma la vuo’ maritar da contadina.
 Ecco il mondo è così; niuno è contento
285del grado in cui si trova
 e lo stato cambiar ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino, il cittadino
 cerca nobilitarsi
290ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto;
 ma lo sbalzo è peggior quand’è più alto.
 
295   Vedo quell’albero
 ch’ha un pero grosso;
 pigliar nol posso;
 si sbalzi in su;
 
    ma fatto un salto,
300salito in alto
 vedo un perone
 grosso assai più;
 
    prender lo bramo,
 m’alzo sul ramo,
305vado più in su
 ma poi precipito
 col capo in giù. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Cortile con porte laterali.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Di grazia andate via. Se vien mio padre,
 se con me vi ritrova. Andate... Io dubito.
 RINALDO
310Un’altra parolina e parto subito.
 Dite se mia sarete.
 EUGENIA
                                     A’ numi il giuro
 non sarò d’altri mai.
 RINALDO
                                        Numi pietosi,
 deità protettrici
 del coniugale amor, se all’are vostre
315di fervidi sospir porsi devoto
 odorosi profumi, udite il voto.
 E tu pronuba Giuno...
 EUGENIA
                                           Ohimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete, è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia.
 EUGENIA
320Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò sta il mio padrone
 col suo fattore e contano denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la domanda?
 LESBINA
                                                           Bravo!
 Come siete curioso?
325Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
 Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso, in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo
 il bellissimo Nardo e il padre vostro
330ha detto, ha comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
 se non per genio, per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Se comandate
 corro in questo momento
335a immolarlo al mio sdegno.
 EUGENIA
                                                    E dove?
 RINALDO
                                                                     E dove?
 Sul tripode d’Apollo, in grembo a Giove.
 LESBINA
 Eh lasciate di grazia
 simili scioccherie.
 EUGENIA
                                    Cagion sarete
 del nostro precipizio.
 RINALDO
340Ma voi...
 EUGENIA
                   Manco parole.
 LESBINA
                                               E più giudizio.
 Ambi pietà mi fate;
 a me condur lasciate la facenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (Seguendo Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
345ritiratevi, sì, questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua, voi di là, così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite idolo mio. (Entra)
 RINALDO
                                     Soffrir conviene,
 fedel depositaria
350di quel ch’ho in petto accolto,
 mongibello di fiamme, ascolta.
 EUGENIA
                                                          Ascolto.
 RINALDO
 Accanto alla mia bella
 servi al mio amor. Prega, consiglia, aiuta,
 immagina...
 LESBINA
                          Ho capito.
 RINALDO
355Inventa furberie.
 LESBINA
                                   Sarà servito.
 RINALDO
 Un’altra parolina.
 LESBINA
 (Che seccator!)
 RINALDO
                               Qualche cortese uffizio
 presso del padre.
 LESBINA
                                  Intendo.
 RINALDO
                                                    E all’idol mio,
 perché non m’abbandoni,
360parla sempre di me. Di’ che nel seno
 con mille faci ardenti
 il cieco dio...
 LESBINA
                          Corro a servirla.
 RINALDO
                                                          Ah senti.
 
    Al mio ben tu le dirai
 che nel laccio amor m’ha preso
365e ferito è questo cor,
 
    senti, senti, le dirai
 che quegl’occhi suoi furbetti,
 quelle guancie, quei labbretti
 m’hanno fatto innamorar.
 
370   Se mai l’amabile
 mia bella Eugenia
 alle mie lagrime,
 alle mie suppliche
 spietata e rigida
375si vuol mostrar,
 
    dille ch’io smanio,
 dille ch’io peno;
 dille che l’anima
 sta per andar. (Parte)
 
 SCENA X
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
380Capperi! S’attaccava
 prestamente al partito;
 troppo presto volea far da marito.
 Ecco il ricco villano;
 ora son nell’impegno;
385tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci videte?
 Per ora ci son io.
 NARDO
 Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
390Potete in questo loco
 aspettar, se v’aggrada.
 NARDO
                                           Aspetterò.
 Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so. (Affettando modestia)
 NARDO
 Sareste per ventura
 la figliuola di lui venuta qui?
 LESBINA
395Potria darsi di sì.
 NARDO
 Alla ciera mi par...
 LESBINA
                                     Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete davver.
 LESBINA
                                     Vostra bontà.
 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
400Il cor d’una fanciulla,
 se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
 Eh furbetta; voi mi avete
 conosciuto a drittura.
 Delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
405Siete forse...
 NARDO
                          Via, chi?
 LESBINA
                                             Nardino bello?
 NARDO
 Sì, carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
 Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
410Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
 ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia.
 Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
415(Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Compatite, signor, s’io non so.
 Son così, non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor,
420che col labbro spiegar non si può.
 
    Miratemi qua.
 Saprete cos’è;
 voltatevi in là.
 Lontano da me.
 
425   Vuo’ partire, mi sento languire.
 Ah! Col tempo spiegarmi saprò. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 NARDO, poi DON TRITEMIO
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
 che la natura in lei parla innocente.
 Finger anche potrebbe, è ver purtroppo,
430ma è un cattivo animale
 quel che senza ragion sospetta male.
 DON TRITEMIO
 Messer Nardo da bene,
 compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio;
435vi saluto di core.
 NARDO
                                 Ed io vi abbraccio.
 DON TRITEMIO
 Or verrà la figliuola.
 NARDO
                                        È già venuta.
 DON TRITEMIO
 La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì, l’ho già veduta.
 DON TRITEMIO
 Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 DON TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 DON TRITEMIO
440Disse niente? Parlò?
 NARDO
                                        Mi disse tanto
 che sperare mi fa d’esser amato.
 DON TRITEMIO
 È vero?
 NARDO
                  È ver.
 DON TRITEMIO
                                (Oh ciel sia ringraziato). (Da sé)
 Ma perché se n’andò?
 NARDO
                                           Perché bel bello
 amor col suo martello
445il cor le inteneriva
 e ne aveva rossore.
 DON TRITEMIO
                                     E viva, e viva.
 Eugenia, dove sei? Facciamo presto;
 concludiamo l’affar.
 NARDO
                                       Per me son lesto.
 DON TRITEMIO
 Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 
 SCENA XII
 
 LA LENA e detti, poi LESBINA
 
 NARDO
450Che volete voi qui? (Alla Lena)
 LA LENA
                                       Con sua licenza,
 alla sposa vorrei far riverenza.
 DON TRITEMIO
 Ora la chiamerò.
 NARDO
 Concludiamo le nozze.
 DON TRITEMIO
                                           Io presto fo. (Parte)
 LA LENA
 Signor zio, com’è bella?
 NARDO
455La vedrai. È una stella.
 LA LENA
 È galante e graziosa?
 NARDO
 È galante, è gentile ed è amorosa.
 LA LENA
 Vi vorrà ben?
 NARDO
                            Si vede
 da un certo non so che
460che l’ha la madre sua fatta per me.
 Appena ci siam visti,
 un incognito amor di simpatia
 ha messo i nostri cuori in allegria.
 
    Son pien di giubilo,
465ridente ho l’animo,
 nel sen mi palpita
 brillante il cor.
 
 LA LENA
 
    Il vostro giubilo
 nelle mie viscere
470risveglia ed agita
 novello ardor.
 
 LESBINA
 
    Sposino amabile, (Esce da una camera)
 per voi son misera;
 mi sento mordere
475dal dio d’amor.
 
 NARDO
 
    Vieni al mio seno,
 sposina mia.
 
 LA LENA
 
 Signora zia,
 a voi m’inchino.
 
 A TRE
 
480Dolce destino,
 felice amor!
 
 LESBINA
 
    Parto, parto; il genitore.
 
 NARDO
 
 Perché partir?
 
 LESBINA
 
                              Il mio rossore
 non mi lascia restar qui. (Entra nella camera di dove è venuta)
 
 NARDO
 
485   Vergognosetta
 la poveretta
 se ne fuggì.
 
 LA LENA
 
    Se fossi in lei,
 non fuggirei
490chi mi ferì.
 
 DON TRITEMIO
 
    La ricerco e non la trovo.
 Oh che smania in sen io provo!
 Dove, diavolo, sarà?
 
 NARDO, LA LENA
 
 Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
495   L’ho cercata su e giù;
 l’ho cercata qua e là.
 
 NARDO, LA LENA
 
 Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete? Come va?
 
 NARDO
 
 Fin adesso è stata qua.
 
 DON TRITEMIO
 
500Dov’è andata?
 
 LA LENA
 
                             È andata là. (Accenna ov’è entrata)
 
 DON TRITEMIO
 
 Quando è là, la troverò
 e con me la condurrò. (Entra in quella camera)
 
 NARDO
 
    Superar il genitore
 potrà ben il suo rossore.
 
 LA LENA
 
505Non è tanto vergognoso
 il suo core collo sposo.
 
 A DUE
 
 Si confonde nel suo petto
 il rispetto coll’amor.
 
 LESBINA
 
    Presto, presto, sposo bello, (Escendo)
510via porgetemi l’annello,
 che la sposa allor sarò.
 
 LA LENA
 
 Questa cosa far si può.
 
 NARDO
 
 Ecco, ecco, ve lo do. (Le dà un annello)
 
 LESBINA
 
    Torna il padre, vado via.
 
 NARDO
 
515Ma perché tal ritrosia?
 
 LESBINA
 
 Il motivo non lo so.
 
 LA LENA
 
 Dallo sposo non fuggite.
 
 LESBINA
 
 Compatite, tornerò. (Torna nella camera di prima)
 
 NARDO, LA LENA
 
    Caso raro e caso bello!
520Una sposa coll’annello
 ha rossor... del genitor.
 
 DON TRITEMIO
 
    Non la trovo.
 
 NARDO, LA LENA
 
                              Ah ah ah. (Ridendo)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete?
 
 NARDO, LA LENA
 
                        È stata qua.
 
 LA LENA
 
 Collo sposo ha favellato.
 
 NARDO
 
525E l’anello già le ha dato.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla figlia?
 
 NARDO, LA LENA
 
                       Signorsì.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla sposa?
 
 NARDO, LA LENA
 
                        Messersì.
 
 DON TRITEMIO
 
    Quel ch’è fatto fatto sia.
 
 A TRE
 
 Stiamo dunque in allegria,
530che la sposa vergognosa,
 alla fin si cangierà
 e l’amore nel suo core
 con piacer trionferà.
 
 Fine dell’atto primo