Metrica: interrogazione
590 endecasillabi (recitativo) in L'amore artigiano Venezia, Fenzo, 1761 
fra il chiarore dell’alba e delle stelle
la mia bella Rosina alla finestra.
Più non cura di me. Eh ehm. (Si fa sentire)
                                                       (Perbacco!
L’Angiolina mi vede; anch’ella è alzata.
Fingerò non vederla e non sentirla).
(Con Giannino colei non vuol finirla).
Rosina. (Sotto la finestra piano)
                 Vita mia. (Sottovoce)
                                     Tuo padre è alzato?
perché deggio finire un andrienne
E perché di vederti avea speranza.
Oh che rabbia! Eh ehm. (Tossisce forte)
                                               Senti? (A Giannino piano)
                                                              La sento
                                             Sì, m’aspetta.
(Voglio fare arrabbiar quella fraschetta). (Entra)
quando posso vedere il mio tesoro,
applico con più gusto al mio lavoro.
                           Chi mi chiama? (Fingendo non vederla)
                                                           Non mi vedi?
Principia il sole a discacciar l’aurora,
chiaro si vede e non mi vedi ancora?
                                            (Ah sì briccone
ha perduta la vista in quel balcone.
                                                 (Vorrei
                                       Coi miei quattrini
                                           Che cosa vuoi?
comodo e galantino. Tu che sei
fammi questo piacer. Ti pagherò.
                            Vien su, Giannino,
che farotti veder com’io lo voglio.
Or non posso venir. (Quest’è un imbroglio).
Di’ che venir non vuoi, perché paventi
disgustar la Rosina. Disgraziato,
servo di cuffie tante dame e tante
che ti farò pentir, te lo prometto,
e sarai mio marito a tuo dispetto. (Si ritira)
io timore non ho. Nessun può fare
ch’io la prenda per forza. Amo Rosina
e la voglio sposare e, se dovessi
andarmene di qua, non mi confondo.
Posso fare il mestier per tutto il mondo.
Non vorrei che suo padre fosse alzato.
mormori nel vedermi in questo loco.
Mostrerò di passar, canterò un poco.
Canta, canta, birbone, a un legnaiuolo
non do la mia figliuola. Che cos’hanno
di capitale i falegnami? Oh bella!
Quattro tavole, un banco e uno scalpello,
una sega, una pialla ed un martello.
                                                Buondì Tita.
                                      Un insolente
                                               Sì, ho sentito
che con tutte vuol far l’innamorato. (Apre la balconata)
                                    Non ci pensate. (Entra per la porta della bottega e si fa subito vedere alla balconata)
se lo veggo passar, con questo spiedo
l’infilzo a dirittura. Son degli anni
se la figliuola maritar pensaste,
                                              (Che bel modo
                                            Eha, garzoni, (Escindo dalla bottega col cassettino nel braccio co’ li strumenti)
presto il foco accendete alla fucina,
quel ferro arroventate e quando torno
e da un capo e dall’altro attortigliato. (Torna in bottega)
Ma è un giovane ancor ei senza giudizio,
gli piace il vino e delle carte ha il vizio).
                                                Bene
                                          Or deggio andare
a por la serratura ad un burrò.
deggio ad essa portar questa mattina
dee portarle un andrien che ha rivoltato.
ci andiam malvolontieri. È sì soffistica
che in ogni lavorier trova che dire,
strilla, grida, maltratta e fa impazzire.
Io con lei non m’impiccio. Ha un cameriere
che le accomoda il capo ed è padrone
in casa più di lei. Anzi si dice,
che lo voglia sposare o sia sposata.
                                       È meglio sempre...
Come si dice? Paribus con paribus.
Io con Rosina, per esempio, oh sì
paribus vi saria, non è così?
prima di maritarvi a far cervello.
mastro Bernardo, su la mia parola...
Meco non staria mal vostra figliuola.
che duri il buon pensier di governarsi.
No no la figlia mia non la vo’ dare
perch’abbia da pentirsi e da penare.
Ma il sole è alzato e ancora non si vedono
A chi faccio mangiare il pane mio?
La bottega stamane aprirò io. (Entra in casa)
viemmi dietro bel bello e per la strada
non ti stare a incantar. Guarda per terra;
guarda di non cader, che non avessi
le scattole dei fiori a rovesciare
e le scuffie e i merletti a rovinare. (Alla fanciulla. Bernardo apre per di dentro la balconata della bottega e fa la solita mostra di scarpe)
apre adesso bottega e la figliuola
stavasi a far l’amor mentr’ei dormiva.
Non vo’ più scarpe; non vo’ più amicizia
di stroppiarmi le piante avrai finito).
                      Che c’è?
                                        Le vostre scarpe
                                        Dopo un mese?
Gran premura per me che avete avuta!
Tenetele per voi, son provveduta.
quando prometto differir non soglio.
Eccole, sono fatte. (Fa vedere le scarpe dalla balconata)
                                   Io non le voglio.
                                          Non le prendo,
                                   Per qual ragione?
aver nulla che far con casa vostra.
                                          E che vi ha fatto?
Perché dunque il sappiate, io vel dirò.
Ora prendo un bastone e vado su.
poi farò colla frasca il mio dovere.
di venire a bottega? Un’altra volta
romperti io voglio sulla schiena un legno.
Queste scarpe riponi e dammi quelle
Eh ti farò ben io cambiare usanza. (Il garzone entra in bottega colle scarpe)
Sei di sonno impastata. Ragazzaccia
che le mani mi sento a pizzicare.
che di dentro mi stuzzica e mi rode.
fossesi raffreddato. Io non ho colpa
se quella volpe vecchia di mio padre,
scese le scalle a scorbacchiarlo a un tratto
quel che tiemmi in pensiere è la cuffiara.
che nulla nulla a bisticciar si metta,
chi son io lo vedrà quella civetta).
                                       Oh gioia bella!
                                        I’ ho da darti
                                           Oh sì tuo padre
mi diede inver delle speranze tante!
Mi ha scacciato da lui come un birbante.
                                          Vedi là
quella bottega che da quattro mesi
è ancora spigionata? Io l’ho presa
per poterti vedere e far dispetto
a Tita fabro e all’Angiolina e a quanti
e tuo padre, ancor ei, ci avrà da stare.
                                     Stamane; or ora,
pagata ho la pigione ed ei m’ha detto
la mia gente, il mio banco e i miei lavori.
                                         E qualche volta
Sì, al dispetto di Tita e d’Angiolina.
                                        E che ha da dire?
e mi vo’ maritar con chi vogl’io.
                                                Caro Giannino,
abbi un po’ pazienza. Sei sicuro
ch’io ti vo’ ben di core e che mio padre
può dire, può gridar, può bastonarmi,
che se mio tu non sei, vo ad annegarmi. (Parte colla ragazza)
propio la mi vuol ben ma di quel buono,
d’aver preso bottega in questo sito,
quanti babbei si morderanno il dito!
                                          Ben; le lasci.
Vada, torni se vuol, lo pagherò.
                                          Adesso no,
                     Non permette?
                                                   Adesso no,
                                         Lasci che almeno
                    (Vi è pur poca carità). (Parte e poi torna)
Ora non vo’ nessuno e se costoro
mi vogliono servire e il mio danaro
quante volte mi piace han da tornare.
                                        Perché?
                                                         Non vedi?
                                        È vero, è vero.
Subito l’alzerò! Con permissione.
(Mi convien secondar la sua oppinione). (Cava il pettine di tasca e le va rittoccando il tuppè)
                                            Oh cosa dice!
d’avere una padrona sì cortese
e un anno ch’io son qui mi sembra un mese. (Seguitando come sopra)
                                                   Lo vedo,
Ma all’amor che ho per te sei poco grato.
                                         Sì quell’amore
desio di far del bene. Avresti ardire
                                           Oh mia signora,
conosco l’esser mio; di più non bramo.
                                              (Purtroppo io l’amo!)
                                                Sì certo. (Accostandosi per vedere)
Oh sa ella chi è? (Con allegrezza)
                                 Chi?
                                             La cuffiara.
                                              La non s’incomodi,
quando vengono donne è il suo piacere. (Con ironia)
Tu non stare a venir. Tu qui mi aspetta.
ch’ella è accesa di me ma non per questo
Sarà quel che sarà, vo’ divertirmi.
                                   In anticamera
Chiamo, richiamo e non risponde alcuno.
                                    Colla cuffiara
                              Sì, con essa appunto.
con lei riscontrarmi ora non vuo’.
                                           Aspetterò.
Vi terrò compagnia, se l’aggradite.
                                    Cara Rosina
siete tanto gentil che chi vi mira
                                     Va’ via ragazza,
Se mio padre o Giannino o qualcun altro
ti viene a domandar con chi ho parlato,
non lo dire a nessun del cameriere.
Va’ via; va’ in anticamera a sedere. (Piano alla scolara che parte)
(Io mi vo’ divertire un pocolino.
Guai a me, se vedesse il mio Giannino).
                                               Oh da me sola.
io non posso pagare il parrucchiere.
verovvi io stesso ad acconciar la testa.
ma in casa ho soggezione. Da un’amica
e verrà la scolara ad avvisarvi.
volete che vi accomodi il tuppè?
                                 Dunque sedete. (Prende una sedia e la dà a Rosina ed ella siede)
se mi vede col capo accomodato?)
                                    Che bel piacere
accrescere le grazie a un sì bel viso!
                                   Che bella testa!
Olà. Chi è qui? Che impertinenza è questa?
                   Compatisca.
                                            Impertinente,
                                            Io son venuta
a portarle l’andrienne ed aspettando...
                                                È al suo comando.
                                            Eccolo qui, (Viene la ragazza, Rosina spiega l’andrienne)
che sia nuovo di pezza. Se lo provi.
Spero che le anderà perfettamente.
L’avrei dato al sartor, se ciò credea. (Getta il vestito sopra una sedia)
                                     Così mi tratta?
Sono stata una pazza a venir qui.
d’abiti di velluto e di broccato.
Altro che questo straccio rivoltato! (Strapazza il vestito)
                                        Perdonate.
                                              Ah menzognero
nieghi la colpa tua con tale orgoglio?
Esci di casa mia. Più non ti voglio. (Parte)
se resistere il core invan procura
colpa mia non è già ma di natura.
                                   Che hai di nuovo, Tita? (Lavorando)
Novità non ne mancano. I mosconi
                                         In questa piazza
                                       Non ce n’erano.
                                     Sì, hai ragione.
                                 (Intendo il loro gergo
            Che dite?
                                Voi conoscerete
                                            Sì ne conosco.
                                   Perché fare?
                                        Vi spaventano
Questa nostra piazzetta è divenuta
una stalla, un porcile, un letamaio.
(Quest’insolente stuzzica il vespaio).
Pago la mia pigione e ci vo’ stare. (A Bernardo e Tita)
E chi parla con voi? (A Giannino)
                                       Con chi l’avete? (A Giannino)
voi l’avete sbagliata in verità.
Io vi risponderò come che va. (Come sopra)
Mastro Bernardo aiuto. (Lavorando)
                                             Tita Tita,
(Andrò dove s’aspetta a dirittura). (Torna al suo lavoro)
Presto, presto, a sedere e a lavorare.
esser dee terminato o bene o male.
tirate giù alla peggio. La contessa
vuol pagar poco ed aspettar conviene,
come merita anch’io la servo bene.
ch’i’ ho fatto, non volendo, per isbaglio. (Alla terza scolara)
non so quel che mi faccia e allora quando
precipito i lavori e taglio a caso.
Per farmela passar canterò un poco. (Siede, lavora e canta)
o ti do la bacchetta in su le dita. (Ad una scolara)
Ti darò il bracciolare in su la testa. (Ad un’altra scolara)
Quest’è il dover delle fanciulle oneste.
                                            Oh voi verrete
a insegnarmi il mestier! Che importa a noi
che un abito s’impolveri e s’imbratti?
Se li godan così, quando son fatti.
con tanta gelosia, con tanto amore,
Tutti non fan così? Le vostre scarpe
le rendete davver belle e polite?
                                          Sì, prendete
che per voi con industria ho risparmiato.
                                         Quello o nessuno.
                                   Sì sì ma in casa
                                         Dove vuo’ ire?
Se non ho quel ch’io voglio andrò a servire.
                                          Che importa a me?
col mio caro Giannin d’acqua e polenta.
hanno detto così; ma poi col tempo
avrian dato l’amor per sei quattrini.
gli occhi e le dita, di penar non temo.
Sì, lo voglio lo voglio e lo vedremo).
a porre un ferro immantinente al foco. (Parte una scolara)
io voglio il mio Giannino e se dovessi
vivere in povertà, sotto un bastone
dirò quello che dice la canzone.
vuol venirmi a parlar? Dov’è mio padre?
Digli che venga pur. Tu scalda il ferro,
guarda che caldo sia quand’io lo bramo.
Ma di qua non tornar, se non ti chiamo. (Parte la scolara)
vammi a comprar del refe e della seta,
digli, per non mandare ogni momento,
che ti dia di colori un sortimento. (La scolara parte)
vuol ch’io vada a provarle il suo vestito
poiché poco vi manca a esser finito. (La scolara parte)
A parlar con Giannino io mi consolo
ma parlare gli vo’ da sola a solo.
                                            L’ho veduto
                                      E l’Angiolina
                                      Caro Giannino,
il ben che ci vogliam ce lo vorremo.
E se il cielo vorrà, ci sposeremo.
Anch’io non istò mal da poveretto.
Io ne ho fatte di nuove una dozzina.
due vestine, due busti e sei sottane.
Ed ho più d’un grembial di tele indiane.
e un ferraiolo ed un cappel bordato.
qualche aiuto averò per farmi un letto,
quattro sedie, un armadio ed un specchietto.
comprerò delle tavole in credenza
e farò dei lavori a questo e a quello
per comprarti una vesta e un bell’anello.
                                           Sento gente.
                                            Fo quel che vuoi. (Passa in un’altra stanza)
di madama Costanza! Gli ho pur detto
che non venga da me. Mi spiace assai
che Giannino è di là che vede e sente
ma è buon figliuolo, non dirà niente.
                                         Vi saluto.
e scacciommi di casa inviperita.
                                         Di tal mio danno
                                   E in qual maniera?
Un pochino d’amore e son contento.
non vorrei lo sentisse). In cortesia
                                    Mi discacciate?
Mio padre può venir; di grazia andate.
come detto mi avete ad avvisarmi...
Zitto per carità. (Vuol rovinarmi).
Poscia ritornerò, quando non siavi
Deh vogliatemi ben, ch’io ve ne voglio.
non avrà né veduto né sentito;
io sospetti non vo’ né gelosia.
                                            Sì, obbligato;
se ti guardo mai più sia bastonato.
A me così favelli? In tal maniera
                                          Ah son spedito.
vedrai uno spettacolo ai tuoi piedi.
                                           Hai tanta faccia
Cospetto! Lo vedrai; voglio ammazzarlo.
                                          Non lo conosco. (Bruscamente)
                                          Fosse ancora
cospettonaccio! avrà che far con me.
Eh un uomo come me non si minchiona.
che co’ pazzi ancor io non vo’ impazzare.
Anch’io, cospetto! perderò il giudizio. (Alza anch’egli una sedia)
(Affé dice davvero. Colle buone
(Ho la rabbia nel sen che mi divora).
che con tutte vuol far l’innamorato
e da tutte è deriso e corbellato.
Hai ragione, Giannin, non farò più.
                                                Via Giannino,
vien dalla Rosa tua che ti vuol bene.
(Ah resister non so; ceder conviene).
                                     Non dubitare.
                                          Ti amo tanto
che or or per cagion tua divengo matta,
            Viscere mie.
                                     La pace è fatta. (Con allegrezza)
Spiacemi che convien che or me ne vada.
                                                   Aspetta, aspetta.
Anderò alla finestra e se vedrò
che mio padre ci sia ti avviserò.
che senza soggezion potrò parlarti?
Amami e non temer, che il dì verrà.
d’essere fin agli occhi innamorato.
giurato avea di non amar mai più.
E tornai presto presto a cascar giù.
Ah Giannino che fai? Pensaci bene.
Se con questo e con quel scherzar le piace
sarò geloso e non avrò mai pace.
Dunque che s’ha da far? Lasciarla? Ah no.
Lasciarla io non potrò. Morir mi sento
solamente in pensarlo. Ah vita mia
sono nelle tue mani. Abbi pietà.
senza il caro Fabrizio. Ehi! Chi è di là? (Esce un servitore)
cerca del camerier fin che lo trovi.
Se non lo trovi, avrai che far con me. (Il servo parte)
È ver che all’amor mio mi parve ingrato
la fiamma che per lui m’arde nel cuore
né sa ch’io l’ami e ch’io pretenda amore.
farò ch’egli lo sappia e mi lusingo
ch’ei non avrà difficoltade alcuna
di comprar con amor la sua fortuna.
Parmi di sentir gente. Oh me felice
se fosse l’idol mio! Vieni, o mio caro...
Ah ingannata mi sono. È il calzolaro.
                                     Se comanda,
                                        Andate al diavolo.
(Per verità è garbata). Favorisca.
                                            Ancora no.
                                            Quando vorrò.
                                          Zitto. (Mi pare...
Fosse questi Fabrizio! Oh che diletto
                                             Oh maladetto!
                                       E quattro e sei,
quante volte mi par tornar tu dei.
                                                   Impertinente!
la persona sarà ch’è a me sì cara.
Maladetto destino! È la cuffiara).
                                             Così presto?
che l’abbi strappazzata per dispetto.
Se la provi e vedrà che anderà bene.
                                            Vuol che andiamo
                                              Va’ in buonora.
(E Fabrizio crudel non viene ancora?)
                                   (Vo’ andar io stessa
La chiave del burrò... (A Costanza)
                                         Torna o mi aspetta. (A Tita)
E provare non vuol?... (A Costanza)
                                           No, maladetta. (Ad Angiolina)
                                          Pare impazzata.
ebbe, ma con ragion, della Rosina.
                            Di lei.
                                          La mia ragazza
e sospetto di lei non potrà avere.
ma se il padre sen va poco distante,
introduce in sua casa il caro amante.
L’ho veduto testé cogli occhi miei.
                                  Mi promettete
                                      Sì, per dispetto,
per odio di colui, ve lo prometto.
E che sì che il vedete a voi tornato? (All’Angiolina)
operare a chi sa. Giannin conosco.
e so ch’è spaventato e col pretesto
di far pace con noi lo condurremo
e faremo ch’ei beva in allegria.
di far ch’egli rinonzi la Rosina
e mantenga la fede all’Angiolina.
che ci foste anche voi. (All’Angiolina)
                                          Oh le cuffiare
                                         Che novità!
Andremo all’osteria della Fontana, (All’Angiolina)
fidatevi di me; so quel che dico.
mi anderò riscaldando e darò foco.
Io fingere non so ma non v’è dubbio
che cerchi d’imparar sì gran virtù.
La mia sincerità stimo assai più.
                                          E me ne vanto.
se oltre l’esser bellina avete il dono
siete una rarità. Corpo di Bacco
avessi sulle spalle... Ma sentite,
ma il cuore tuttavia mi brilla in petto.
consumare con esso i giorni miei.
Mi preme il mio Giannin; per acquistarlo
farò quanto potrò ma quando mai
non l’avessi d’aver, se ho da cambiare
non mi vo’ con un vecchio accompagnare.
sia andato all’osteria? Me l’hanno detto,
me ne vo’ assicurar. Povero lui
se ciò è la verità. Vo’ andar cercando
per tutti questi alberghi qui d’intorno,
se ti trovo, briccon, te lo prometto,
neanche a mio padre porterò rispetto.
Vieni, vieni, Giannin, non sarà nulla.
                                      Siamo stati
Ehi camerier, portateci un boccale.
e sono lesto come un palladino. (Traballando)
passiamo qualche volta all’osteria.
E che stiamo d’accordo in allegria.
(Non ci vengo mai più. Se il sa Rosina
Sì, te la cederò. (Finger conviene).
               Viva Giannino.
                                             È un galantuomo.
                                   Ti vorrò bene.
                    Un bacio a me. (Lo assaltano con finezze caricate)
                                                  Vo’ un bacio anch’io.
(Son stordito; non so dove mi sia).
                                        Una donnetta.
Parmi d’esser tornato di vent’anni. (Traballando)
                                              Zitto, zitto,
                                 Sì l’Angiolina.
                    Resta qui. (A Giannino)
                                         Vieni, carina. (Verso la scena)
                                               Non è vero.
Se nessuno ti vuol, ti prendo io.
l’impegno di Giannin colla fanciulla?
vo’ divertirmi e l’Angiolina è mia.
voglio far ancor io la mia figura. (Vuol prender per la mano Angiolina e va al solito traballando)
che trattati saran discretamente. (Ad un servitore che parte)
che il mio caro Fabrizio è ritornato,
segno che mi vuol bene; e s’egli è fido
Pria di creder però vogl’io provarlo.
va’ tosto e dille ch’io non son più irata,
che l’andrienne ho provato e mi va bene
e contenta sarà, se da me viene. (Parte l’altro servitore)
Vo’ veder se Fabrizio... Eccolo qui,
eccolo il ladroncel che mi ferì.
Se vi spiacqui, se errai, pentito io sono.
                                   Lo giuro ai numi.
che amar costante e vagheggiar son usa
il mio debole affetto e la tua scusa. (Parte)
Ma il mio tempo non vo’ gettare invano.
Se fedele mi vuol, mi dia la mano.
non è che un accidente. Il buon marito
e se al sangue si guarda è da par mio.
che per la terza volta son venuto
ad obbedirla e renderle tributo. (Con ironia)
ch’io son qui per veder cos’ella brama. (Parte il servitore)
se oggi fuor del dover qualcosa ho detto,
allor ch’era dal vino un po’ caldetto.
tornando a riacquistar la sanità,
scandalo d’aver dato in questa età.
Passato è il vino e siam tornati amici.
con Rosina a parlar si divertiva.
                                     Non so che dire;
Se lo vuole pigliar, che se lo pigli.
                                             Che far volete?
                                 Sì ma in oggi
                                       Veramente
se volete star ben con proprietà
sposatevi ad un uom di mezza età.
Ma io la mezza età non so qual sia.
i vecchi fanno i computi a lor modo.
che se Giannin tien sodo e non mi vuole
un’altra volta ad esibir si viene,
io non bado all’età, bado a star bene.
                                       Ci son venuta
Per la stessa ragione io son tornato.
                                Dite, aspettate,
ed il padre di lei sarà contento.
                                            Come! Come!
                                        A me un affronto?
Mastro Bernardo me ne darà conto.
ma qualchedun vi farà far giudizio.
Per dir la verità due altre volte
Meglio tardi che mai. Lasciar conviene
il gioco, l’osteria. Sì vo’ lasciarla.
Brutta boccaccia! Vizio maledetto! (Si dà colla mano su la bocca)
e finch’io torno aspettami in giardino.
                                 Non dubitare,
per garzon di mio padre. Vo a vedere
penseremo a mandar quel che t’ho detto.
                                         Facciam così,
                                         Che fate qui?
E si viene da me per questa banda?
                    Chi è colui?
                                            È di mio padre
un lavorante; è un giovane romano.
Eh fraschetta, sarà qualche mezzano.
                                       Della Rosina
ch’è del mio cameriere innamorata.
che a torto il di lei cuore è sospettoso
questo giovine qui sarà mio sposo.
Così il ciel mi rendesse un dì contento.
                                       Mia signora.
                                              La vedo.
(Che ritorni a scasciarmi or or prevvedo).
                                      In verità,
dell’amor suo non me n’importa un fico.
sull’onor mio, non importa niente.
perché non vi sposate? (A Rosina e Giannino)
                                            Perché ancora
                                                E che vorreste?
per far qualche cosetta da par mio.
                    Oh il ciel volesse!
                                                      Eccoli, a caso (Tira fuori una borsa)
Preparati li avea per la pigione.
(Altri sei mesi aspetterà il padrone).
                           Non ci ho difficoltà.
                         Son qui.
                                           Cosa sarà?
Fabrizio servirà per testimonio.
La mano. (Chiedendo la destra a Rosina)
                     Ecco la man.
                                              Sposa.
                                                             Marito.
(Ora il sospetto mio sarà finito).
Caro, or ora saprai quanto ti amo. (Parte)
Buon pro vi faccia. Vo’ sperar fra poco
far anch’io la partita a questo gioco. (Parte)
                                        Una ragione
forse l’appagherà. Per cento scudi,
se si trovasse anch’ei nel caso mio,
avria fatto egli pur quel che ho fatt’io.
                                                Signor no.
                                       Li spenderò.
Della casa vogl’io la direzione.
                                                 A questo patto
Perch’abbi a comandar non ti ho pigliata.
(Principiamo a buonora a quel ch’i’ vedo).
(Povero me se sul principio io cedo).
Oh via facciam così; questi danari
e ogniuno a modo suo li spenderà.
Almeno il primo dì viviamo in pace.
Sì, d’aver taroccato mi dispiace.
Vado su, vengo giù, nessun mi bada,
meglio dunque sarà ch’io me ne vada.

Notice: Undefined index: metrica in /home/apostolo/domains/carlogoldoni.it/public_html/library/opera/controllers/Metrica/queryAction.php on line 8

Notice: Trying to access array offset on value of type null in /home/apostolo/domains/carlogoldoni.it/public_html/library/opera/controllers/Metrica/queryAction.php on line 8