Metrica: interrogazione
619 endecasillabi (recitativo) in La cameriera spiritosa Milano, Bianchi, 1766 
contribuir. Non contrafarla in modo
che s’abbia a dir: «Quella fanciulla è bella
ma spogliatela poi, non è più quella»;
correggerlo convien ma con dolcezza.
procurar che risalti e far di tutto
che piaccia il bello e non dispiacia il brutto.
la contessa Marianna. Oggi, il sapete,
                                      Ah volentieri,
Bene, ed io di buon cuor l’accetterei.
                                Sì.
                                        Ma non ancora
è arrivato a Milan; non può sapersi
se sia brutto o sia bel, goffo o compito.
Io non cerco beltà, bramo un marito.
che il suo giorno verrà per ella ancora.
forse ancora per voi che il genitore
del vostro cuore disporrà; se mai
qualche foco nutriste in seno ascoso,
vedrete qual piacer rechi un tal sposo.
cotta è la poverina e quasi quasi
vorrei dire di chi; quel giovinotto...
                    Sì Leandro. Ci scommetto
ch’egli è la fiamma sua. Farebbe male
per tema o per viltà. Voglio saperlo;
vo’ che a me lo confidi. Ho compassione
di lei, dell’amor suo; vo’ consolarla
ed ho spirto ed ho cuor per aiutarla. (Parte)
                                      Perché signora?
piace a me pure e se la mia germana
sposasse il cavagliere, anch’io potrei
non sposa il cavaglier, fattevi innanzi
                                 Convien vedere
                                      Si tenta almeno.
Sto a veder, sto a osservar, per regolarmi,
sia con questo o con quel vo’ maritarmi.
La compatisco affé, la soggezione
è una cosa assai dura. È ver che spesso
è più soggetta ancor d’una fanciulla;
ma questo non fa nulla, è un’altra cosa,
si può sempre ingegnar, quand’una è sposa.
                                  Non lo so, signore.
che a momenti verrà, che si prepari
a ricever lo sposo e che non faccia
le scene che suol far la sua testaccia.
                                    Sì, una volta
l’ho obbligata a segnar del matrimonio,
non la conosco più, pare un demonio.
Parla e dimmi, se sai, qualche ragione.
                                                    Come, come?
Ha un amante mia figlia? (Con sdegno)
                                                  Non so nulla.
Se penetrar potessi... Non può stare;
mi conosce mia figlia e non pavento.
dar la mano di sposa al cavagliere.
Per timor, per impegno o per rispetto,
converrà che lo prenda a suo dispetto.
noi dobbiamo obbedir; ma in queste cose
e ci dobbiamo star, finché viviamo.
                                  Che mi consigli
                                           Io non saprei.
Aiutarvi vorrei ma è un po’ difficile.
che ha diversi difetti, ha quel fra gli altri
d’ostinazion ch’ogni difetto avvanza
e ch’ei chiama virtù, seno e costanza.
Oh signora, signora, in questo punto
                                    Oh me meschina!
ed ora allo stalier fa un complimento.
Dite, è in casa il padron? (A Bertolina)
                                                No non è in casa.
Tanto meglio per noi. (A Marianna) Andate subito, (A Bertolina con premura, con foco)
Ma che bel servitor che ha il cavagliere. (A Lucrezia)
                             È un bocconcin da re. (Parte)
(S’è qualcosa di buon lo vo’ per me).
tu d’inutili cose altrui ragioni;
e mi lasci dolente e m’abbandoni.
Son qui, son qui per voi, vediamo un poco
quello che si può far. Sì; ricevetelo.
          Vi dico di sì; finger conviene.
                                      Se vostro padre
                                Chi?
                                            Lo sposo.
State zitta, sedete e secondate. (Si leva il suo grembiale e lo mette a Marianna, sempre collo stesso foco, per far spiccare la mutazione di carattere)
il signor cavaglier, se si contenta. (Con gravità)
Ah il mio povero cuor trema e paventa. (Siede al telaio e lavora)
mi confonde, signor, sieda, s’accomodi.
di rispetto, d’amor segni primieri.
Vuol bacciarmi le man? Ben volontieri.
                                      Sieda, la prego.
Siedo per ubbedir. Chi è quella giovane?
Mi permetta... (A Lucrezia alzandosi)
                              Che fa?
                                               Per un momento (Si accosta a Marianna)
Mi perdoni signor. (Fremo di sdegno). (Ricusa la tabacchiera)
Perché tal rustichezza? (A Lucrezia parlando di Marianna)
                                            Compatisca.
È modestia signor. Su via prendetela. (Leva la tabacchiera di man al cavaliere)
Lo comando, lo voglio e non mi fate
(La tabacchiera è mia). Sieda e ragioni. (Al cavaliere con gravità, siedono)
                                    No no, non dubiti;
per queste cose non mi scaldo il sangue.
                                              Dica, signore,
                                                 Ottimo; amore
L’avrà fatto venir senza fatica.
è una bella città, mi piace assai.
                             Non l’ho vista mai.
                                      Oh dolce, oh cara,
oh amorosa espression che mi consola.
Or conosco mio ben che voi mi amate.
Ho piacere signor che il conosciate.
                                    (Qui il mio rival!)
                                                                       (Che vedo!) (Osservando Leandro)
parto del mio buon gusto e del mio ingegno. (A Leandro)
                           Signor venite qui.
                                                  Andate lì. (Si alza e spinge Leandro verso Marianna e Leandro si accosta al telaio)
pieni più d’ambizion che di sapere,
han timor che si rubi il lor mestiere. (Al cavaliere)
Han ragion di temer; poiché dal vostro
svergognato sarebbe Appelle istesso.
Questo di sua bontà, questo è un eccesso.
Questo non sarà mai. (Voltandosi con empito)
                                          Con chi parlate? (A Leandro)
Gelosia di mestier; non gli badate. (Al cavaliere)
(Che m’avesse a scoprir io non vorrei). (Da sé)
(Non avete cervello!) (Piano a Leandro) Eccommi a lei. (Al cavalier inchinandosi)
                                        Sì sì ho capito
bastivi di saper che ad altro oggetto
questa man non darò, che vostra sono.
                                        E perché mai
                                   Deh vi scongiuro;
Quando, o dei, finirà sì rio tormento. (Parte)
dubitare non può; d’altri il mio core
non sarà mai. Ma lusingar non posso
di passar lieti i nostri giorni insieme.
                                             Cos’è avvenuto? (Timorosa)
il servitor del cavalier; mi piace. (Mettendosi il grembiale)
                                      Ma il cavagliere...
Se operato ho per voi, vo’ far per me.
Non mi tradir, ch’io sol confido in te. (Parte)
tanto il servo è gentile e Bertolina
di far le grazie e prendermi la mano.
che lei la sposa sia del mio padrone.
                                     Circa al grembiale,
all’aria maestosa e graziosissima,
Oh che grazia, oh che vezzo, oh che bellezza!
                                            Il mio padrone
manda alla sua padrona... Ma! Cospetto.
                                        No, v’ingannate.
                                      Su via parlate.
Mi manda il mio padron con queste gioie,
perché io abbia l’onor di presentarle...
(Queste non son per me; le guarderò).
                                         Troppa bontà.
                                     Brava davvero! (Ridendo)
                                       (Qualcosa io spero).
Scusatemi, signor, siete ammogliato?
che si attacchi al suo peggio e che mi sposi.
                                          Ne son sicura.
                                          Giustizia al merito.
                           È dover...
                                               Grazia...
                                                                 Tributo...
                            Perdoni...
                                                Io resto muto.
                                         Se in questa casa
                                             Troppo gentile.
quello che fa per me. Buona allegria,
cuor aperto, bellezza e buon talento,
se l’avessi a pigliar, sarei contento.
l’esterno è bello assai. Quel che si vede
ma è donna, è donna e non si vede il cuore.
ha fatto il suo dover. Ne son contento
e lo sposo ancor più. Di’, Bertolina,
ch’ero contro di lei furente, irato?
Sì signor, sì signor. (Non le ho parlato).
Così bisogna far con queste giovani
                                          Siete certo
                                   Ne son sicuro.
Non v’è alcun dubbio. Il cavaliere istesso
la vide, le parlò, da lei fu accolto...
che le minaccie mie fatto han del frutto.
(Povero vecchio! Se sapesse tutto!) (Da sé)
vo’ rilegger la nota. (Si mette da un canto leggendo una carta scritta e non bada a quel che siegue)
                                      Oimè, che vedo.
                                  Ih ih, che fretta!
Ho stracciato il grembial. Tenete amica,
portatelo di là per cortesia. (Dà il grembiale a Bertolina)
Via fatemi il piacer, buona ragazza.
Qualche volta da ver mi sembra pazza. (Parte e porta via il grembiale)
Farò quel che potrò per riuscir bene).
Ma dov’è il cavaliere? Eccol ch’ei viene. (Si mette in serietà e va incontro al cavaliere per allontanarsi un poco più dal conte)
                                              Dica più piano.
la seria applicazion del genitore. (Piano)
non l’aveva veduto. E quando, o cara,
che potrò consolar l’ardente affetto.
               Verrà. (Con tenerezza)
                             Sì sì verrà. (Come sopra)
                                                   L’aspetto. (Come sopra)
Non temete di me. Son delicato. (Al conte)
Nulla, nulla, scherzai. Quando volete
                                          Ogni momento
che si tarda, o signor, per me un tormento.
vi ho da dir qualche cosa in confidenza.
                                       Mi consolo,
voi che, sia per amore o per dovere,
                               Il genitor contento
                                                       (Oh cieli!
                                                      Avete forse
                                       No no parlate.
Che volevate dir? (Finger conviene).
                                      Per conseguenza...
                                   Ah sì, ve lo confesso.
Tacqui, vi rispettai ma adesso poi...
Leandro... (che dirò?) non è per voi.
                                           Oh questa è bella!
ad un la mano ed a quell’altro il cuore.
                                             Ancora ardisci
                                      Oh oh, che è stato?
il mio cuor, l’amor mio per tua cagione.
Confesso, ho fatto male; io non dovea
schernire il cavalier, far che a Leandro
Voi avete ragion, lo mando via. (In atto di partire)
                                Dov’è?
                                                Nell’anticamera.
                                       No no, è finita.
Lo voglio licenziar. Son troppo ardita. (In atto di partire)
Mi fate compassion. Voi non sapete...
or ve lo mando qui. Farò la guardia
perché non venga alcun; ma fate presto.
Concertate con lui, ch’io farò il resto. (Parte)
Io non so che pensar... Ma vien Leandro,
saprò forse da lui... Deh per pietade,
                                        Questi momenti
son preziosi per noi. Non li perdiamo
né in querele né in pianti, udite, o cara,
                                      Sì, lo prometto.
i miei dritti non sol ma de’ miei giorni,
Ma inutile è il pensier, vana è l’impresa,
poiché so che di voi Costanza è accesa.
                                                 Qual fondamento
                                               Il merto vostro
                                           Saprò io stesso
No, celate l’arcano e altrui nol dite.
scorgo ch’ella mi è fida e in lei sol spero.
ch’io prevedere non potea. Costanza
                                        Amico.
                                                        (Oh cieli!)
                                   Che far poss’io
                                       Per la mia sposa
d’un riccamo di gusto un buon disegno.
                  Vi pagherò.
                                          Ma... ha pur sentito
                                     Ciò non importa;
Eccovi il calamaio, eccovi un foglio.
Quel che sapete far vedere io voglio.
                                              Ad un mio pari
così non si risponde; un uom che paga
vuol essere servito. In mia presenza
mi trova in queste stanze!) Ma... perdoni...
Uno schizzo da voi pretendo e voglio.
(Forza è provarmi per uscir d’imbroglio). (Va al tavolino e siede)
                                            A gusto vostro.
                           Su via principiate;
ch’ei mi faccia un disegno. (Al conte)
                                                   E qual disegno?
Di un vestito novel per la mia sposa.
                                        Lasciatel fare,
                                      Mi meraviglio
a venire in mia casa a far l’amore.
                                          Via non c’è male, (Al conte)
s’egli è da maritar, non è gran colpa
ch’egli faccia l’amore a una fanciulla.
Voi parlate così? (Al cavalier con meraviglia)
                                 Così ragiono
perché son giusto e galantuomo io sono.
                                           Ma voi, signore,
voi parlate così? (Al cavalier con più forza)
                                 Che importa a me?...
ch’egli sposi, se vuol, la cameriera?
La cameriera? (A Leandro con sorpresa ma senza finzione)
                              Sì signor, Lucrezia. (Pronto)
(Voglio dissimular ma non lo credo). (Da sé)
ch’egli fosse invaghito? (Al conte)
                                             Che so io?
Confesso l’error mio. Non so che dire.
(Non vuo’ che il cavalier entri in sospetto).
un disegno... un disegno... verbigrazia,
fatto con precisione e buona grazia.
                                        Ecco signore,
Ella dirvi potrà s’io dico il vero.
(Seconderà la mia invenzione, io spero).
Mi consolo con lei. Leandro adunque,
arde al vago splendor delle sue ciglia?
                                              Sì, Lucrezia
dite la verità. (Passa nel mezzo vicino a Lucrezia)
                            Se ho a dire il vero,
son pronta e lo dirò, questo signore
Come! Voi m’ingannate? (A Leandro)
                                                (Ahi me meschino!)
(Non mi voglio imbrogliar col mio Pasquino).
Per chi adunque vien qui? Per chi si finge
disegnator? Quale disegno ha in mente?
Presto, dimmi, favella. Ah son furente. (A Lucrezia)
                                 Su via parlate,
                                  Sì, mio signore,
Voglio tutto svelar. Signor padrone (Passa e si accosta al conte)
voi saprete l’amor di quel zerbino.
Sì, guardatemi ben, non ho paura, (A Leandro)
(Secondatemi pure e non temete). (Piano a Leandro e parte)
                                       Corpo di Bacco,
So il vostro antico amor, vedo, conosco
vendicarmi di voi, qual si conviene.
Eh venite con me, non dubitate. (A Costanza)
datele un’occhiatina. Eccola qui. (Al conte)
al vostro genitor quel che poc’anzi
e negatelo poi, se cuore avete. (A Leandro)
Questa è una novità che mi sorprende.
                                           Sì signore.
(Credi tu ch’egli m’ami). (Piano a Lucrezia)
                                                (Oh ne son certa). (A Costanza)
quella difficoltà che avea per l’altra.
ch’io serbassi Marianna al cavaliere;
                  Ah se esitate anche un minuto,
vi assicuro, signor, siete perduto. (A Leandro)
ch’ei dovrebbe parlar. Ma la germana
proibito le avrà... (Verso Leandro)
                                  Non lo vedete?
Seguitando a tacer voi vi perdete. (A Leandro)
Che? Vuol farsi pregar? Le mie figliole
O faccia il suo dover, se ciò le aggrada,
Incomincia a parlar, poi non finisce. (Al conte)
Voi bramate Costanza? Signorsì. (A Leandro)
E voi gliel’accordate? Sì signore. (Al conte)
D’una parte e dall’altra il passo è fatto.
Andar potete a stendere il contratto.
Prima che la zampina allunghi il gatto,
a me tocca di far quel che va fatto.
(Non mi guarda né men; non so che dire;
se modestia è la sua, non mi dispiace;
ma con Marianna mi pareva audace). (Parte)
                                        Venite meco;
farem la scritta ed in un tempo stesso
svegliatevi una volta. Io non comprendo
                                          Perdonate,
                                      Di che? Di gioia!
all’età giovenil. Negli anni vostri,
quando io sentiva a ragionar d’amore,
rideva il labro e mi brillava il cuore.
Qual caso è il mio! Qual avventura orrenda!
Mi avvilisce, mi opprime e non mi lascia
a Costanza! Non mai. Scoprirò dunque
l’inganno al genitor! Né meno. Oh stelle!
l’adorata beltà che il cor m’accende;
vittima del suo sdegno amor mi rende.
il bandolo trovar. Tempo e mi basta.
far che ognun mi ringrazi e ognun respiri.
                                         Che vi è accaduto?
voi principiate a tormentarmi il cuore.
Voi la sfuggite e la chiamate assedio.
                                     Deh permettete
senza offender l’amor che a voi mi lega,
parmi più compiacente e men severa.
                                 Ella stessa.
                                                       Oh bene adunque,
s’ella vi piace più, se la trovate
                                                 No, mia vita
                 Ma sì...
                                 Ma se di voi soltanto
                                           Pietà, perdono. (S’inginocchia a’ piedi di Lucrezia)
(Ah ah scoperto ho il ver. Si prende spasso
                                    (Cieli! Pasquino?
Come rimedierò?) Signore, andate. (Al cavaliere)
v’ama, vi stima ed ha pietà di voi.
Ah respira il mio cuor... (Alzandosi)
                                              Di più non dite.
Vorrei dire di più ma non ardisco. (Parte)
col mio Pasquino ed imbrogliar l’affare).
                                                Mi perdoni.
Ella troppo si abbassa, è troppo buona.
Troppo onore mi fa la mia padrona. (Ironico)
ch’ella finga di più? Si è divertita
io per buffon non ho servito ancora.
                               Rida, ha ragione.
                                          E mi credete
                                          Sì signora
alla sua sposa inginocchiato innante.
                               A lei.
                                           Povero sciocco!
Era a’ miei piedi inginocchiato, è vero.
                          Che è dessa...
                                                     La padrona (Con forza per essere ascoltata)
di placar i suoi sdegni. Io non voleva
meschiarmi in tal affare ed ei meschino,
per pregarmi di cor, si è inginocchiato.
                                  Non lo credete?
                                         Ne son sicuro.
Bertolina. (Chiamandola verso la scena)
                      Che c’è? Cosa volete?
                                              Qual padrona?
la sposa, la maggior, mi ha comandato
di pizzi d’Inghilterra. Io da me sola
e spero che anche voi m’aiuterete.
                          E il mio grembial stracciato
                                      Oh questo poi...
Sì sì, avete ragione. (E ben, che dite?
Siete sicuro ancor?) (Piano a Pasquino)
                                       (Sì, son sicuro
per burlarvi di me). (Piano a Lucrezia)
                                        Signor padrone. (Chiamando verso la scena)
                                       Ditemi in grazia
la contessa Marianna, vostra figlia,
Questa sera o diman, quando vorrà. (Parte)
                                         Non so che dire.
                                        Sì, vi perdono.
Comodatevi pur. (Tutto per lei). (Da sé)
Voglio andare in un loco e voi verrete
in maschera con me). (Piano a Pasquino)
                                          (Sì di buon cuore). (Piano a Lucrezia)
(Voglio con libertà parlar d’amore). (Da sé)
non vi è niente di male. Un certo affare
Non crediate che sia malizia espressa.
Sono, il sapete, l’innocenza istessa. (A Bertolina. Parte)
di creder quel che dice? E non vedete
che sa dire, e sa far la gatta morta.
è il saper s’ella sia la cameriera.
                                           Dunque è sincera.
Poco più, poco men, so che è lo stesso
e so l’arte qual sia del vostro sesso.
che stimi il di lui merto; volea dirgli
ch’altre vi sono e che vi sono anch’io
ma non è sì sfacciato il labro mio.
la canzon non ho fatta e poi l’autore
È una cosa crudel con questi autori,
                                   Vi par ch’io sia
                                          Niente di meglio
Oh cosa vedo! Il mio padron. (Guardando fra le scene)
                                                       Sì, è desso,
d’esser la sposa sua, la mia padrona.
Voglio tutto tentar; son nell’impegno.
qualche cosa comprar che le piacesse,
un ventaglio di gusto, una cosetta... (Lucrezia si accosta al cavaliere e gli fa un inchino)
Oh ciel! Voi m’incantate. (Siamo soli).
E voglio approfittar dell’avventura. (Guarda d’intorno)
(Se si lascia allettare e se fa il matto,
il disegno va bene e il colpo è fatto). (Da sé)
Corpo di Bacco! Un voglio in vita mia
non ho sofferto ancor da chi che sia.
Le donne hanno a soffrir di peggio assai.
che gliel’ho detto anch’io. Ma è ostinatissima.
                                        Fate una cosa.
Scusatemi, signor, se un mio consiglio
                                   Vo’ castigarla.
                                                 A me lasciate
che mi date di ciò il consentimento.
Sì, levami d’attorno un tal tormento.
Ho fatto il primo passo e il più importante
ma ecco il cavalier. Conosco il debole.
                                       Questo titolo
a me più non convien. Per me è finita.
mi ha posta in libertà. Tenga, signore,
tenga le gioie sue. Non più parole. (Gli dà lo scrigneto)
Le doni a chi le par, sposi chi vuole. (Parte)
Saprò riffarmi e vendicarmi anch’io.
di far il cambio mi consilia anch’esso,
l’uno o l’altro sposar per me è lo stesso).
(Son stordito. Non so quel ch’io mi faccia,
                                      (Ah la fortuna (Osservando Costanza)
                                            Che mi comanda?
                                     Oh mio signore...
non ha stima per voi, non sente affetto,
gradisco il dono e il vostro core accetto. (Prende lo scrigno)
geloso del mio onor, ripara il torto.
Voi sarete il mio bene, il mio conforto.
Or le gioie son mie; se mai nascessero
degli accidenti non previsti e strani,
queste non escon più dalle mie mani. (Parte)
                                          No, ho risolto.
Costanza sposerò che è di buon cuore.
                                            È contentissimo.
il nome si cambiò nell’istromento.
Mi consolo con lei ma se il permette,
                    Un pochettin.
                                               Chi vuoi sposare?
Ch’è una ragazza spiritosa e bella.
protettore di lui, preso ho l’impegno
di far ch’ei giunga delle nozze al segno.
mi schernisce così? Vo’ che mi senta,
di una burla simil vo’ che si penta. (Parte)
                                         No, signore,
a far il mio dover. Son contentissima
che sposiate Costanza. Il ciel vi renda
                                       Lasciamo andare;
non voglio che ci sia fra noi che dire,
ogni rissa, ogni sdegno ha da finire.
                                      Se questo è vero
Il disegno, signor, non è finito. (Al cavaliere)
Non temete, che or or sarà compito. (A Leandro)
di far che il padre non lo prenda a sdegno.
                                          Avete inteso? (A tutti due)
poi andate a finir di disegnare. (A Leandro)
Lo vado a prevenir di tai sponsali. (Parte)
ad operar per me col mio Pasquino. (Parte)
                                                    Alfine
mi ha promessa Costanza; o l’una o l’altra
                                                È ver, ma ancora
del ben che le volea son già pentito.
Sì, son buona, egli è ver, ma non crediate,
ch’io vi voglia servir di comodino.
                                        (O disgraziato). (Ascolta da lontano)
(Non ne voglio di più, voglio andar via). (Parte)
quando in collera son con la sua bella,
ma ritornano poscia al primo loco. (Parte)
con quest’altra fraschetta ingannatrice,
che or sarei più contento e più felice!
e per questo e per quello, io sarò dunque
                                        (Vo’ che si penta).
                                               Farmi vedere
                                        (Tenermi a bada
                                       (Di Bertolina
                                        (Corpo di Bacco!)
                                         (È un tradimento).
                                       È un insolente.
Ella, padrone mio, non sa ch’io sia.
                                           Io son contento.
                                             Comandate.
                                                  Signore.
                                      E che con lei
                                          Signorsì.
Favorisca signora. (Verso la scena) Eccola qui.
che Pasquino alla fin mi avria gabbata).
                                              Or è Lucrezia?
                                                  Saprà ogni cosa.
                                      Venga signore (Verso la scena)
                  (Pavento ancora).
                                                    Cosa vedo!
                                             Chi è Marianna? (Al conte)
Questa è la figlia mia. (Al cavaliere)
                                           Sono ingannato.
Ecco quella, signor, ch’ella ha sposato. (Additando Costanza)
Io mi acquieto e l’approvo e non mi pento.

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