Il filosofo di campagna, Vienna, Ghelen, 1763

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini, LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza;
 s’abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più,
 che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfuggir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah! Che sotto d’un padre
20asprissimo o severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore;
 troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cuor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlareste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Oimè...
 LESBINA
                                   V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
40si fa un po’ la ritrosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata!
 Così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    Agitata in tanti affanni
 non ho pace, non la spero;
55sotto il ciel funesto e nero
 son vicina a naufragar.
 
    Senza guida e senza stella
 manca oh dio la costanza,
 m’abbandona la speranza
60e comincio a delirar.
 
 SCENA II
 
 LESBINA e DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco.
 Quest’anch’io la capisco.
 Insegna la prudenza,
65se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
70È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh non signore;
 di questo o di quel fiore,
75di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò!
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 Qualche stroffetta canterò a proposito. (Da sé)
 DON TRITEMIO
 (Oh ragazza!... Farei uno sproposito). (Da sé)
 LESBINA
80Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine,
 son fresco e bello,
 son tenerello,
85di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio
 gettato sono;
 non son più buono
 col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
90Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca e son bella
 cicoria novella.
 Mangiatemi presto,
95coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
 radichio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
100Senti ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella,
 prima che ad invecchiar ti veda il fato,
105esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora,
 dovreste alla signora
 pensar, caro padrone,
 or ch’è buona stagione,
110or ch’è un frutto maturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato;
 sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
 Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
115Di quella tenerina
 erbetta cittadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
 Eh la prudenza insegna
 che ogn’erba si contenti
120d’aver qualche governo,
 perch’esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
 pria di vederla così mal troncata,
 per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
125Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
130vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello;
 o vuo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
135Eppure io mi lusingo
 che a forza di finezze
 tutto supererò,
 che col tempo con lei tutto farò.
 Per or d’Eugenia mia
140liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
 (Ecco della mia bella
 il genitor felice). (Da sé in disparte)
 DON TRITEMIO
145Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato
 e da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
 RINALDO
 (Sorte, non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                          Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permetesse,
150le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare.
 Son cavaliere e sono i beni miei
155vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ell’ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                 Sì signor.
 RINALDO
                                                     Dirò...
 Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma! Mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                                Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor...
 DON TRITEMIO
                                   Dunque, signor mio caro,
160per venir alle corte io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ahi mi sento morir!
 DON TRITEMIO
                                        Per cortesia,
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
165mi togliete alla prima ogni speranza!
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe una increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
170le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragion almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                   Sì, volentieri.
 
175   La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
 e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui.
180Non posso dirvi sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò.
 Rispondo: «Signor no,
185perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
190Ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debb’andar villanamente inulto.
 O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
195ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Taci amor nel seno mio,
 finché parla il giusto sdegno
 ah prendete ambi l’impegno
 i miei torti a vendicar.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
200   Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
205Presto, presto a lavorare,
 a potare, a seminare,
 e dappoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
210Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
215e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
 con fatica, con arte e con periglio,
220distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gl’uomini ognor sempre gl’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
225col piacer delle feste e dei teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LENA e NARDO
 
 LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto.
 Se foste un poveretto (A Nardo)
230compatir vi vorrei; ma siete ricco,
 avete de’ poderi e de’ contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia
 più tosto che parlar come una sciocca
235faresti meglio a maneggiar la rocca.
 LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi potreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì volentieri. Presto
240comparisca un marito? Eccolo qui!
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo. Io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace?
 LENA
                                       Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
245a caso per la strada
 qualche affamato, con perucca e spada.
 Vedi; ride Mingone e ti corbella.
 Povera vanarella
 tu sposaresti un conte o un marchese
250perché in meno d’un mese
 strapazzata la dote e la fanciulla
 la nobiltà ti riducesse a nulla.
 LENA
 Io non voglio un signore né un contadino;
 mi basta un cittadino
255che stia bene.
 NARDO
                            Di che?
 LENA
                                             Ch’abbia un’entrata
 qual a mediocre stato si conviene,
 che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena pretendi assai;
 se lo brami così nol troverai.
260Per lo più i cittadini
 hanno pochi quadrini e troppe voglie;
 e non usano molto amar la moglie.
 Per prattica commune
 nelle cittadi usata,
265è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LENA
 Il signor don Tritemio
 è cittadino, e pure
 così non usa?
 NARDO
                            È vero,
 ma in villa se ne sta,
270perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
275perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
280oggi la vederò.
 LENA
                              Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
285ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha,
290voi siete il babbo mio.
 Vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
295Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà;
 la si mariterà la poverina
300ma la vuo’ maritar da contadina.
 Ecco il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiar ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
305diventar cittadino, il cittadino
 cerca nobilitarsi
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
310alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quand’è più alto.
 
    Vedo quell’albore
 ch’ha un pero grosso;
 pigliar non posso;
315si sbalzi in su;
 
    ma fatto il salto,
 salito in alto
 vedo un perone
 grosso assai più;
 
320   prender lo bramo,
 m’alzo sul ramo,
 vado più in su;
 ma poi precipito
 col capo in giù.
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
325Deh se mi amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
 Del vostro genitore
 il sovverchio rigor vi vuole oppressa.
330Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
 non sarò d’altri, se di voi non sono;
 ah se il mio cuor vi dono
 per or vi basti e non vogliate, ingrato,
 render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
335Gradisco il vostro cor ma della mano
 il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Oimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
340col suo fattore e contano denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
 Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
345Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso, in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
 il bellissimo Nardo. E il padre vostro
 ha detto, ha comandato
350che gli dobbiate far buona accoglienza,
 se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di lasciar chi v’adora?
 EUGENIA
                                           È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
355Ambi pietà mi fate;
 a me condur lasciate la facenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
360ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua; voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio.
 RINALDO
                                     Soffrir conviene. (Partono)
 
 SCENA X
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attaccava
 prestamente al partito.
365Troppo presto volea far da marito.
 Ecco il ricco villano;
 ora son nell’impegno;
 tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
370Per ora ci son io.
 NARDO
 Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
 Potete in questo loco
 aspettar, se v’aggrada.
 NARDO
                                           Aspetterò.
375Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so. (Affettando modestia)
 NARDO
 Sareste per ventura
 la figliuola di lui venuta qui?
 LESBINA
 Potria darsi di sì.
 NARDO
 Alla ciera mi par...
 LESBINA
                                     Così sarà.
 NARDO
380Mi piacete davver.
 LESBINA
                                     Vostra bontà.
 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
 Il cor d’una fanciulla,
 se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
385Eh furbetta; voi mi avete
 conosciuto a diritura.
 Delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
 Siete forse...
 NARDO
                          Via, chi?
 LESBINA
                                             Nardino bello?
 NARDO
 Sì, carina, son quello,
390quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
 Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
 Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
395ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia.
 Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
 (Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
400   Compatite, signor, s’io non so.
 Son così, non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor
 che col labbro spiegar non si può.
 
    Miratemi qua.
405Saprete cos’è.
 Voltatevi in là.
 Lontano da me.
 
    Vuo’ partire, mi sento languire.
 Ah! Col tempo spiegarmi saprò. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 NARDO, poi DON TRITEMIO
 
 NARDO
410Si vede chiaramente
 che la natura in lei parla innocente.
 Finger anche potrebbe, è ver purtroppo,
 ma è un cattivo animale
 quel che senza ragion sospetta male.
 DON TRITEMIO
415Messer Nardo da bene,
 compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio;
 vi saluto di core.
 NARDO
                                 Ed io vi abbraccio.
 DON TRITEMIO
 Or verrà la figliuola.
 NARDO
                                        È già venuta.
 DON TRITEMIO
420La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì, l’ho già veduta.
 DON TRITEMIO
 Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 DON TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 DON TRITEMIO
 Disse niente? Parlò?
 NARDO
                                        Mi disse tanto
 che sperare mi fa d’esser amato.
 DON TRITEMIO
425È vero?
 NARDO
                  È ver.
 DON TRITEMIO
                                (Oh ciel sia ringraziato). (Da sé)
 Ma perché se n’andò?
 NARDO
                                           Perché bel bello
 amor col suo martello
 il cor le inteneriva
 e ne aveva rossore.
 DON TRITEMIO
                                     E viva, e viva.
430Eugenia, dove sei? Facciamo presto;
 concludiamo l’affar.
 NARDO
                                       Per me son lesto.
 DON TRITEMIO
 Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 
 SCENA XII
 
 LA LENA e detti, poi LESBINA
 
 NARDO
 Che volete voi qui? (Alla Lena)
 LA LENA
                                       Con sua licenza,
 alla sposa vorrei far riverenza.
 DON TRITEMIO
435Ora la chiamerò.
 NARDO
 Concludiamo le nozze.
 DON TRITEMIO
                                           Io presto fo. (Parte)
 LA LENA
 Signor zio, com’è bella?
 NARDO
 La vedrai. È una stella.
 LA LENA
 È galante e graziosa?
 NARDO
440È galante, è gentile ed è amorosa.
 LA LENA
 Vi vorrà ben?
 NARDO
                            Si vede
 da un certo non so che
 che l’ha la madre sua fatta per me.
 Appena ci siam visti,
445un incognito amor di simpatia
 ha messo i nostri cuori in allegria.
 
    Son pien di giubilo,
 ridente ho l’animo,
 nel sen mi palpita
450brillante il cor.
 
 LA LENA
 
    Il vostro giubilo
 nelle mie viscere
 risveglia ed agita
 novello ardor.
 
 LESBINA
 
455   Sposino amabile, (Esce da una camera)
 per voi son misera;
 mi sento mordere
 dal dio d’amor.
 
 NARDO
 
    Vieni al mio seno,
460sposina mia.
 
 LA LENA
 
 Signora zia,
 a voi m’inchino.
 
 A TRE
 
 Dolce destino,
 felice amor!
 
 LESBINA
 
465   Parto, parto; il genitore.
 
 NARDO
 
 Perché parti?
 
 LESBINA
 
                            Il mio rossore
 non mi lascia restar qui. (Entra nella camera di dove è venuta)
 
 NARDO
 
    Vergognosetta
 la poveretta
470se ne fuggì.
 
 LA LENA
 
    Se fossi in lei,
 non fuggirei
 chi mi ferì.
 
 DON TRITEMIO
 
    La ricerco e non la trovo.
475Oh che smania in sen io provo!
 Dove, diavolo, sarà?
 
 NARDO, LA LENA
 
 Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
    L’ho cercata su e giù;
 l’ho cercata qua e là.
 
 NARDO, LA LENA
 
480Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete? Come va?
 
 NARDO
 
 Fin adesso è stata qua.
 
 DON TRITEMIO
 
 Dov’è andata?
 
 LA LENA
 
                             È andata là. (Accena ov’è entrata)
 
 DON TRITEMIO
 
 Quando è là, la troverò
485e con me la condurrò. (Entra in quella camera)
 
 NARDO
 
    Superar il genitore
 potrà ben il suo rossore.
 
 LA LENA
 
 Non è tanto vergognoso
 il suo core collo sposo.
 
 A DUE
 
490Si confonde nel suo petto
 il rispetto coll’amor.
 
 LESBINA
 
    Presto, presto, sposo bello,
 via porgetemi l’anello,
 che la sposa allor sarò.
 
 LA LENA
 
495Questa cosa far si può.
 
 NARDO
 
 Ecco, ecco, ve lo do. (Le dà un anello)
 
 LESBINA
 
    Torna il padre, vado via.
 
 NARDO
 
 Ma perché tal ritrosia?
 
 LESBINA
 
 Il motivo non lo so.
 
 LA LENA
 
500Dallo sposo non fuggite.
 
 LESBINA
 
 Compatite, tornerò. (Torna nella camera di prima)
 
 NARDO, LA LENA
 
    Caso raro e caso bello!
 Una sposa coll’anello
 ha rossor del genitor.
 
 DON TRITEMIO
 
505   Non la trovo.
 
 NARDO, LA LENA
 
                              Ah ah ah. (Ridendo)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete?
 
 NARDO, LA LENA
 
                        È stata qua.
 
 LA LENA
 
 Collo sposo ha favellato.
 
 NARDO
 
 E l’anello già le ha dato.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla figlia?
 
 NARDO, LA LENA
 
                       Signorsì.
 
 DON TRITEMIO
 
510Alla sposa?
 
 NARDO, LA LENA
 
                        Messersì.
 
 DON TRITEMIO
 
    Quel ch’è fatto fatto sia.
 
 A TRE
 
 Stiamo dunque in allegria,
 che la sposa vergognosa,
 alla fin si cangierà;
515e l’amore nel suo core
 con piacer trionferà.
 
 Fine dell’atto primo