fra il chiarore dell’alba e delle stelle
la mia bella Rosina alla finestra.
Più non cura di me. Eh ehm. (Si fa sentire)
L’Angiolina mi vede; anch’ella è alzata.
Fingerò non vederla e non sentirla).
(Con Giannino colei non vuol finirla).
Rosina. (Sotto la finestra piano)
perché deggio finire un andrienne
E perché di vederti avea speranza.
Oh che rabbia! Eh ehm. (Tossisce forte)
Senti? (A Giannino piano)
vieni un po’ sulla porta.
(Voglio fare arrabbiar quella fraschetta). (Entra)
quando posso vedere il mio tesoro,
applico con più gusto al mio lavoro.
Chi mi chiama? (Fingendo non vederla)
Principia il sole a discacciar l’aurora,
chiaro si vede e non mi vedi ancora?
ha perduta la vista in quel balcone.
Voglio per or dissimular).
comodo e galantino. Tu che sei
fammi questo piacer. Ti pagherò.
che farotti veder com’io lo voglio.
Or non posso venir. (Quest’è un imbroglio).
Di’ che venir non vuoi, perché paventi
disgustar la Rosina. Disgraziato,
servo di cuffie tante dame e tante
che ti farò pentir, te lo prometto,
e sarai mio marito a tuo dispetto. (Si ritira)
io timore non ho. Nessun può fare
ch’io la prenda per forza. Amo Rosina
e la voglio sposare e, se dovessi
andarmene di qua, non mi confondo.
Posso fare il mestier per tutto il mondo.
Non vorrei che suo padre fosse alzato.
mormori nel vedermi in questo loco.
Mostrerò di passar, canterò un poco.
Canta, canta, birbone, a un legnaiuolo
non do la mia figliuola. Che cos’hanno
di capitale i falegnami? Oh bella!
Quattro tavole, un banco e uno scalpello,
una sega, una pialla ed un martello.
che con tutte vuol far l’innamorato. (Apre la balconata)
Non ci pensate. (Entra per la porta della bottega e si fa subito vedere alla balconata)
se lo veggo passar, con questo spiedo
l’infilzo a dirittura. Son degli anni
se la figliuola maritar pensaste,
Eha, garzoni, (Escindo dalla bottega col cassettino nel braccio co’ li strumenti)
presto il foco accendete alla fucina,
quel ferro arroventate e quando torno
e da un capo e dall’altro attortigliato. (Torna in bottega)
Ma è un giovane ancor ei senza giudizio,
gli piace il vino e delle carte ha il vizio).
come dicea, ci parleremo.
vedova di monsieur di Cottegò
a por la serratura ad un burrò.
deggio ad essa portar questa mattina
dee portarle un andrien che ha rivoltato.
ci andiam malvolontieri. È sì soffistica
che in ogni lavorier trova che dire,
strilla, grida, maltratta e fa impazzire.
Io con lei non m’impiccio. Ha un cameriere
che le accomoda il capo ed è padrone
in casa più di lei. Anzi si dice,
che lo voglia sposare o sia sposata.
Come si dice? Paribus con paribus.
Io con Rosina, per esempio, oh sì
paribus vi saria, non è così?
prima di maritarvi a far cervello.
mastro Bernardo, su la mia parola...
Meco non staria mal vostra figliuola.
che duri il buon pensier di governarsi.
No no la figlia mia non la vo’ dare
perch’abbia da pentirsi e da penare.
Ma il sole è alzato e ancora non si vedono
A chi faccio mangiare il pane mio?
La bottega stamane aprirò io. (Entra in casa)
viemmi dietro bel bello e per la strada
non ti stare a incantar. Guarda per terra;
guarda di non cader, che non avessi
le scattole dei fiori a rovesciare
e le scuffie e i merletti a rovinare. (Alla fanciulla. Bernardo apre per di dentro la balconata della bottega e fa la solita mostra di scarpe)
apre adesso bottega e la figliuola
stavasi a far l’amor mentr’ei dormiva.
Non vo’ più scarpe; non vo’ più amicizia
di stroppiarmi le piante avrai finito).
Angiolina. (Dalla balconata)
Gran premura per me che avete avuta!
Tenetele per voi, son provveduta.
quando prometto differir non soglio.
Eccole, sono fatte. (Fa vedere le scarpe dalla balconata)
aver nulla che far con casa vostra.
Perché dunque il sappiate, io vel dirò.
Ora prendo un bastone e vado su.
poi farò colla frasca il mio dovere.
di venire a bottega? Un’altra volta
romperti io voglio sulla schiena un legno.
Queste scarpe riponi e dammi quelle
Eh ti farò ben io cambiare usanza. (Il garzone entra in bottega colle scarpe)
Sei di sonno impastata. Ragazzaccia
che le mani mi sento a pizzicare.
che di dentro mi stuzzica e mi rode.
fossesi raffreddato. Io non ho colpa
se quella volpe vecchia di mio padre,
scese le scalle a scorbacchiarlo a un tratto
quel che tiemmi in pensiere è la cuffiara.
che nulla nulla a bisticciar si metta,
chi son io lo vedrà quella civetta).
mi diede inver delle speranze tante!
Mi ha scacciato da lui come un birbante.
quella bottega che da quattro mesi
è ancora spigionata? Io l’ho presa
per poterti vedere e far dispetto
a Tita fabro e all’Angiolina e a quanti
e tuo padre, ancor ei, ci avrà da stare.
pagata ho la pigione ed ei m’ha detto
la mia gente, il mio banco e i miei lavori.
Sì, al dispetto di Tita e d’Angiolina.
e mi vo’ maritar con chi vogl’io.
mi ha un po’ fatto adirar.
abbi un po’ pazienza. Sei sicuro
ch’io ti vo’ ben di core e che mio padre
può dire, può gridar, può bastonarmi,
che se mio tu non sei, vo ad annegarmi. (Parte colla ragazza)
propio la mi vuol ben ma di quel buono,
d’aver preso bottega in questo sito,
quanti babbei si morderanno il dito!
Vada, torni se vuol, lo pagherò.
(Vi è pur poca carità). (Parte e poi torna)
Ora non vo’ nessuno e se costoro
mi vogliono servire e il mio danaro
quante volte mi piace han da tornare.
Subito l’alzerò! Con permissione.
(Mi convien secondar la sua oppinione). (Cava il pettine di tasca e le va rittoccando il tuppè)
d’avere una padrona sì cortese
e un anno ch’io son qui mi sembra un mese. (Seguitando come sopra)
quanta ho per te parzialità.
Ma all’amor che ho per te sei poco grato.
desio di far del bene. Avresti ardire
conosco l’esser mio; di più non bramo.
Vi è gente in anticamera.
Sì certo. (Accostandosi per vedere)
Oh sa ella chi è? (Con allegrezza)
quando vengono donne è il suo piacere. (Con ironia)
Tu non stare a venir. Tu qui mi aspetta.
ch’ella è accesa di me ma non per questo
Sarà quel che sarà, vo’ divertirmi.
Chiamo, richiamo e non risponde alcuno.
con lei riscontrarmi ora non vuo’.
Vi terrò compagnia, se l’aggradite.
siete tanto gentil che chi vi mira
Se mio padre o Giannino o qualcun altro
ti viene a domandar con chi ho parlato,
non lo dire a nessun del cameriere.
Va’ via; va’ in anticamera a sedere. (Piano alla scolara che parte)
(Io mi vo’ divertire un pocolino.
Guai a me, se vedesse il mio Giannino).
io non posso pagare il parrucchiere.
verovvi io stesso ad acconciar la testa.
ma in casa ho soggezione. Da un’amica
e verrà la scolara ad avvisarvi.
volete che vi accomodi il tuppè?
Dunque sedete. (Prende una sedia e la dà a Rosina ed ella siede)
se mi vede col capo accomodato?)
accrescere le grazie a un sì bel viso!
Olà. Chi è qui? Che impertinenza è questa?
a portarle l’andrienne ed aspettando...
Eccolo qui, (Viene la ragazza, Rosina spiega l’andrienne)
che sia nuovo di pezza. Se lo provi.
Spero che le anderà perfettamente.
L’avrei dato al sartor, se ciò credea. (Getta il vestito sopra una sedia)
Una sarta par mio tratta così?
Sono stata una pazza a venir qui.
d’abiti di velluto e di broccato.
Altro che questo straccio rivoltato! (Strapazza il vestito)
nieghi la colpa tua con tale orgoglio?
Esci di casa mia. Più non ti voglio. (Parte)
se resistere il core invan procura
colpa mia non è già ma di natura.
Mastro Bernardo. (Lavorando)
Che hai di nuovo, Tita? (Lavorando)
Novità non ne mancano. I mosconi
Ho paura dei venti tramontani.
Questa nostra piazzetta è divenuta
una stalla, un porcile, un letamaio.
(Quest’insolente stuzzica il vespaio).
Pieni di piallature e segature.
Pago la mia pigione e ci vo’ stare. (A Bernardo e Tita)
E chi parla con voi? (A Giannino)
Con chi l’avete? (A Giannino)
voi l’avete sbagliata in verità.
Io vi risponderò come che va. (Come sopra)
Mastro Bernardo aiuto. (Lavorando)
(Andrò dove s’aspetta a dirittura). (Torna al suo lavoro)
Presto, presto, a sedere e a lavorare.
la signora contessa del Caviale
esser dee terminato o bene o male.
tirate giù alla peggio. La contessa
vuol pagar poco ed aspettar conviene,
come merita anch’io la servo bene.
ch’i’ ho fatto, non volendo, per isbaglio. (Alla terza scolara)
non so quel che mi faccia e allora quando
precipito i lavori e taglio a caso.
Per farmela passar canterò un poco. (Siede, lavora e canta)
o ti do la bacchetta in su le dita. (Ad una scolara)
Ti darò il bracciolare in su la testa. (Ad un’altra scolara)
Quest’è il dover delle fanciulle oneste.
per la robba degli altri.
a insegnarmi il mestier! Che importa a noi
che un abito s’impolveri e s’imbratti?
Se li godan così, quando son fatti.
con tanta gelosia, con tanto amore,
veniteli a veder dalle sartore.
Tutti non fan così? Le vostre scarpe
le rendete davver belle e polite?
che per voi con industria ho risparmiato.
Se non ho quel ch’io voglio andrò a servire.
col mio caro Giannin d’acqua e polenta.
hanno detto così; ma poi col tempo
cariche di miserie e di bambini
avrian dato l’amor per sei quattrini.
gli occhi e le dita, di penar non temo.
Sì, lo voglio lo voglio e lo vedremo).
a porre un ferro immantinente al foco. (Parte una scolara)
io voglio il mio Giannino e se dovessi
vivere in povertà, sotto un bastone
dirò quello che dice la canzone.
vuol venirmi a parlar? Dov’è mio padre?
Digli che venga pur. Tu scalda il ferro,
guarda che caldo sia quand’io lo bramo.
Ma di qua non tornar, se non ti chiamo. (Parte la scolara)
vammi a comprar del refe e della seta,
digli, per non mandare ogni momento,
che ti dia di colori un sortimento. (La scolara parte)
vuol ch’io vada a provarle il suo vestito
poiché poco vi manca a esser finito. (La scolara parte)
A parlar con Giannino io mi consolo
ma parlare gli vo’ da sola a solo.
il ben che ci vogliam ce lo vorremo.
E se il cielo vorrà, ci sposeremo.
Anch’io non istò mal da poveretto.
Io ne ho fatte di nuove una dozzina.
due vestine, due busti e sei sottane.
Ed ho più d’un grembial di tele indiane.
e un ferraiolo ed un cappel bordato.
qualche aiuto averò per farmi un letto,
quattro sedie, un armadio ed un specchietto.
comprerò delle tavole in credenza
e farò dei lavori a questo e a quello
per comprarti una vesta e un bell’anello.
Fosse mio padre! Vattene di là
Fo quel che vuoi. (Passa in un’altra stanza)
di madama Costanza! Gli ho pur detto
che non venga da me. Mi spiace assai
che Giannino è di là che vede e sente
ma è buon figliuolo, non dirà niente.
e scacciommi di casa inviperita.
Un pochino d’amore e son contento.
non vorrei lo sentisse). In cortesia
Mio padre può venir; di grazia andate.
come detto mi avete ad avvisarmi...
Zitto per carità. (Vuol rovinarmi).
Poscia ritornerò, quando non siavi
Deh vogliatemi ben, ch’io ve ne voglio.
non avrà né veduto né sentito;
e poi se mio marito esser desia
io sospetti non vo’ né gelosia.
Sai che ti voglio bene...
se ti guardo mai più sia bastonato.
A me così favelli? In tal maniera
vedrai uno spettacolo ai tuoi piedi.
Cospetto! Lo vedrai; voglio ammazzarlo.
Non lo conosco. (Bruscamente)
cospettonaccio! avrà che far con me.
Eh un uomo come me non si minchiona.
che co’ pazzi ancor io non vo’ impazzare.
Anch’io, cospetto! perderò il giudizio. (Alza anch’egli una sedia)
(Affé dice davvero. Colle buone
(Ho la rabbia nel sen che mi divora).
che con tutte vuol far l’innamorato
e da tutte è deriso e corbellato.
Hai ragione, Giannin, non farò più.
vien dalla Rosa tua che ti vuol bene.
(Ah resister non so; ceder conviene).
che or or per cagion tua divengo matta,
La pace è fatta. (Con allegrezza)
Spiacemi che convien che or me ne vada.
con tuo padre incontrarmi.
Anderò alla finestra e se vedrò
che mio padre ci sia ti avviserò.
che senza soggezion potrò parlarti?
Amami e non temer, che il dì verrà.
d’essere fin agli occhi innamorato.
giurato avea di non amar mai più.
E tornai presto presto a cascar giù.
Ah Giannino che fai? Pensaci bene.
Se con questo e con quel scherzar le piace
sarò geloso e non avrò mai pace.
Dunque che s’ha da far? Lasciarla? Ah no.
Lasciarla io non potrò. Morir mi sento
solamente in pensarlo. Ah vita mia
sono nelle tue mani. Abbi pietà.
Non mi dar gelosia per carità.
senza il caro Fabrizio. Ehi! Chi è di là? (Esce un servitore)
cerca del camerier fin che lo trovi.
Se non lo trovi, avrai che far con me. (Il servo parte)
È ver che all’amor mio mi parve ingrato
la fiamma che per lui m’arde nel cuore
né sa ch’io l’ami e ch’io pretenda amore.
farò ch’egli lo sappia e mi lusingo
ch’ei non avrà difficoltade alcuna
di comprar con amor la sua fortuna.
Parmi di sentir gente. Oh me felice
se fosse l’idol mio! Vieni, o mio caro...
Ah ingannata mi sono. È il calzolaro.
(Per verità è garbata). Favorisca.
Fosse questi Fabrizio! Oh che diletto
Vatene, seccator; ti chiamerò.
quante volte mi par tornar tu dei.
Ma il mio tempo, signora...
la persona sarà ch’è a me sì cara.
Maladetto destino! È la cuffiara).
che l’abbi strappazzata per dispetto.
Se la provi e vedrà che anderà bene.
a provarla allo specchio?
(E Fabrizio crudel non viene ancora?)
La chiave del burrò... (A Costanza)
Torna o mi aspetta. (A Tita)
E provare non vuol?... (A Costanza)
No, maladetta. (Ad Angiolina)
per certa gelosia che stamattina
ebbe, ma con ragion, della Rosina.
e sospetto di lei non potrà avere.
ma se il padre sen va poco distante,
introduce in sua casa il caro amante.
L’ho veduto testé cogli occhi miei.
che Rosa sarà mia? (A Bernardo)
per odio di colui, ve lo prometto.
E che sì che il vedete a voi tornato? (All’Angiolina)
operare a chi sa. Giannin conosco.
e so ch’è spaventato e col pretesto
di far pace con noi lo condurremo
e faremo ch’ei beva in allegria.
di far ch’egli rinonzi la Rosina
e mantenga la fede all’Angiolina.
che ci foste anche voi. (All’Angiolina)
Perdereste la vostra nobiltà?
Andremo all’osteria della Fontana, (All’Angiolina)
fidatevi di me; so quel che dico.
mi anderò riscaldando e darò foco.
Io fingere non so ma non v’è dubbio
che cerchi d’imparar sì gran virtù.
La mia sincerità stimo assai più.
se oltre l’esser bellina avete il dono
siete una rarità. Corpo di Bacco
avessi sulle spalle... Ma sentite,
ma il cuore tuttavia mi brilla in petto.
Povero galantuom, lo compatisco
consumare con esso i giorni miei.
Mi preme il mio Giannin; per acquistarlo
farò quanto potrò ma quando mai
non l’avessi d’aver, se ho da cambiare
non mi vo’ con un vecchio accompagnare.
sia andato all’osteria? Me l’hanno detto,
me ne vo’ assicurar. Povero lui
se ciò è la verità. Vo’ andar cercando
per tutti questi alberghi qui d’intorno,
se ti trovo, briccon, te lo prometto,
neanche a mio padre porterò rispetto.
Vieni, vieni, Giannin, non sarà nulla.
Ehi camerier, portateci un boccale.
Povera gioventù! Bevuto ho pure
e sono lesto come un palladino. (Traballando)
siamo buoni vicini e buoni amici
passiamo qualche volta all’osteria.
E che stiamo d’accordo in allegria.
(Non ci vengo mai più. Se il sa Rosina
che venuto qua sia, povero me!)
Sì, te la cederò. (Finger conviene).
Un bacio a me. (Lo assaltano con finezze caricate)
(Son stordito; non so dove mi sia).
Parmi d’esser tornato di vent’anni. (Traballando)
che vuol far da ragazzo).
Vieni, carina. (Verso la scena)
Se nessuno ti vuol, ti prendo io.
l’impegno di Giannin colla fanciulla?
vo’ divertirmi e l’Angiolina è mia.
voglio far ancor io la mia figura. (Vuol prender per la mano Angiolina e va al solito traballando)
che venghino da me subitamente,
che trattati saran discretamente. (Ad un servitore che parte)
che il mio caro Fabrizio è ritornato,
segno che mi vuol bene; e s’egli è fido
Pria di creder però vogl’io provarlo.
va’ tosto e dille ch’io non son più irata,
che l’andrienne ho provato e mi va bene
e contenta sarà, se da me viene. (Parte l’altro servitore)
Vo’ veder se Fabrizio... Eccolo qui,
eccolo il ladroncel che mi ferì.
Se vi spiacqui, se errai, pentito io sono.
che amar costante e vagheggiar son usa
il mio debole affetto e la tua scusa. (Parte)
Ma il mio tempo non vo’ gettare invano.
Se fedele mi vuol, mi dia la mano.
non è che un accidente. Il buon marito
povera e triviale qual son io
e se al sangue si guarda è da par mio.
che per la terza volta son venuto
ad obbedirla e renderle tributo. (Con ironia)
ch’io son qui per veder cos’ella brama. (Parte il servitore)
se oggi fuor del dover qualcosa ho detto,
allor ch’era dal vino un po’ caldetto.
tornando a riacquistar la sanità,
scandalo d’aver dato in questa età.
Passato è il vino e siam tornati amici.
con Rosina a parlar si divertiva.
Se lo vuole pigliar, che se lo pigli.
Angiolina, davver fate una cosa.
se volete star ben con proprietà
sposatevi ad un uom di mezza età.
Ma io la mezza età non so qual sia.
Circoncirca sarà come la mia.
i vecchi fanno i computi a lor modo.
che se Giannin tien sodo e non mi vuole
un’altra volta ad esibir si viene,
io non bado all’età, bado a star bene.
Per la stessa ragione io son tornato.
novità di Rosina e di Giannino?
ed il padre di lei sarà contento.
Mastro Bernardo me ne darà conto.
ma qualchedun vi farà far giudizio.
Per dir la verità due altre volte
ed è la stella mia calamitosa.
Meglio tardi che mai. Lasciar conviene
il gioco, l’osteria. Sì vo’ lasciarla.
Brutta boccaccia! Vizio maledetto! (Si dà colla mano su la bocca)
e finch’io torno aspettami in giardino.
per garzon di mio padre. Vo a vedere
cosa vuole da me, poi ad effetto
penseremo a mandar quel che t’ho detto.
e venivo a veder che mi comanda.
E si viene da me per questa banda?
un lavorante; è un giovane romano.
Eh fraschetta, sarà qualche mezzano.
ch’è del mio cameriere innamorata.
che a torto il di lei cuore è sospettoso
questo giovine qui sarà mio sposo.
Così il ciel mi rendesse un dì contento.
Aspettate. Fabrizio. (Chiama)
(Che ritorni a scasciarmi or or prevvedo).
dell’amor suo non me n’importa un fico.
sull’onor mio, non importa niente.
perché non vi sposate? (A Rosina e Giannino)
per far qualche cosetta da par mio.
Se vi date la man ve li do io.
Eccoli, a caso (Tira fuori una borsa)
Preparati li avea per la pigione.
(Altri sei mesi aspetterà il padrone).
Tu, che dici? (A Giannino)
Fabrizio servirà per testimonio.
La mano. (Chiedendo la destra a Rosina)
(Ora il sospetto mio sarà finito).
Caro, or ora saprai quanto ti amo. (Parte)
Buon pro vi faccia. Vo’ sperar fra poco
far anch’io la partita a questo gioco. (Parte)
forse l’appagherà. Per cento scudi,
se si trovasse anch’ei nel caso mio,
avria fatto egli pur quel che ho fatt’io.
Ehi, da’ qui i cento scudi.
Della casa vogl’io la direzione.
Voglio esser io il padrone.
Perch’abbi a comandar non ti ho pigliata.
(Principiamo a buonora a quel ch’i’ vedo).
(Povero me se sul principio io cedo).
Oh via facciam così; questi danari
dividiamoli adesso per metà;
e ogniuno a modo suo li spenderà.
caro Giannino mio, non far così.
Almeno il primo dì viviamo in pace.
Sì, d’aver taroccato mi dispiace.
Vado su, vengo giù, nessun mi bada,
meglio dunque sarà ch’io me ne vada.