Metrica: interrogazione
599 endecasillabi (recitativo) in La fiera di Sinigaglia Roma, Grossi, 1760 
Ehi! Dite, quella giovane. (A Lesbina)
                                                 Signore.
                                                 Veramente
ma son nata civile e mi vergogno.
Disponete di me; del conte Ernesto
in ricchezze e in bon cor non vi è l’eguale.
conosciuto è il mio nome e rispettato.
(Sì, da tutti si sa ch’è uno spiantato). (Da sé)
                                      Sì ho capito.
                   Che comanda?
                                                A questa giovane
                                     Pagherò io.
                                                Eh ragazzate. (Voltandole le spalle)
                                              Eh via, sguaiata. (Voltandole la schiena)
                Sono a servirla.
                                              A quella donna
voglio fare un vestito e regalarle
voglio una tabbacchiera. Andate subito
                                                     Favorisca;
i debiti con essi ha ancor saldati?
Non mi state a seccar, saran pagati.
                               Son fortunata.
facile, di buon cor, ricco e pietoso.
permettete ch’io venga e l’uscio aprite.
se un miglior pagator non vi trovate. (Entra)
Che maniera indiscreta! Voi, frattanto
permettete ch’io venga a ricovrarmi. (A Lesbina)
Dite al conte che venga a soddisfarmi. (Entra)
Fate voi quel che ha detto? (A Griffo)
                                                   I mercadanti
trovato ho un prottetor che poco vale.
se chi ha di sollevarmi il bel desio
non sa come si far; e io resto intanto
esposta all’ira del destino mio.
Van pur male i negozi. In questa sera
terminata è la fiera. Ho da pagare
e mi manca il danaro e i capitali.
Griffo vorrei veder. Quell’animale
provvedere con arte al mio bisogno;
ma scoprir le mie piaghe io mi vergogno.
                                   Signor Orazio,
e, compatite, truffator vi chiama.
sopra Isacco Valcerca in Inghilterra?
e coglier tempo da saldare i conti
lettere false ad inventar son pronti.
sognato è l’accettante; e il giratario,
vuol da voi la valuta e più le spese.
                                             È già passato
il tempo concordato; egli sospetta
e ricorrere intende alla giustizia.
                                       Nessun ci sente.
e che vi manca poco a andar fallito.
e in dogana vi son di mia ragione
le balle di coton siano accettate.
fate l’assegnamento; non diceste
Ehi! Non è robba mia. (Piano come sopra)
                                            Dunque in contanti
                                           Sì, ho capito.
pensateci da voi, ch’io vado via.
                                       E che volete?
Sono un uomo d’onore e pagherò.
or sono un poco scarso e se potessi
Non potete dispor di quei cotoni?
Li ho disposti una volta e ho da spedirli
                                               Vi dirò;
ho veduto degl’altri in vita mia
vendere a due la stessa mercanzia.
al sei per cento ma col pegno in mano.
di danari e di robba io non abbondo
ma un mercante son io famoso al mondo.
ma si abbassa dopoi quando gli preme.
Superbia e povertà stan male insieme.
quei cotoni impegnar; non che mi caglia
di oprar per lui ma la premura mia
solo è di guadagnar la sensaria.
ma so che è un uomo avaro e spesse volte
si lascia lusingar da un bel guadagno.
tutta l’arte più fina usar conviene.
                          Compatite.
                                                 Vi saluto.
                                               Amico caro
presentemente ne son senza affatto.
Spiacemi in verità; volea parlarvi
senza un menomo dubbio d’alcun danno
un migliaio di scudi in men d’un anno.
                                          Vi dirò,
                                              Ho da prestare?
Il denar non saprei dove trovare.
                                             Ah! Qualche volta
scommodarsi conviene e far servizio.
                                   Robba perfetta.
Aiutar chi ha bisogno a noi si aspetta.
                                        In tai negozi
non pretendon che il giusto i pari miei;
                                      Siete onestissimo.
Per il prossimo mio son pietosissimo.
del denaro ch’io do; ma il due per cento
vi vuol pel magazzino e il due per cento
per vendere il cotone, e s’io lo fido
con periglio di qualche fallimento
mi vien anche per questo il due per cento.
                                         No no, non voglio
Così siam cauti il proprietario ed io.
E vuo’ che l’util mio mi sia pagato
di un anno anticipato, onde ogni mille
cento e venti per me siano levati.
quello che si ha da far che sia ben fatto.
Per scarso premio dei denari sui,
da far per liberarsi ogni contratto
ed io frattanto il mio negozio ho fatto. (Parte)
Ma son pur sfortunata. Io fo un mestiere
e veduti si sono a cangiar stato.
arricchiti si sono ed io meschina
sono quasi in rovina e pur mi pare
per vedermi da tutti abbandonata.
mi vede volentier ma è un avaraccio.
esser distinto nel mio cor pretende
ma m’incomoda molto e poco spende.
eccolo il vecchio astuto. Vuo’ provare
se in qualcosa costui mi può giovare.
                                        Batto la luna.
                                          Eh signorsì,
starò allegra davver, se va così.
                                        No, sto benissimo.
Quando voi state ben, son contentissimo.
se avessi come voi denari in tasca
e penar non dovessi il pane e il vino.
Fra le donne son io più sfortunate.
Questa sera la fiera è terminata.
                                              E voi Lesbina
                                       Io non lo so;
dove vuole il destin mi porterò.
Quanto mi spiacerà, se non vi vedo.
                                            In verità,
                                       Se fosse vero... (Con tenerezza)
                                             Veramente
ma un regaluccio non mi fate mai.
                                Davver?
                                                  Senz’altro.
                                     Un regalone.
                          Due libre di cotone.
Io non ne so che far. Perché non darmi
Oh non si può toccar la mercanzia.
la raggion la capisco. Non volete
che una donna da voi sia regalata.
Brava Lesbina mia, bella e onorata.
la pigion di bottega. Oh me felice
se dal vostro buon cor la grazia ottengo,
                                       Eh vengo, vengo. (Verso la bottega)
Non vi muove a pietà lo stato mio?
Povera figlia... Ci vedremo... Addio. (Parte)
sottigliare saprò l’arte e l’ingegno.
se nol fo delirar. Può darsi ancora
non vil trofeo di feminil malizia.
profitto più meschin non ebbi mai.
di me che saria stato! Egli meschino
che poco ancora possa andare innanti,
che stia male di robba e di contanti.
non si vedono più quei soggettoni
che spendeano i dobbloni... Sento gente.
da quella forastiera. Oh questa è vaga,
non la voglio alloggiar, se non mi paga.
                                     Mi perdoni,
                                          Ad un mio pari
Né si viene da me con prepotenza.
                                         Zitto, tacete.
svergognar con quest’altra). Or or vedrete
se le stanze trovar le faccio a un tratto.
mi potrete condurre in altro loco. (Piano al conte)
esser voglio servito e rispettato. (Piano a Lisaura)
Quanto vi devo dar? (Piano a Giacinta)
                                        Due scudi e mezzo. (Piano al conte)
Alloggiate costei. (Piano a Giacinta)
                                  Ella è padrone. (Forte)
Più rispetto alle nobili persone. (Forte)
Quella donna insolente ho intimorita.
(Bravo, ho piacer davvero). (Al conte)
                                                    Andate tosto
                                       L’obligo mio
Il signor conte è un cavalier garbato.
                                     Ma che diceva?
Basta, le stanze a preparare è andata.
qui servita sarete; or or verranno
con panni e stoffe e tabbacchiere e astucci;
Ad un par mio non mancano quattrini.
Vi protesto un sincero aggradimento.
(Fin che la va così non mi scontento).
un sensal, due mercanti ed una donna
ch’è nella mia locanda. Da lei forse
fu mandata a chiamar cotesta gente?
cara Lisaura a soddisfarci andiamo. (Parte)
Sono con voi. (Quel che si può pigliamo). (Parte)
quando il vedranno resteran burlati.
non dà senza il danaro; ed il sensale,
coi mercanti scontento anderà via.
Sentir vogl’io se quel che penso è vero.
ma Prospero dirà ch’io gli ho rubato.
se con lui non mi son giustificata;
mi lasciasse goder quest’oriuolo.
se non riacquisto l’orologio mio).
ma mi vuo’ lusingar ch’ei non l’avrà).
(Per deluder costui ci vuol cervello).
                                           Che ora abbiamo?
                                    Non lo sapete
e al vostro fianco l’orologio avete.
non l’avevo nemmeno in fantasia.
perché pronto ho l’incontro d’esitarlo.
                                            Almeno, almeno
                                          A questo prezzo
                                           Vi pagherò.
Sempre non si ha da dir la verità.
ho anch’io la mia raggione. Un giorno poi
                                      (Povero me!)
                                       Sedici e mezzo. (Guardando la mostra)
Datemi quel, ve ne darò un più bono.
da galantuom per ventidue zecchini?
e la mia mercanzia vender mi preme.
perché le voglio ben di vero core,
ne vuo’ dare un più bello e assai migliore.
Finché l’altro portate, io terrò questo.
l’occasion d’esitarlo. In confidenza,
e il danar mi bisogna innanzi sera.
                                 Oh se sapeste
già nessuno ci sente. Io mi ritrovo
da parte del danar che non mi frutta.
lo darò a voi da mettere in negozio.
per pagar l’interesse è uno sproposito.
Senza interesse vel darò in deposito.
Vado a pigliarlo e vel consegnerò.
                                   Oh quest’è bella!
tutto quello che ho al mondo e un orologio
a me dunque lasciar non vi fidate?
Via, via, il danaro in mano mia portate.
in trenta paoli, se ci arriverà).
può far le voglie mie contente e liete
ma più assai gradirò le sue monete.
ch’ella avesse danari e si fingesse
Ma così deve far chi ha dell’ingegno.
vi cerco e non vi trovo; quell’amico,
che brama ipotecare il suo cotone,
del negozio vorria la conclusione.
col danaro contante. Ancor lo faccio
e di più caricar non mi vogl’io.
                                          Son galantuomo,
mancar non sono avvezzo. Mi dispiace
d’averne in quantità; ma se vi preme,
con tutte l’altre condizioni espresse,
cresca a me qualche cosa d’interesse.
                                       Qualche cosetta;
basta ch’egli mi cresca un due per cento.
Il quattordici a me! Non son sì ghiotto.
Mi contento dell’otto. Ed il restante
e un sensal come voi saprà il perché.
che ha venduto i cotoni a bon mercato).
(Che Prospero non senta i fatti nostri). (Piano a Griffo)
(Egli è colui che il danaro darà). (Come sopra)
                         (Appunto). (Come sopra)
                                                (Ohimè! Gli avete detto
                                      (Non l’ha saputo). (Come sopra)
ho lo stesso coton, come vi ho detto).
(Oh! Zitto, zitto, non gli diam sospetto).
(Lasciate fare a me, rimedieremo).
medita col sensale un qualche scrocco).
                                   E cosa è stato?
il cotone ad un prezzo e in tal maniera
che a un mercante d’onor non istà bene
e stornare il contratto a lui conviene.
buoni soltanto da stirar gli unguenti.
per pettini d’avorio e sessantotto
tabbacchiere di legno e un specchio rotto.
                                        E perché mai
                                     Me ne vergogno.
Ma di cento zecchini avea bisogno. (A Griffo)
delle buone occasion. (A Prospero)
                                         Non mi seccate.
                                       Bravo, bravo.
al pover venditore il prezzo onesto,
voi anderete in prigion, ve lo protesto.
che vi paghi il coton quello che vale.
                                        Avete ancora
quella robba che in cambio egli vi ha data?
senza speranza di cavarne un pavolo.
Bene, vedrete ch’io non sono un cavolo.
                                              Ma intendiamci;
                                       Vi ho capito.
tutto dal mio bon cor, tutto otterrete.
Anch’io vivo di questo e se m’ingegno
col mio cervello e coll’industria mia,
                                        Signor conte,
mi potria favorir con più bontà.
il grado nostro sostener dobbiamo.
Grazie di tanto onor. (Con ironia)
                                         Voi specialmente
                                  Chiedo perdono.
che mi abbiate trattato un poco male,
                                 In quel che posso
                                          Ho di bisogno
di uno per la mia dama e le livree
Danar per or non vi darò alla mano,
Ed io la servirò senza il danaro.
Ma mi assegni porzion del suo granaro.
promettendovi il gran l’anno venturo.
                                           In questo caso
                                     E se l’inverno
                               Son cavaliere.
di pagar l’interesse al sei per cento.
si può fare il contratto in tal maniera
ma non con quei che vengono alla fiera.
Pian, pian, la non si scaldi padron mio,
                                               Maggior rispetto
signor conte padron, noi siam del pari.
che mi voglia fidar senza il contante.
Ingratissima sorte, e perché mai,
forza non darmi al mio costume eguale?
le terre ho ipotecate e i mercadanti,
che non sanno per niente il lor dovere,
fan morir di vergogna un cavaliere.
le balle di coton che ho comperate
e che colla mia marca ho già marcate. (Doganiere fa segno che se le prenda)
aver sempre il sensal pien di malizia
e pavento il rigor della giustizia).
Ah Griffo indegno il ciel te la perdoni.
si sequestran le balle di cotone. (Doganiere fa cenno ai facchini che partano)
il di più che gli spetta a lui rifate.
resta per conto vostro in magazzino.
                                     Se le volete,
mi promise il danar per ingannarmi.
Non vi è più carità, non vi è raggione,
vuo’ abbandonarmi alla disperazione.
                                  Un avvocato
No, che il coton nella difesa andrà.
Lasciate fare a me, so il mio mestiere
e farò il mio dovere. Io mi contento
Povero voi, se c’entra un avvocato. (Parte)
Griffo è un uom singolare. Io son sicuro
coll’assistenza sua tornar in piedi.
Pagherò i creditori e se non posso
per deluder le lettere e i protesti.
a spassarsi tant’altri e non potere.
cospetto! io scialerò. Vuo’ divertirmi
né pei debiti voglio intisichirmi.
Rifinito del tutto io già lo credo).
                                        (Veramente
hanno robba e contanti e sperar posso,
con periglio minor dell’onestà,
per burlarmi del conte, con costei
far qualcosa di più m’impegnerei).
                                   Vi saluto.
                                     Son costretta
                                  Ma cosa siete?
Ordinaria, civil, serva o padrona?
Son zitella signore e per disgrazia
onde non so far niente; i genitori
senza aiuto verun, senz’arte alcuna
Veramente il motivo è così onesto
o chiedete mercé per un pretesto?
                                         Non vi scaldate,
Sono un uom di buon cor, vi aiuterò.
                                     Ma il signor conte
                                   L’ho già lasciato.
quando un uomo s’impegna come va.
Grazie alla bontà vostra. (Finalmente
(Quando avrò del danar, le darò aiuto).
                                  Cos’è stato?
                 Dalla giustizia. I creditori
                                      Pagherò.
                   Quando ne avrò.
                                                   Ma intanto...
                                                                             Intanto
Ah mi sento tremare. (Vuol partire)
                                          Signor mio, (Ad Orazio con ironia)
Accettate la buona volontà. (A Lisaura)
                                              Il suo buon core,
                                        Andiamo via.
che i protettori ricercando andate...
                                  Non mi seccate.
vanno gli affari miei. Meglio è che torni
viver potrò dai miei parenti almeno.
mi han ridotta così, veder tant’altre
far lo stesso ancor io, vedermi astretta
fu cagion ch’io partii da disperata.
non vi conosceria nemmeno un cieco.
Il timor mi avvilisce e questo peso
fa ch’io non possa accelerare il passo.
                                     Niente, niente.
Mi volete celar quel ch’io già so.
                                        Bella maniera!
Questo fu sempre degl’avari il vizio,
corrispondere ingrati al benefizio.
per gli scrocchi e le usure andar prigione.
così vi ho travestito ed ho mandato
No, di voi non ho dubbio; so che siete
vi potrebbe stancar più del dovere.
                                     Non temete,
fin che torna colui che dell’imbarco
ci ha da recar l’avviso, entrar possiamo
                                   Andiamo pure.
(Celerò colà dentro il mio danaro). (Da sé)
quel marinaro che mandaste al porto?
                                        Non ancora.
Lasciatemi veder. (Chiede l’orologio)
                                    Guardate pure. (Tenendolo al fianco)
                                       Oh signor no;
                                      (Mi sta sul core). (Da sé)
qualche volta ci manca il bisognevole.
                                        Siete voi pure
Ah! Che la nobiltade è un gran tesoro.
                                           Gl’ignoranti
Ma non può sovvenirmi e m’ingannai.
vi può giovar, ve l’offerisco in dono.
grande, illustre, famoso, e se le prove
forse dell’amor mio degna sarete.
(Bramo avere una sposa ad ogni patto,
s’è nobile davver faccio il contratto). (Da sé)
(Si vedrebbe, s’ei fosse mio marito,
maritarsi la fame all’appetito). (Da sé)
del sangue signoril che voi vantate?
e i miei fregi son veri e son provati.
                                     Sì signore.
L’avolo vostro, il conte Calandrino,
                                           Sì, siam parenti.
poiché abbiamo le stesse facoltà.
per voi nel seno mio. Sì, mio tesoro,
vi venero e vi adoro; ah se volete,
la sposa mia voi siete e il mondo avrà
nei figli nostri il fior di nobiltà.
ed io sono qui pronto in vostro aiuto.
                                             Parmi sempre
mi accompagnan per tutto i miei timori.
ho preso tempo e fino a questa sera
che lor siano da voi saldati i conti.
se denari e se robba or più non ho?
Lasciate fare a me; trovar io spero
son per impegno ad aiutarvi accinto.
meriterebbe fra gli astuti il serto.
mi potrebbe giovar; ma è un avarone.
Poco vi manca a terminare il giorno.
                                                    Se vi chiedesse
troppo alla sua bontà sono obligato.
cedendogli il mio cor placidamente.
                                     Faceste assai
o d’andare in prigione o abbandonarmi?
                                          Sì, vi ho capito.
Questo è dunque l’amor che per me avete.
Andate pur, che un perfido voi sete.
che sagrifichi l’uom per la beltà
di bilanciar la libertà, l’amore,
«Pria che stare in prigione una mezz’ora
vadan tutte le donne alla buonora».
                                            Vado adagio,
perché sono negl’anni un po’ avanzato
                                     Il fazzoletto.
                                      Non vorrei
                                         E pesa tanto?
Pesa così, perché il bagnai col pianto.
Siete fuori di voi per i quattrini.
Io quattrini non ho. (Nel muoversi gli cade lo scrigno)
                                       Quello cos’è?
Cosa dite di scrigno? Io son cascato.
o, vel protesto, quello scrigno è andato.
                                      Se vi fidate,
E quanto ci vorrebbe? Ahi mi vien male.
                                                Ohimè. Tenete.
Non mi fate morir, ladri, assassini.
                                          Oibò, pensate
Sì sì, la porterò. (Con questi scudi
forse accommoderò. Col mio talento
cercherò che ciascun parta contento). (Parte)
Mi ha portato via il core. Il mio orologio. (Furiosamente incontrando Lesbina)
io non voglio rapir la robba vostra.
ho tanto amor per voi che voglio darvi
che sincero per voi rinchiudo in petto.
di pigliar per la gola). Signor Prospero,
Voi pur desio di scorticarmi avete.
V’ingannate, signor, mi piange il core
e, quel che rende il caso vostro amaro,
ho concluso l’affar come ho potuto
ed il mio capitale ho già venduto.
                                Lo porto meco.
                                         Duecento scudi.
il danaro saria che mi han levato).
                                              Cosa dite,
                                  Ve li esibisco.
Sì, Lesbina, li accetto e li aggradisco,
se li do a voi, che resterà per me?
Eh già me lo pensai, vuol finir male.
                                        Prendermi in sposa.
nessun che vi governi. Io senza paga
so tener la scrittura e lavo i piatti,
so cucinare e non mi offende il foco
e vedrete signor ch’io mangio poco.
                              Ve lo protesto.
                                          Eccoli; a voi (Mostra una borsa)
                                   Ci penserò.
Tant’è marito mio, par che la sorte
cominci a favorirci. In questo foglio
ch’è morto un ricco cavalier mio zio
con splendidezze al grado nostro eguali
Voi mi deste la vita. In ricompensa
vi darò un ferraiolo di scarlatto.
Ed io l’accetterò, che ne ho bisogno,
e di onesta mercé non mi vergogno.
                                         Venite pure.
forse mi cangerò, cangiando stato.
Griffo, venite qua; ehi signor conte
serviran tutti due per testimonio. (Si danno la mano)
                                      Povera figlia
                                    Ladri, assassini,
                                              Via, tacete.
e l’avete passata a buon mercato.
                                            Eccola qui,
                               E son felice anch’io.
venuti sono ad onorar la fiera. (Al popolo)

Notice: Undefined index: metrica in /home/apostolo/domains/carlogoldoni.it/public_html/library/opera/controllers/Metrica/queryAction.php on line 8

Notice: Trying to access array offset on value of type null in /home/apostolo/domains/carlogoldoni.it/public_html/library/opera/controllers/Metrica/queryAction.php on line 8