Bertoldino e Cacasenno Bertoldo, Venezia, Fenzo, 1749

Vignetta Frontespizio
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera nel palazzo del re.
 
 RE, REGINA, AURELIA, ERMINIO, paggi e servi reali
 
 coro
 
    Amor discenda
 lieto e sereno;
 fecondo renda
 d’Aurelia il seno
5e doni pace
 d’entrambi al cor.
 
 Re
 Germana, è questi il giorno
 fortunato per voi. Prencipe, alfine
 consolato sarete. Il vostro affetto,
10benché celato in petto,
 penetrai, non mi spiacque e fui contento.
 Delle vostre dolcezze ecco il momento.
 Regina
 Principi, a parte anch’io
 son del vostro piacer. So quanto amaro
15sia il sospirar d’amore,
 quanto mi costi d’Alboino il core.
 Erminio
 Sire, donna real, grazie a voi rendo
 per cotanta bontà. La cara sposa
 stringo contento al seno
20e di gioia e d’affetto ho il cor ripieno.
 Aurelia
 Io del real germano,
 della regia cognata ammiro e lodo
 l’alta clemenza e del mio fato or godo.
 coro
 
    Amor discenda
25lieto e sereno;
 fecondo renda
 d’Aurelia il seno
 e doni pace
 d’entrambi al cor.
 
 Re
30Amico, in questa alpestre
 parte romita, ove abitar io soglio
 nella calda stagion, godremo in pace
 giorni lieti e tranquilli. Io le regali
 cure depongo ed a cacciar le belve,
35alle rustiche feste
 ed ai gioch’innocenti mi preparo,
 ch’ogni piacer, qualor diletta, è caro.
 Regina
 Tutto grato mi fia, nulla noioso,
 vicina al caro sposo.
 Aurelia
40Sempre lieto il mio cor mi balza in petto,
 quando sono vicina al mio diletto.
 Re
 Bell’amor!
 Erminio
                       Bella fé!
 Re
                                         Che bell’amarsi
 senza il morso crudel di gelosia!
 Aurelia
 Non vuo’ la pace mia
45coi sospetti turbar.
 Regina
                                     Sì sì, godiamo,
 tutti fé, tutti amor, tutti costanza,
 lontani ormai dalla odierna usanza.
 Erminio
 Siete forse gelosa?
 Regina
                                     Io non so dirlo;
 io non giungo a capirlo;
50ma se meno mi amasse il caro sposo,
 giustamente il mio cor saria geloso.
 Tanti provai tormenti,
 pria di trovarmi al caro laccio unita,
 che alfin pietoso amore
55non vorrà incrudelir contro il mio core.
 
    Bastan gli affanni miei,
 basta la pena mia,
 senza che un tuo sospetto
 turbi il mio dolce affetto,
60o gelosia crudel.
 
    Perder saprei l’impero,
 viver fra rie catene,
 purché il mio caro bene
 meco non sia infedel.
 
 SCENA II
 
 RE, AURELIA, ERMINIO
 
 Erminio
65Ciò che si cela in cor palesa il labro.
 La regina è gelosa.
 Re
                                     Ah sì! Purtroppo,
 mi crucia, mi tormenta,
 l’amo, l’adoro e mai non è contenta.
 Erminio
 Deh per amor del cielo, Aurelia cara,
70non mi fate impazzir.
 Aurelia
                                          Bravo, mi piace.
 Dunque dovrei con pace
 sofrir senz’aprir bocca?
 Son giovinetta, è ver, ma non son sciocca.
 
    Qualor di fiero ardore
75sento avvamparmi il core,
 non so soffrire in pace
 i torti del mio ben.
 
    È ver, v’amo e v’amai
 ma non sperate mai
80che tollerar io voglia
 la gelosia nel sen.
 
 SCENA III
 
 RE, ERMINIO
 
 Re
 Buon per noi, che lontani
 da femine vezzose,
 le nostre donne non saran gelose.
 Erminio
85Eh qui pur vi sarebbe,
 tra le rustiche genti,
 qualche vaga beltà da far portenti.
 Una, sire, ve n’è fra l’altre tante
 di soave sembiante,
90sì vaga e spiritosa
 che la regina potria far gelosa.
 Re
 E chi è costei?
 Erminio
                             Menghina,
 moglie d’un certo Bertoldin ch’è figlio
 del famoso Bertoldo, a voi ben noto,
95vecchio d’alta malizia e di gran senno,
 ed ha un figlio chiamato Cacassenno.
 Re
 Facciamla a noi venir.
 Erminio
                                           Ma non vorrei...
 Intendiamoci ben.
 Re
                                     No, prence, andate;
 tutta a me conducete
100la rustica famiglia.
 Divertirmi e non altro oggi pretendo.
 Erminio
 V’obbedirò; (la commissione intendo).
 Ma ecco che sen viene
 il buon vecchio Bertoldo. Egli ha saputo
105della vostra venuta;
 e la sua mente astuta
 con qualche ritrovato
 a venirvi a veder l’ha consigliato.
 Re
 Quel villan s’introduca. (Ad un servo)
 Erminio
110Io so ch’è impertinente,
 che sprezza il regio impero.
 Re
 Innanzi a me non parlerà sì altero.
 So che rustica gente
 usar non sa delle creanze il modo;
115ma so che col villan tristo e briccone,
 se la ragion non val, s’usa il bastone.
 
 SCENA IV
 
 BERTOLDO e detti
 
 Bertoldo
 Riverisco, o signor, con umiltà,
 non già voi ma la vostra maestà.
 Re
 Perché parli così?
 Bertoldo
                                   Perché, per dirla,
120v’apprezzo come re di questo impero
 ma come uomo non vi stimo un zero.
 Re
 Dunque, s’io non regnassi,
 meritar non potrei da te rispetto?
 Bertoldo
 Signor, vi parlo schietto;
125tutti nudi siam nati,
 tutti nudi morremo;
 levatevi il vestito inargentato
 e vedrete che pari è il nostro stato.
 Erminio
 Troppo libero parli.
 Bertoldo
                                       A me la lingua
130per libero parlar formò natura.
 Quel che sento nel cor dico a drittura.
 So che sincerità fra voi non s’usa,
 che dalla corte esclusa
 la bella verità sen va raminga;
135so che convien che finga
 chi grazie vuol sperar dal suo sovrano;
 so che l’uomo da ben fatica invano.
 Io, che grazie non curo,
 che insulti non pavento,
140dico quel che mi pare e quel che sento.
 Re
 (L’audacia di costui non è disgiunta
 da un maturo consiglio). Amico, io lodo
 la tua sincerità. Ti bramo in corte.
 Vuoi tu meco venir?
 Bertoldo
                                        Venir in corte?
145S’io venissi colà, povero voi.
 Poveri i cortiggiani. In poco tempo,
 scoprir vorrei, con il mio capo tondo,
 i vizi della corte a tutto il mondo.
 Erminio
 Di quai vizi favelli?
 Bertoldo
150Non mi fate parlar. Segrete trame,
 maldicenze pungenti,
 calunnie, tradimenti,
 sdegni, amori, rapine e crudeltà...
 Non mi fate parlar per carità.
 Re
155Puoi la lingua frenar?
 Bertoldo
                                          Non sarà mai.
 Tutto tor mi potrebbe un re severo
 ma non la libertà di dire il vero.
 Re
 Adunque in povertà viver tu vuoi?
 Bertoldo
 Son più ricco di voi.
 Erminio
160Come potrai dir ciò!
 Bertoldo
 Lo dico e il proverò.
 Il re non può far niente
 senz’oro e senza gente;
 io, che raccolgo della terra il frutto,
165mangio e bevo a mia voglia e faccio tutto.
 Re
 Orsù, dimmi, che vuoi?
 Bertoldo
                                              Nulla.
 Re
                                                            E a qual fine
 da me venisti?
 Bertoldo
                              A rimirar se il corpo
 de’ monarchi è diverso
 da quel di noi villani.
170Voi avete le mani
 e la testa e le gambe come me.
 Dunque tanto è il villano quanto il re.
 Erminio
 Così parli al sovrano?
 Bertoldo
 Io parlo da villano;
175e se un tale parlar vi dà dolore,
 io dunque me ne vado e v’ho nel core.
 Erminio
 Parti senza inchinarti?
 Re
 E sdegni di cavarti il tuo capello?
 Bertoldo
 Se scopro il mio cervello
180poss’anco raffreddarmi
 né la vostra maestà potrà sanarmi.
 Re
 Dunque siete sì rozzi?
 Qua non s’usa fra voi la civiltà?
 Bertoldo
 Queste sono pazzie della città.
 
185   Quando s’incontrano
 per la città:
 «Servo umilissimo,
 padron carissimo,
 il ciel la prosperi
190con sanità»;
 e nel cor dicono:
 «Possa crepar».
 
    Tutti si abbracciano,
 tutti si bacciano
195e si vorrebbero
 tutti scannar.
 
 SCENA V
 
 RE, ERMINIO
 
 Re
 Non mi spiace costui. Felice il mondo,
 se parlasse ciascun con libertà.
 Povera verità da noi sbandita!
200Eccola in questa parte erma e romita.
 Deh procurate, amico,
 che a me torni Bertoldo e seco venga
 tutta la sua famiglia.
 Erminio
                                        Anco Menghina?
 Re
 Già s’intende.
 Erminio
                             Sì si, capisco adesso,
205povera verità da noi sbandita!
 Eccola in questa parte erma e romita.
 Re
 Ma non crediate già...
 Erminio
                                          Son buon amico;
 difendetemi voi dalla regina
 e a’ vostri piedi condurrò Menghina. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 RE solo
 
 Re
210Ah sì, purtroppo è ver che di Menghina
 lo spirto e la beltà m’alletta e piace.
 Mi ha rapita la pace.
 Erminio non lo sa. Crede che nuova
 m’abbia agli occhi apparir la sua bellezza;
215ed è quest’alma ad adorarla avvezza.
 Buon per me che finora
 la regina mia sposa,
 pazzamente gelosa,
 non ha di quest’amor verun indizio,
220peraltro andria la corte in precipizio.
 So che a troppo m’espongo
 volendola vicina al fianco mio;
 ma ohimè, che il cieco dio
 comincia sul mio cor a prender forza
225e a poco a poco a delirar mi sforza.
 
    Sento che nel mio seno
 questo novello amore
 stringe fra’ lacci il core.
 Oh dio, trovassi almeno
230all’amor mio pietà!
 
    Temo che la bellezza,
 che far mi può contento,
 non curi il mio tormento.
 La donna ai boschi avvezza
235un re non amerà.
 
 SCENA VII
 
 Campagna vasta e montuosa sparsa di colline, con albero in mezzo isolato e varie capanne e rustici alberghi, con ponte levatore praticabile che introduce nel palazzo reale.
 
 BERTOLDO a sedere mangiando castagne. BERTOLDINO con la zappa lavorando il terreno. MENGHINA filando. CACASENO sopra un albero raccogliendo frutti. Altri villani e villane sparse qua e là per la campagna e cantano come segue
 
 tutti
 
    Qua si fatica,
 qua si lavora
 ma quando è l’ora
 si mangierà.
 
240   Viva, cantiamo
 la libertà.
 
 Bertoldo
 
    Belle campagne!
 Dolci castagne!
 
 Menghina
 
 Sia benedetta
245la libertà.
 
 Bertoldino
 
    Con questa zappa
 cavo una rappa.
 
 Cacasenno
 
 Correte tutti; (Dall’albero)
 che buoni frutti!
 
 tutti
 
250E quando è l’ora
 si mangierà.
 
    Viva, cantiamo
 la libertà.
 
 Bertoldo
 
    Sono, figliuoli,
255cotti i fagiuoli.
 
 Cacasenno
 
 Eccomi lesto,
 eccomi qua. (Scende dall’albero)
 
 Bertoldino
 
    Oh che animale!
 
 Menghina
 
 T’hai fatto male?
 
 Cacasenno
 
260No, cara mamma, (A Menghina)
 caro papà. (A Bertoldino)
 
 Bertoldo
 
    Cacassennino.
 
 Cacasenno
 
 Nonno bellino.
 
 tutti
 
 Viva, cantiamo
265la libertà. (Parte Bertoldo con i villani e le villane)
 
 Cacasenno
 Mamma, papà, vorrei...
 Bertoldino
                                              E che vorresti?
 Cacasenno
 Vorrei...
 Menghina
                   Parla, asinaccio.
 Cacasenno
 Vorrei che mi donaste un castagnaccio.
 Menghina
 Va’ dal nonno e l’avrai.
 Bertoldino
                                            Che bel ragazzo!
270Tu sei molto ben fatto;
 pare appunto, Menghina, il mio ritratto.
 Menghina
 Veramente tu sei caro e bellino.
 Bertoldino
 Son il tuo Bertoldino,
 questo de’ nostri amori è il dolce frutto,
275ora somiglia tutto
 anco al tuo viso bello
 ed avrà con il tempo il mio cervello.
 Cacasenno
 Addio, mamma...
 Menghina
                                   Vien qua. Cos’hai là dentro?
 Cacasenno
 Niente, niente.
 Menghina
                               Briccone.
280Lasciami un po’ vedere.
 Metti giù queste pere.
 Bertoldino
 Eh lascialo un po’ stare.
 Menghina
 Lo faranno creppare.
 Cacasenno
                                         Eh mamma no.
 Menghina
 Lasciale, dico, o ch’io ti batterò.
 Cacasenno
285Tenete, mamma brutta.
 Menghina
 A me questo, briccone.
 Dov’è, dov’è un bastone?
 Non voglio esser beffata.
 Prenditi mascalzone una guanciata.
 Cacasenno
 
290   Ahi ahi, non farò più,
 aiuto, mio papà.
 La mamma ha dato a me.
 Mai più, no, no, no, no,
 mai più dirò così. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 BERTOLDINO e MENGHINA
 
 Bertoldino
295Povero Cacasseno!
 Non vuo’ che gli si dia.
 Menghina
                                            L’allevarai
 qualche cosa di buono. In questa guisa
 si rovinano i figli,
 se la madre i riprende,
300il padre li difende,
 se il padre li bastona,
 la madre gli perdona.
 L’uno all’altro nasconde il lor difetto.
 E li rovinan poi per troppo affetto.
 Bertoldino
305Io non so tante istorie.
 Sei troppo dottoressa.
 Ho inteso dir più volte da mio padre:
 «Delle femine questa è la dottrina,
 l’ago, il fuso, la rocca e la cuccina».
 Menghina
310Son donna, è vero, è ver, son nata vile
 ma ho spirto e cuor civile.
 Volesse il ciel che anch’io,
 qual fu la madre tua saggia Marcolfa,
 andar potessi in corte. Io ti prometto
315che vorrei mi portassero rispetto.
 Bertoldino
 Orsù, finché si cuociano i fagiuoli
 lavoriamo anche un poco.
 Tu con la tua rocchetta
 ed io raccoglierò di questa erbetta.
 Menghina
320Sì, lavoriamo e intanto
 mi spasserò col canto.
 
    Ciascun mi dice ch’io son tanto bella
 che sembro esser la figlia d’un signore.
 Chi m’assomiglia alla Diana stella,
325chi m’assomiglia al faretrato Amore.
 
    Tutta la villa ognor di me favella,
 che di bellezza porto in fronte il fiore.
 Mi disse l’altro giorno un giovinetto:
 «Perché non ho tal pulce nel mio letto».
 
 SCENA IX
 
 ERMINIO dal ponte levatore frattanto che MENGHINA canta scende e vien al basso
 
 Erminio
330Donna gentil e bella,
 ditemi, siete quella
 che sì dolce cantò?
 Menghina
 (Con costui mi vergogno). Signor no.
 Erminio
 Dunque chi fu?
 Menghina
                                La nostra pecorara
335ch’abita qui vicina.
 Erminio
 Eh via, cara Menghina,
 io v’ho sentito colle orecchie mie.
 Non istà ben a dir delle bugie.
 Bertoldino
 Chi è costui? Cosa vuol?
 Erminio
                                               Amico, io vengo
340a ritrovarti d’ordine del re.
 Bertoldino
 Questo re, questo reo, che vuol da me?
 Erminio
 Vuol che venghiate a corte.
 Bertoldino
 E cos’è questa corte? È maschio o femina,
 si mangia o pur si semina?
345Non l’ho veduta mai.
 Erminio
 Vien meco e la vedrai
 ed in essa farai la tua fortuna.
 Bertoldino
 Io farò la fortuna? Oh questa è bella.
 Tanti anni son che la fortuna è fatta.
350Che ne dici Menghina? Oh bestia matta!
 Menghina
 Perdonate, signore,
 la sua simplicità.
 Erminio
                                  Nulla m’offendo;
 so l’innocenza sua. Ma voi, Menghina,
 ricusate accettar la regia offerta?
 Menghina
355Bertoldin, che ne dici,
 quel cavalier mi vuol guidar in corte;
 sei contento ch’io vada?
 Bertoldino
 Non mi par buona strada.
 Tu sei nata villana
360e ti vorrian far far la corteggiana.
 Erminio
 Male non sospettar. Starà Menghina
 presso della regina.
 Bertoldino
                                      Eh signor caro
 credete ch’io non sapia
 che le femine accorte
365sanno far le mezzane anco al consorte?
 Erminio
 Ma il re commanda ed obbedir tu dei.
 Bertoldino
 Che vuol dai fatti miei?
 Menghina
                                              Via, Bertoldino,
 caro, caro, carino,
 andiamo un poco in corte;
370forse migliorarem la nostra sorte.
 Tutto il dì si fatica,
 facciam di noi strappazzo,
 senza un po’ di solazzo, e finalmente
 poco si mangia e non si avvanza niente.
 Bertoldino
375Sì sì, sentito ho a dir che in la città
 certa gente si dà
 che senza faticar sazia sue voglie
 col beneficio d’una bella moglie
 ma io, ti parlo schietto,
380povero esser vorrei, non poveretto.
 Menghina
 Sciocco che sei! Per tutto
 chi giudizio non ha si rompe il collo.
 Il soverchio timor la donna offende;
 e chi pazzo pretende
385la donna tormentar con gelosia
 quello gl’insegna a far che non faria.
 Bertoldino
 Quando dunqu’è così, vattene pure.
 Menghina
 Ancor tu dei venir.
 Bertoldino
                                     Verrò ma prima
 voglio dal padre mio qualche consiglio.
390E vuo’ meco condur anco mio figlio.
 Menghina
 Sì sì, ne avrò piacer.
 Erminio
                                        Via su, venite. (A Menghina)
 Porgetemi la man.
 Bertoldino
                                     Non ha bisogno;
 sa caminar da sé.
 Menghina
                                   Vuol la creanza
 che si vada all’usanza.
395Benché fra boschi nata
 del costume civil son informata.
 
    Io so quel che costumano
 le donne in la città;
 due cicisbei le servono,
400un qua, l’altro di là.
 La testa sempre in giro,
 qua un vezzo, là un sospiro
 ma tutti due li mandano...
 Voi m’intendete già.
 
405   I cicisbei si credono
 di posseder quel core;
 ma un giorno poi si avvedono
 del concepito errore.
 E poscia se la battono
410con tutta civiltà.
 
 SCENA X
 
 BERTOLDINO solo
 
 Bertoldino
 Ora son imbrogliato;
 vorrei andar e non vorrei andare;
 partir vorrei... ma poi vorrei restare;
 s’io vado innanzi al re cosa farò?
415Ei mi farà paura, io tremerò.
 Ma se qui resto a far i fatti miei,
 senza di me cosa farà colei?
 La mano in mia presenza
 gli diè senza licenza
420e parlare sarebbe una increanza...
 Qualche più bella usanza
 in corte vi sarà su tal proposito.
 Ma s’io vado... e se vedo... e se mi scotta...
 Farò quel che da tanti a far io sento.
425Sofrirò, tacerò per complimento.
 
    Sento ohimè che il mio cervello
 già mi sbalza in qua e in là;
 io non vedo che mi faccio,
 che mi dico e dove sto.
430Il mio core poverello
 pare un ferro già infocato,
 tra l’incudine e il martello
 è battuto e martellato
 e riposo più non ha,
435tuppe tu ta ta pa ta.
 
    S’ha da dir per sto contorno
 che Menghina se ne va.
 Ma perché; fammi capace,
 Bertoldino, non ti piace;
440e pur ella se n’andrà
 ma c’è quest’altro imbarazzo,
 che s’io parlo, sembro un pazzo
 e dirà tutta la gente:
 «Villanaccio, ben ti sta».
 
 SCENA XI
 
 Camera reale.
 
 REGINA, poi RE e servi
 
 Regina
445Possibile che tanto
 possa lungi da me star il mio sposo?
 Ahi che meno amoroso io lo pavento.
 Un solo, un sol momento
 lasciar non mi solea. Purtroppo è vero,
450doppo quei giorni del primier diletto
 si stanca l’uom del maritale affetto.
 Re
 Mia cara.
 Regina
                     Ah, se tal fossi,
 men lontano da me traresti l’ore.
 Re
 Io mi trattenni, o cara,
455colla nostra Lisaura,
 frutto de’ nostri coniugali amori;
 ella, ancorché bambina,
 mostra spirto real ne’ suoi prim’anni.
 Regina
 De’ miei penosi affanni
460più non mi doglio, se l’amata figlia,
 con innocente amore,
 gli amplessi mi usurpò del genitore.
 Re
 Lieto son io del vostro amor; conosco,
 cara, quanto mi amate e quanta pena
465vi prendete per me. Grato ne sono
 ma vorrei che l’affetto,
 disgiunto dal sospetto,
 vi lasciasse goder tutto il contento,
 senza provar di gelosia il tormento.
 Regina
470Impossibil mi fia
 amarvi e non morir di gelosia.
 
    Teneri affetti miei,
 vi sento sì, vi sento
 e in così fier tormento
475provar mi fate, oh dei!
 la pena del morir.
 
    Ma voi tacete omai,
 sarà più bella assai
 la gioia mia, se tanto
480è fiero il mio martir.
 
 SCENA XII
 
 RE, poi MENGHINA
 
 Re
 Nuova spezie di pena io provo al core,
 v’è chi langue d’amore,
 non trovando pietà nel caro oggetto.
 Io tormentato son dal troppo affetto.
485Ma ecco a me sen viene
 la vezzosa Menghina,
 tutta grazia e beltà.
 Menghina
 Fo riverenza a vostra maestà...
 Re
 Siete molto graziosa.
 Menghina
490Vostra maestà mi burla.
 Re
 No, cara, dico il vero.
 Menghina
 Io non vi credo un zero.
 Quella parola «cara»
 mostra che voi di me prendete gioco,
495mentre cara non son ma vaglio poco.
 Re
 Bella vivacità; dunque comprarvi
 posso sperare.
 Menghina
                             Io non son qui venuta
 per vendermi, signor; già son venduta.
 Re
 Ma quel che v’ha comprato
500non sembra di voi degno.
 Meritereste un regno,
 cara la mia Menghina.
 Menghina
 Vostra non son ma vostra è la regina.
 Re
 Se inalzarvi pretendo,
505nell’onor non v’offendo.
 Menghina
 Ed io, purché l’onor non abbia intoppi,
 mi lascierò innalzar fin sopra i coppi.
 
 SCENA XIII
 
 BERTOLDINO e detti
 
 Bertoldino
 Bondì a vusignoria.
 Chi siete voi? Che fate con mia moglie?
 Re
510Non vedi? Il re son io.
 Bertoldino
                                           Voi siete il re?
 Oh bella! Oh bella, affé!
 Sentendovi per grande
 chiamar da genti tante,
 io credevo che foste un gran gigante.
 Re
515Grande è detto il monarca
 per il poter che sovra gli altri stende.
 Bertoldino
 Ho capito. S’intende
 che vogliate il poter stender ancora
 sovra la moglie mia?
520Con buona grazia di vusignoria.
 Menghina
 Dove mi vuoi condur?
 Bertoldino
                                           Alla capanna,
 ove niun fuor di me
 stenderà il suo poter sovra di te.
 Re
 No no, resta e vedrai
525che contento sarai. Olà, si porti
 al grazioso villano
 vesti da cortiggiano.
 Sia da tutti servito,
 rispettato, obbedito
530ma, se fa il pazzo e al voler mio s’oppone,
 sopra di lui s’adoperi il bastone. (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 BERTOLDINO, MENGHINA, poi servi con abiti di Bertoldino
 
 Bertoldino
 Oh che bel complimento!
 O cambiar il giuppone
 o provar il bastone. Ah moglie mia,
535questi son tanti pazzi; andiamo via.
 Menghina
 Pazzo sei tu...
 Bertoldino
                            Non voglio
 entrar in qualche imbroglio.
 Andiamo, andiamo... Ohimè chi son costoro?
 Che volete da me? Non vuo’ spogliarmi.
540No no no, sì sì sì, come volete. (I servidori vano vestendo Bertoldino ed egli si leva lamentando)
 
    Lasciate... Non potete...
 Adaggio... Mi strozzate...
 Che diavolo mi fate?
 Non voglio, no, non voglio...
545Lasciatemi la testa...
 Che bricconata è questa?...
 Aiuto, son tradito.
 Aiuta tuo marito. (A Menghina)
 
 Certo, se io vado in corso,
550mi diranno le genti: «Guarda l’orso». (I servidori lo salutano e partono)
 Il malan che vi colga.
 Povero Bertoldino!
 
 SCENA XV
 
 BERTOLDO e detti
 
 Bertoldo
 Oh che bella figura!
 Che gran caricatura!
 Bertoldino
555Aiuto, padre mio; m’hanno tradito.
 Menghina
 Anzi così vestito
 ei pare un amorino.
 Bertoldo
 Viva il buon gusto.
 Menghina
                                     E viva Bertoldino.
 Bertoldo
 Perché piangi, babbion? Di che ti lagni?
 Bertoldino
560Perché tutta la gente
 di me si riderà.
 Bertoldo
                                Ciò non t’importi,
 si sa che nelle corti
 più assai che i dottoroni
 si stimano i buffoni,
565purché bolla il pignatto,
 che importa comparir buffone o matto?
 Bertoldino
 Vi dico che non voglio.
 Tutti, tutti vi mando e qui mi spoglio.
 Bertoldo
 
    Ferma, ferma, non conviene.
570Sei pur bello! Stai pur bene!
 
 Menghina
 
 Col vestito alla francese
 tu mi sembri un gran marchese.
 
 Bertoldino
 
 Questo imbroglio non lo voglio.
 
 Bertoldo
 
 Ferma, ferma, no, non far.
 
 Menghina
 
575   Non sprezzar la nobiltà.
 
 Bertoldino
 
 Deh lasciate... in carità.
 
 Menghina
 
    Ti dirà tutta la gente:
 «Signor conte, a lei m’inchino».
 
 Bertoldo
 
 Tutto il mondo riverente
580farà inchini a Bertoldino.
 
 Bertoldino
 
 No m’importa niente, niente.
 Oh sgraziato, oh me meschino!
 
 Bertoldo, Menghina
 
 Oh che vezzo! Oh che beltà!
 
 Bertoldino
 
 State zitti in carità.
 
 Fine dell’atto primo