Metrica: interrogazione
599 endecasillabi (recitativo) in Il re alla caccia Venezia, Bassanese, 1763 
Vuol parlare col re! Dille che aspetti,
che farò l’imbasciata e avrà l’intento. (Parte il cacciatore)
di Fidelingh ad accusar l’inganno.
Non vo’ che ciò gli arrivi all’improvviso.
All’amico milord vo’ darne avviso.
                                  Miledi al bosco?
Come! Che vuol costei? Non la capisco.
Vuol parlare col re, ve l’avvertisco.
parli, se vuol parlar. Son persuaso
che a lagnarsi di me sia qui venuta.
Lagnisi a piacer suo. Mi piacque un giorno,
promesso ancora ho di sposarla, è vero,
ma chi cangia d’amor cangia pensiero.
Sì sì, detto mi fu che siete acceso
                                      Ah sì, Riccardo.
la caccia e il re, col di cui mezzo a caso
d’un talento sì fino e sì giocondo
che l’acquisto miglior non spero al mondo.
                                            Sì, una volta
me l’ho fatta condur nel mio castello,
dove è in guardia fedel dei servi miei
                                           Non so, non ebbi
tempo ancor di parlarle e dichiararmi;
spero con mille offerte e mille doni.
termini in questo dì la real caccia.
l’importuna miledi. Il re che è buono,
l’ascolterà ma non vorrà per questo
Ella è vedova alfine e non zitella
nobil non è ma è virtuosa e bella.
ascoltata che sia, parla e dispone.
Si oscura il tempo e di cangiar minaccia.
Sieno pronti i destrier. Seguiam la caccia.
                                 Qual grave affare
sprona la dama alla foresta, in tempo
                                      Se vi molesta
basta un cenno real perché sen vada.
No no, son re per tutto e se nel bosco
posso punire un reo, nel bosco ancora
posso far che ciascun giustizia ottenga;
questo è il primo dover; miledi venga. (Riccardo fa cenno alla guardia e la guardia introduce miledi)
Sire, se al vostro piè m’avanzo ardita
e alla regia grandezza usurpo forse
d’innocente piacer qualche momento,
chiedo umile perdon. Difficil troppo
è alla reggia accostarsi e qua confido
quella clemenza da’ regali auspici
che contendonmi altrove i miei nemici.
                                     Io son tradita,
sire, da un vostro favorito. Ah spesso
del sovrano il favor godono appieno
quei che la sua bontà meritan meno!
Di voi parlate e non di me. (Imperioso)
                                                   Perdono.
Vedova io son è ver ma non per questo
e milord Fidelingh è il traditore.
Fé vi promise e amor? Posso un vassallo
obbligare alla fé, non all’affetto.
toglier dal fianco al giovane imprudente
la cagion del mio pianto e del suo scorno.
Ei di femmina vil s’accese il petto;
la rapì, la nasconde e, se ritarda
provvidenza e riparo il pio sovrano,
al nuovo sole ogni mio pianto è vano.
della parte che accusa. A noi lontano
non sarà Fidelingh. Vedrollo e spero,
di ratto e di abbandono, ai suoi doveri
della caccia a seguir le traccie usate, (Ai cacciatori)
voi calmate il cordoglio e in me sperate. (A miledi)
il favor con cui guarda un mio nemico?
da un giusto re che ama gli amici suoi
ma il suo amico primiero è la giustizia.
Se non la rende a me, se quell’ingrato
trionfa ad onta mia, se mi pospone
fondo nella vendetta ogni speranza.
Men furore, miledi, e più costanza.
Tutto fa bello amor, tutto c’insegna
tollerare, soffrir ma l’incostanza
delitto è tal ch’ogni delitto avanza.
che ha occupato il mio cuor? Vedrò l’indegno
ed in pace il vedrò? No, non fia mai.
un uomo come voi freme a tal segno?
Eh lasciatemi star. (Milord indegno!)
                               Sciocco, ignorante;
                                       Come, come!
bella, fresca, gentil, svelta e compita.
è alla caccia da noi poco lontano.
Non l’ho veduto mai. Ah se la sorte
mel facesse incontrar, vorrei gettarmi
domandargli giustizia ai torti miei.
tutti i vostri pensier può render vani.
la vendetta farò. Non son contento,
s’ei non paga col sangue il mio tormento.
voi, la famiglia e gl’interessi vostri?
guardacaccia primiero ed inspettore,
che volete di più? Pensate almeno
che avete una sorella... Eccola appunto;
Io non penso né a lei né a me né al resto.
Sì, mi vendicherò, giuro e il protesto.
Oh fratello, fratello. (A Giorgio)
                                      Andate via.
Con tanta villania voi mi trattate?
Cosa vi ho fatto mai? (Mortificata)
                                         Non mi seccate.
                                          Son quel che sono.
Voi l’amate, lo so, non l’impedisco
ma son fuori di me, ve l’avvertisco.
Volea dirvi... (A Giorgio con timore)
                           Che cosa? (Con sdegno)
                                                Che Giannina... (Tremando)
                                               E volea dirvi... (Come sopra)
Oh poverina me! Non mi gridate. (Si mette a piangere e canta tutta l’aria seguente interrotta e piangendo e Giorgio s’impazienta. Pascale va facendo de’ cenni a Giorgio perché l’ascolti e Giorgio tanto più va in collera mentre Lisetta canta)
Come! Come! Giannina è ritornata? (Con affanno)
                                    Dov’è Giannina?
Presto, dite, dov’è? (A Lisetta)
                                      Se griderete,
non saprete dov’è, non la vedrete. (Con un pianto un poco rabbioso)
                                      Via, ch’ella venga,
                  Il giuro.
                                   Or or la manderò. (Canta la seguente aria colla stessa musica dell’altra, interrotta, con qualche singhiozzo e qualche volta tremando)
                                    Non sono ancora
Ho ancor dei dubbi in testa e i dubbi miei...
voglio solo parlar. Itene, o guardie,
poco resta di giorno e se di notte
per la foresta qualchedun trovate,
fate il vostro dovere e l’arrestate. (Le guardie partono e anche Pascale)
Corpo di Bacco! Vorrei farlo in brani.
per calmar della bile il primo foco. (Si ritira)
                                                   Son tuo, crudele?
Temo, spero, non so. Tu sei più mia?
                                          La stessa ancora?
                                     Sinceramente
                               Non tacer niente.
                                               Bene.
                                                            È venuto
                                         Servo malnato
                                           Di una partita
                                     Grano! Che grano?
vuol che tu vada a macinar da lui? (Con sdegno)
Ma tu gridi e ti scaldi; è questo adunque
della dolce accoglienza il preso impegno? (Con caldo)
Parla, narrami tutto, io non mi sdegno. (Si sforza)
un commercio abbiam noi di biade e grani.
che una madre non ho, vecchia, impossente.
                                   Ch’io son costretta
                                      È ver.
                                                    Qual male
senza sospetto, a contrattar di biada?
                                     Nel suo castello
                                           Sì.
                                                   Quelle scale
                                            Purtroppo.
                                                                  Oh cielo!
                                        Nulla è seguito.
per la caccia real, pria ch’io giungessi.
di dispormi ad amarlo; e aperto un scrigno
Povero me! Ti fe’ veder dell’oro?
antepor la ricchezza al suo dovere?
la serva s’avvilì, partì confusa,
chiuse la stanza; io risoluta, ardita,
misuro il salto e dal balcon mi getto.
Oimè! T’hai fatto mal? (Intenerito)
                                            No, grazie al cielo,
cadei sull’erba e son rimasta illesa.
                                           Adagio un poco.
La tua cara non è chi da te merta
tu non meriti più d’esser amato.
                                       Non vi è perdono.
                                                   Ah compatisci
l’amor, la gelosia, l’ira, il sospetto.
                                       Vuoi tu vedermi
                                     Morte non chiedo
ma tu sei un ingrato e non ti credo.
No, bell’idolo mio, non sono ingrato.
Se mi nieghi pietà, son disperato.
Per dir la verità, lo compatisco.
Il caso è stato brutto. Che una donna
torni com’ella è andata, almanco almanco
è cosa da segnar col carbon bianco.
                                                       È fatta.
                                  Ma voi, Lisetta,
                                         Zitto, ch’ei viene.
Non gliel’ho detto ancor ma gli vo’ bene.
                         Venite.
                                         Mi rallegro
Ditemi in confidenza, com’è andata?
                                    Non le badate. (A Lisetta)
                                         È ver, ma in cento
                                              A poco presso
quante le buone son del vostro sesso.
fra gl’uomini e le donne. Il vostro amore
e sparisce l’amor colla bellezza.
                                 Eh non vedete
ch’ella parla così perché ha trovato
farle il male maggior di tutti i mali!
Tutti gli uomini alfin non sono eguali.
E che so io di non trovarne un peggio?
che il core di Pascal sia dei peggiori?
Non sono esperta e non conosco i cuori.
Ah se vedeste il mio, lo trovareste
di zuccaro e di mel fatto impastato.
che è fedel, che è costante e che in sé chiude
tutto quel buon che immaginar si può.
Quando l’avrò veduto, il crederò. (Parte)
e sono anch’io quanto bisogna esperto.
Per provarla farò... Ma che far penso
per provar una donna? È meglio sempre
dir che l’amo, l’adoro e che mi piace.
fino dal primo dì, quand’io l’ho vista,
che la sincerità merito acquista.
ho pensato abbastanza. Il ciel pietoso
Perdere non vorrei la grazia invano;
che si concluda e diamoci la mano.
Da mia madre venite. Ella ha il potere
                                   Lasciar non posso
il mio posto per or. Declina il sole,
si avvicina la notte. Il re potrebbe
di qua passare e s’io non mi trovassi
al passaggio del re nel mio quartiere
mancherei questa volta al mio dovere.
andrò mia madre a consolar. Domani
parlerem delle nozze. Addio. (Lampi e tuoni e si va oscurando la scena)
                                                      Giannina
un’oribbil tempesta il ciel minaccia;
                                    Ma non vorrei
si avanzasse vieppiù la notte oscura. (Lampi e tuoni e si fa più scuro)
Oh fratello, fratello, oh che paura! (Vien correndo)
sulla quercia maggior della foresta.
Colpita avesse di milord la testa.
Che? Milord tuttavia vi sta sul cuore?
Non mi scorderò mai quel traditore.
                                No ma l’indegno
merita l’odio vostro ed il mio sdegno.
                 Giorgio.
                                   Siete voi?
                                                        Son io.
                                          Per mia fé,
Ma che fate voi qui? Non vi fidate
                                                   Ho accompagnato
Giannina a casa sua con mia sorella.
                                          Sì, pregato
m’han tutte due di stare in compagnia.
ragazzina del mondo. Ella ha proposito.
Voi, per vostra bontà, mi avete detto
non sarete contrario e vi protesto...
Or non è tempo di parlar di questo.
Si è dispersa la caccia. Il re medesmo
dicon che si è smarrito e se per sorte
ritrovassi milord perduto, errante,
lo vorrei confinar fra queste piante.
Lontano ancora il calpestio si sente.
andate verso la montagna. Io resto
colle mie guardie sin che arriva il giorno. (S’incamminano per partire uno da una parte, l’altro dall’altra. Giorgio prende un albero isolato per un uomo)
al più vil de’ mortali un re possente.
dal timor, dal dolor; finché sul trono
siede il sovrano, ai sudditi prevale;
quando è solo in un bosco, agli altri è eguale.
                                           Qualcun s’avanza.
                                       Son io.
                                                      Chi siete?
Son io. Non intendete? (Con alterezza)
                                             Io, io; quest’io
Vo’ sapere chi siete e dove andate.
troppo nuova per me. Chi siete voi?
Guardacaccia del re. Della foresta
e uso con voi l’autorità reale.
Mi convien rispettarla. E bene, io sono
                       Che amico? Io non accetto
per amici color ch’io non conosco.
Cosa fate a quest’ora in questo bosco?
(Affidar non ardisco a un sconosciuto
                                  Suo cortigiano?
a quel nome d’amico. I cortigiani
smarrito io son della foresta oscura.
                                    Il mio destriere
cadde dal monte al pian precipitato.
un cavallo spirante in su la strada.
                                             È la mia spada,
meglio sul mio baston vi appoggiarete. (Gli dà il bastone e prende la spada)
                                        Ma dite un poco.
                                        Vi pregherei
                                           Io? Questa notte?
Con questa oscurità? Per quest’arena?
A tre leghe lontan? No, perdonate.
vi credo galantuom, malgrado al nome
d’amico e cortigian; se voi volete
condurovvi a un mulin che è qui vicino.
                                Farò trovarvi
                                       No, certamente.
Non mi distaccherei di qui lontano,
se me lo comandasse il mio sovrano.
                                          Andiam. Credete
che alla caccia domani il re ritorni?
No; il re non caccierà per vari giorni.
                                Ne son sicuro.
                                     Sì lo conosco.
                                          Mi par di sì.
                            Una grazia ho a dimandargli.
da tutti abbandonata. I servi miei
né trovo almen per riposarmi un sasso.
Ah ingrato Fidelingh, per tua cagione
di perverso destino... Oh dei! Mi sembra
tacito calpestio sentir non lungi.
Celerò il mio timor fra queste piante. (Si concentra nel bosco)
Ehi Riccardo? (Riccardo alla dritta ed il milord alla sinistra)
                             Milord.
                                             Non vi staccate.
                                     Ahi. (Mostra quasi di cadere)
                                                Cos’è stato?
                                    Gran notte oscura!
un incontro all’amore o alla vendetta). (Da sé fra gli alberi)
Perdo la notte e la Giannina aspetta.
                                                Un mal cercato
non merita pietà. Se un tale affanno
procurato ha da sé, direi suo danno.
Sì mio danno, crudel! (Esce e si fa sentire accostandosi)
                                          Cieli!
                                                       Che sento?
È tua colpa, è mio danno il mio tormento.
                                    Son qui, spietato,
l’ingiustizia a sentir di un cuore ingrato.
                     Eccomi qui.
                                             Partiam. La mano (Piano a Riccardo, crede di prender lui per la mano e prende quella di miledi)
                                          Ferma inumano.
Di qui non partirai. (Lo ferma per il braccio colla mano sinistra)
                                       (Barbaro fato!) (Da sé)
(Oh l’amico davvero è imbarazzato). (Da sé)
                                     Vo’ che la fede
serbi che mi giurasti o che tu mora.
In un bosco? All’oscuro? Ed a quest’ora?
Non schernirmi, crudel. Con questo stile
vendicarmi saprò. (Impugna uno stile)
                                    Come.
                                                   Fermate.
disarmar la mia destra. Il mio furore
                                       (Misera me!) (Da sé intimorita, scostandosi un poco)
No; la guardia è una sola e in due noi siamo.
Difenderci convien. (Mette mano alla spada)
                                       Come volete. (Mette mano alla spada)
Chi va là? Chi va là? Non rispondete?
Bravi, signori miei, me ne consolo.
Guidateli ambidue dove sapete. (Alle guardie)
Ah milord Fidelingh, mi spiace assai
Giannina è nel castello che vi aspetta. (Poi da sé ride)
Va’, perfido, spergiuro.... (A milord)
                                                Olà son stanco
gl’insulti tollerar di un vil ministro,
una donna insolente, un servo audace.
la parte vostra, io prenderò la mia. (A miledi)
di un barbaro infedel! Tratta in tal guisa
                                         Non vi affligete;
sola in tale destin voi non sarete.
serbo un cuor troppo fido e se l’amore
spero invan finch’io vivo andar disciolta!
Ma per chi tanta fé? Per un ingrato?
che mi alletta, m’incanta e poi m’uccide?
di quest’orrida notte! Alma ferina
più degli abitator della foresta!
da te, dall’odio tuo, dalla mia sorte?
Viver in pene o accelerar mia morte.
il cuor di Giorgio e quello di milordo
l’altro in crusca andarebbe arida e dura.
Lisetta. (Chiama alla porta dalla casa)
                 Eccomi qui. (Sortendo dalla porta)
                                         Non torna ancora
                                         Io sono in pena
                                        Se ci patite,
No no, s’egli non vien, non vado a letto.
Anch’io fino a doman veglio e l’aspetto.
                                                Lavoriamo.
Lavoriam se volete e in un cantiamo. (Si mettono a sedere, cavano dalle loro borse il loro lavoro, lavorano e cantano)
                                        Vado a vedere. (S’alza e corre alla porta che dà sulla strada)
L’amor di Giorgio mio mi sembra bello.
evvi un signore che non so chi sia.
Un signor è con lui? (Si alza e mette via il lavoro)
                                       Son qui, Giannina.
un galantuom ch’io stesso non conosco.
                                     Siete padrone.
                                      Gentile e bella. (A Giannina con gravità, la quale gli fa una riverenza)
Ed io sono di Giorgio la sorella. (Gli fa una riverenza)
Vezzosetta e gentil non men di lei. (Come sopra a Lisetta)
Vostra madre dov’è? (A Giannina)
                                         Povera vecchia!
                                         Che far io posso?
                                     Non ho cenato;
ch’è un di quelli del seguito del re,
ha appetito, cred’io, non men di me.
                                       Sì, volontieri,
Questo buon cavalier perdonerà. (Al re con una riverenza)
Perdonerà la nostra povertà. (Al re con una riverenza)
Ehi, è amico del re. (A Giannina) Non è egli vero? (Al re)
l’istoria di milord che ci ha insultato;
d’impetrarci dal re buona giustizia. (A Giannina)
                                            Ne son certo.
                                        Ne dubitate?
l’oro, l’adulazione e la bellezza.
(Un caso tal credo non si sia dato.
Così vero ad un re mai fu parlato).
ch’alla caccia col re sinora è stato
come gl’uomini ch’han qualch’intelletto
vogliano affaticarsi a bel diletto.
detestabil mi sembra e vi avvertisco,
che non vi venga mai questo prurito.
Cosa dite, signor, dell’allegria,
                                      Con sua licenza. (Fa una riverenza al re)
                         So anch’io la convenienza. (A Giorgio e parte)
Sarete stanco e sono stanco anch’io. (Siede alla dritta)
Questo è il mio gran piacer. Fo il mio dovere,
tutto il giorno fatico e poi la sera,
mangio, godo e riposo come un re. (Si stende su la sedia)
                             Brave, ragazze,
                               Mangierò io.
ai gran banchetti del sovrano augusto,
non vedrete a mangiar sì di buon gusto.
(Credo che dica il vero). (Da sé. Giorgio mangia qualche cosa)
                                               Eccovi qui
del prosciutto, del pane e del buon vino.
servitevi voi due. Mangi, signore. (Al re)
Mangi almeno un boccon per compagnia. (Al re)
                                             Almen bevete; (Al re)
Bevete ancora voi, (Alle donne) beviamo tutti. (Versa il vino in tre bicchieri, ne dà uno per una alle donne e l’altro per sé)
                     Viva il re. (Bevono)
                                         Vada il bicchiere. (Getta via il bicchiere)
e quando il sappia non lo pagherà. (A Giorgio)
Fate conto che il re l’abbia saputo
pregovi di accettar... (Tira fuori una borsa e l’offre a Giannina)
                                        No no, signore
vado a prenderne uno e torno qua. (A Giannina)
Vi ringrazio signor; troppa bontà. (Al re)
Manderebbe il sospetto in abbandono,
s’ei conoscesse il donatore e il dono.
                                    Egli ha paura...
                                      Vi è differenza. (A Giannina)
Milord avea delle intenzion cattive
e, per esempio, questo buon signore
Una fanciulla non riceve in dono... (Al re)
Scusate voi. Così incivil non sono. (A Giannina)
che non macchia l’onor né l’innocenza). (A Giannina)
                                     Ah se sapeste
l’innocenza, il candor, mirar sul labbro
la verità, non da malizia involta!
Ah sì, questa è per me la prima volta.
voi potrete partir per la città. (Al re bruscamente)
vengono qui le guardie ed ho veduto
Presto; di qui la tavola levate. (Due paesani portano via la tavola. Giannina e Lisetta si mettono dalla parte del re, coprendolo in maniera che quei che arrivano non lo possano veder così presto. Giorgio resta vicino a Giannina ed anch’egli copre il re come sopra)
Questi due che vedete e il terzo poi...
                                                Siete voi quello
                                                  Sì, Giannina
è in mio poter; sappilo a tuo dispetto
né sì tosto uscirà fuor del mio tetto.
                                          E dell’insulto
mi pagherai che fer le guardie a me.
                                     Ah sire, sire,
vi domando perdon. (Si getta in ginocchio)
                                        Serva umilissima...
di vostra maestà... (Tremando e facendo la riverenza)
                                    Sì, buona gente.
                   (Oh fortuna!) (Si alza e baccia il lembo dell’abito del re)
                                              E voi, milord,
                                     Sire, io credo
                                 Sire... (Raccomandandosi contro milord con collera)
                                               Tacete. (A Giorgio che s’inchina, fremendo)
                            Dirò, signore...
È una vil molinara, è un’infelice
che volea quell’indegno... (Giorgio freme)
                                                Olà pensate
chi vi ascolta al presente e a chi parlate. (A milord)
suo malgrado sposarla e non conviene...
Non è vero, signor; Giorgio è il mio bene. (Esce da dove era e corre a’ piedi del re)
spero mi renderà quella giustizia...
lo conducan le guardie in sicurezza.
(Precipizio dell’uomo è la bellezza). (Da sé. Parte con delle guardie)
                                                 Ite voi pure. (A Riccardo)
Io detesto milord e lo condanno. (Al re)
(Mi assocciai con milord per mio malanno). (Da sé. Parte con le guardie)
che arrestar questa notte i prigionieri. (Una guardia riceve l’ordine e parte)
Sarò clemente con milord ma intendo
ma sia sincero ed a mentir non venga.
                     È miledi.
                                         Or la conosco.
                                      Subito, maestà. (In atto di partire, poi si ferma)
                                        Lo so.
                                                     Ch’io sono
                               Sarai ricompensato.
                                            Fa’ che a me venga
di quel poco ch’io so ma per esempio,
è un carattere nuovo agli occhi miei.
i piaceri, egli è ver, ma confinato
il più bello del mondo un re non vede.
                                               Veramente
ordinario non è che un reo s’avanzi
non condotto e non chiesto al rege innanzi.
                                          È ver, non siete
ma innocente non è chi ha resistito
alle guardie reali. Io stesso, io stesso,
rassegnare alla legge. Ho rispettato
il vassallo, il ministro ed il sovrano.
È vero, è ver, la compagnia, il consiglio...
                                        Voi lo sapete
se alla pietà piucché al rigor son prono.
                                          Gli strani eventi
della notte passata e il ver piacere
marche a donar d’aggradimento e gioia.
di Giannina e di Giorgio; è mia intenzione,
per quanto il luogo ove ora siam permette,
l’apparato formar lieto e pomposo.
l’ordine del mio re. Ma deh, signore,
                                            L’ascolterò.
S’egli merta pietà, pietade avrò.
l’amicizia in Riccardo; anzi mi sembra
                                           A me già note
son le vostre avventure e son disposto
(M’agito fra il timore e la speranza).
                                                   E quale
vi approssimate al re? Caparbio ancora
                                           I falli miei
conosciuti ho, signor, fra i miei perigli.
Li confesso e detesto. Eccomi in mezzo
di un’offesa beltà. Pentito io sono,
a voi chiedo clemenza e a lei perdono.
Grazia, grazia, signor, per me gli accordo
tutto il favore e gli error suoi mi scordo.
Io la grazia soscrivo e vi abbandono
un pentito amator rende innocente. (Parte)
Se degno ancor son della bontà vostra...
                                       Chiedete, o bella,
chiedete pur, non chiederete invano.
non mi lusingo ancor. Lo temo ancora
dubbioso, incerto e guadagnarlo aspetto
coll’uso, il tempo e il più sincero affetto.
                                          Potrem tenere
                        Non so.
                                        Paggi, staffieri,
Non possiamo star bene e restar qua?
No, mi voglio scordar quel che son stata.
                                         Già m’aspetto
che la gente ci dica in su la faccia:
«Ecco la mulinara e il capocaccia».
Non ne dite di più, che mi vien male.
                                       È ver. Mi sento
certa smania nel cor che non mi lascia
goder in pace questo ben che abbiamo.
Non sapiam, gioia mia, quel che vogliamo.
                                       Ditelo, amica,
                                     Ci scommetto
che con tutto che siamo quel che siamo
                                      Oh sì, signora.
L’amo, lo bramo e lo pretendo ancora.
                     Un uomo vil!
                                               Guardia del bosco!
                                        Che può sperare
                                     Dov’è il giudizio?
Soffrireste un cognato di tal sorte?
                                       Convien pensare.
                                       Bisognerebbe
(Sì tentiam di salire un po’ più in su...) (Piano a Giannina)
                                             Sire...
                                                           È vero...
                                     Ma il nostro stato...
cosa tale di voi che mi ha sorpreso.
ricchi sol di virtù, non di fortuna.
quella moderazion che in voi mi piacque,
che la stessa virtù diventa orgoglio.
ma il desire dell’uom non ha confini.
Giannina. (Mostrano la confusione nella quale si trovano)
                      Giorgio mio.
                                                Siam pazzi.
                                                                        È vero.
                         Ho sentito.
                                                E ben?
                                                                Che dici?
                                          Torniam felici. (Con allegria)
che il re, per sua bontade e cortesia,
m’ha fatto capitan d’infanteria.
                Me ne consolo.
                                             E mia sorella
Salto dall’allegrezza. Oh caso! Oh sorte! (Parte saltando e godendo)
                                       E che vogliamo
                                  Mi aveva preso
                                         L’ambizione
                                    Or son felice.

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