Ehi! Dite, quella giovane. (A Lesbina)
Cercate un qualche aiuto?
ma son nata civile e mi vergogno.
Disponete di me; del conte Ernesto
in ricchezze e in bon cor non vi è l’eguale.
conosciuto è il mio nome e rispettato.
(Sì, da tutti si sa ch’è uno spiantato). (Da sé)
Eh ragazzate. (Voltandole le spalle)
Saldi prima il suo conto.
Eh via, sguaiata. (Voltandole la schiena)
voglio fare un vestito e regalarle
voglio una tabbacchiera. Andate subito
che vi dian quel che occorre.
i debiti con essi ha ancor saldati?
Non mi state a seccar, saran pagati.
se si fida di lui. (Da sé)
facile, di buon cor, ricco e pietoso.
permettete ch’io venga e l’uscio aprite.
se un miglior pagator non vi trovate. (Entra)
Che maniera indiscreta! Voi, frattanto
permettete ch’io venga a ricovrarmi. (A Lesbina)
Dite al conte che venga a soddisfarmi. (Entra)
Fate voi quel che ha detto? (A Griffo)
vosignoria servita resterà.
trovato ho un prottetor che poco vale.
se chi ha di sollevarmi il bel desio
non sa come si far; e io resto intanto
esposta all’ira del destino mio.
Van pur male i negozi. In questa sera
terminata è la fiera. Ho da pagare
e mi manca il danaro e i capitali.
Griffo vorrei veder. Quell’animale
provvedere con arte al mio bisogno;
ma scoprir le mie piaghe io mi vergogno.
e, compatite, truffator vi chiama.
sopra Isacco Valcerca in Inghilterra?
e coglier tempo da saldare i conti
lettere false ad inventar son pronti.
sognato è l’accettante; e il giratario,
vuol da voi la valuta e più le spese.
il tempo concordato; egli sospetta
e ricorrere intende alla giustizia.
e che vi manca poco a andar fallito.
e in dogana vi son di mia ragione
più di sedici balle di cotone.
le balle di coton siano accettate.
fate l’assegnamento; non diceste
Ehi! Non è robba mia. (Piano come sopra)
pensateci da voi, ch’io vado via.
Aiutatemi voi, se lo potete.
Sono un uomo d’onore e pagherò.
non avete né robba né danaro?
or sono un poco scarso e se potessi
Non potete dispor di quei cotoni?
Li ho disposti una volta e ho da spedirli
e ho incassato il valsente.
ho veduto degl’altri in vita mia
vendere a due la stessa mercanzia.
un pochino patiti e non si possa
al sei per cento ma col pegno in mano.
Fatemi comparir. Presentemente
di danari e di robba io non abbondo
ma un mercante son io famoso al mondo.
ma si abbassa dopoi quando gli preme.
Superbia e povertà stan male insieme.
quei cotoni impegnar; non che mi caglia
di oprar per lui ma la premura mia
solo è di guadagnar la sensaria.
ma so che è un uomo avaro e spesse volte
si lascia lusingar da un bel guadagno.
che senta una parola. Con costui
tutta l’arte più fina usar conviene.
presentemente ne son senza affatto.
Spiacemi in verità; volea parlarvi
senza un menomo dubbio d’alcun danno
un migliaio di scudi in men d’un anno.
sono senza denar ma il troverò.
di prestar del contante...
Il denar non saprei dove trovare.
scommodarsi conviene e far servizio.
Cosa vorriano dar per ipoteca?
Aiutar chi ha bisogno a noi si aspetta.
non pretendon che il giusto i pari miei;
Per il prossimo mio son pietosissimo.
del denaro ch’io do; ma il due per cento
vi vuol pel magazzino e il due per cento
per vendere il cotone, e s’io lo fido
con periglio di qualche fallimento
mi vien anche per questo il due per cento.
Così siam cauti il proprietario ed io.
E vuo’ che l’util mio mi sia pagato
di un anno anticipato, onde ogni mille
cento e venti per me siano levati.
quello che si ha da far che sia ben fatto.
a me piace di farlo onestamente.
Per scarso premio dei denari sui,
il cotone vorria mezzo per lui.
da far per liberarsi ogni contratto
ed io frattanto il mio negozio ho fatto. (Parte)
Ma son pur sfortunata. Io fo un mestiere
e veduti si sono a cangiar stato.
arricchiti si sono ed io meschina
sono quasi in rovina e pur mi pare
per vedermi da tutti abbandonata.
mi vede volentier ma è un avaraccio.
esser distinto nel mio cor pretende
ma m’incomoda molto e poco spende.
eccolo il vecchio astuto. Vuo’ provare
se in qualcosa costui mi può giovare.
starò allegra davver, se va così.
Quando voi state ben, son contentissimo.
se avessi come voi denari in tasca
e penar non dovessi il pane e il vino.
Eh voi avete voglia di burlare.
Fra le donne son io più sfortunate.
Questa sera la fiera è terminata.
Voi anderete alla patria.
dove vuole il destin mi porterò.
Quanto mi spiacerà, se non vi vedo.
Se fosse vero... (Con tenerezza)
che mi volete bene assai, assai;
ma un regaluccio non mi fate mai.
Io non ne so che far. Perché non darmi
Oh non si può toccar la mercanzia.
la raggion la capisco. Non volete
che una donna da voi sia regalata.
Brava Lesbina mia, bella e onorata.
Fatel segretamente. Ho da pagare
la pigion di bottega. Oh me felice
se dal vostro buon cor la grazia ottengo,
Eh vengo, vengo. (Verso la bottega)
Non vi muove a pietà lo stato mio?
Povera figlia... Ci vedremo... Addio. (Parte)
che tu sia bastonato; ma chi sa;
sottigliare saprò l’arte e l’ingegno.
se nol fo delirar. Può darsi ancora
ad onta della perfida avarizia,
non vil trofeo di feminil malizia.
profitto più meschin non ebbi mai.
di me che saria stato! Egli meschino
che poco ancora possa andare innanti,
che stia male di robba e di contanti.
non si vedono più quei soggettoni
che spendeano i dobbloni... Sento gente.
da quella forastiera. Oh questa è vaga,
non la voglio alloggiar, se non mi paga.
Né si viene da me con prepotenza.
svergognar con quest’altra). Or or vedrete
se le stanze trovar le faccio a un tratto.
mi potrete condurre in altro loco. (Piano al conte)
esser voglio servito e rispettato. (Piano a Lisaura)
Quanto vi devo dar? (Piano a Giacinta)
Due scudi e mezzo. (Piano al conte)
Alloggiate costei. (Piano a Giacinta)
Più rispetto alle nobili persone. (Forte)
Quella donna insolente ho intimorita.
(Bravo, ho piacer davvero). (Al conte)
non dubiti da me sia trascurato.
Il signor conte è un cavalier garbato.
Il danaro voleva anticipato?
se avessi udito simile insolenza,
Basta, le stanze a preparare è andata.
qui servita sarete; or or verranno
con panni e stoffe e tabbacchiere e astucci;
prendete pur; valetevi di me.
cioccolata, rosolio e zuccherini.
Ad un par mio non mancano quattrini.
Vi protesto un sincero aggradimento.
(Fin che la va così non mi scontento).
un sensal, due mercanti ed una donna
ch’è nella mia locanda. Da lei forse
fu mandata a chiamar cotesta gente?
cara Lisaura a soddisfarci andiamo. (Parte)
Sono con voi. (Quel che si può pigliamo). (Parte)
quando il vedranno resteran burlati.
non dà senza il danaro; ed il sensale,
che spera guadagnar la sensaria,
coi mercanti scontento anderà via.
Sentir vogl’io se quel che penso è vero.
ma Prospero dirà ch’io gli ho rubato.
se con lui non mi son giustificata;
e voglio comparir donna onorata.
perdere l’orologio; dei bottoni
poco m’importa; basteriami solo
mi lasciasse goder quest’oriuolo.
se non riacquisto l’orologio mio).
Per aver l’orologio ei venirà
ma mi vuo’ lusingar ch’ei non l’avrà).
(Per deluder costui ci vuol cervello).
e al vostro fianco l’orologio avete.
Non me ne ricordavo; ma siccome
non l’avevo nemmeno in fantasia.
meco avete scherzato e son venuto
perché pronto ho l’incontro d’esitarlo.
Sempre non si ha da dir la verità.
ho anch’io la mia raggione. Un giorno poi
Sedici e mezzo. (Guardando la mostra)
Datemi quel, ve ne darò un più bono.
da galantuom per ventidue zecchini?
e la mia mercanzia vender mi preme.
perché le voglio ben di vero core,
ne vuo’ dare un più bello e assai migliore.
Finché l’altro portate, io terrò questo.
l’occasion d’esitarlo. In confidenza,
e il danar mi bisogna innanzi sera.
Se diceste davver, vi aiuterei.
già nessuno ci sente. Io mi ritrovo
da parte del danar che non mi frutta.
lo darò a voi da mettere in negozio.
per pagar l’interesse è uno sproposito.
Senza interesse vel darò in deposito.
Vado a pigliarlo e vel consegnerò.
Io mi fido di voi dandovi in mano
tutto quello che ho al mondo e un orologio
a me dunque lasciar non vi fidate?
Via, via, il danaro in mano mia portate.
in trenta paoli, se ci arriverà).
può far le voglie mie contente e liete
ma più assai gradirò le sue monete.
ch’ella avesse danari e si fingesse
Ma così deve far chi ha dell’ingegno.
vi cerco e non vi trovo; quell’amico,
che brama ipotecare il suo cotone,
del negozio vorria la conclusione.
una grossa partita da un mercante
col danaro contante. Ancor lo faccio
in dogana tener per conto mio
e di più caricar non mi vogl’io.
Voi mi deste parola ed i mercanti
mancar non sono avvezzo. Mi dispiace
d’averne in quantità; ma se vi preme,
con tutte l’altre condizioni espresse,
cresca a me qualche cosa d’interesse.
basta ch’egli mi cresca un due per cento.
Il quattordici a me! Non son sì ghiotto.
Mi contento dell’otto. Ed il restante
e un sensal come voi saprà il perché.
che ha venduto i cotoni a bon mercato).
(Che Prospero non senta i fatti nostri). (Piano a Griffo)
(Egli è colui che il danaro darà). (Come sopra)
la robba ipotecar?) (Come sopra)
(Non l’ha saputo). (Come sopra)
ho lo stesso coton, come vi ho detto).
(Oh! Zitto, zitto, non gli diam sospetto).
(Lasciate fare a me, rimedieremo).
medita col sensale un qualche scrocco).
il cotone ad un prezzo e in tal maniera
che a un mercante d’onor non istà bene
e stornare il contratto a lui conviene.
buoni soltanto da stirar gli unguenti.
per pettini d’avorio e sessantotto
tabbacchiere di legno e un specchio rotto.
prendere cose tai? (Ad Orazio)
Ma di cento zecchini avea bisogno. (A Griffo)
delle buone occasion. (A Prospero)
E palese farò la sua malizia.
al pover venditore il prezzo onesto,
voi anderete in prigion, ve lo protesto.
che vi paghi il coton quello che vale.
quella robba che in cambio egli vi ha data?
senza speranza di cavarne un pavolo.
Bene, vedrete ch’io non sono un cavolo.
Domandatemi pur quanto volete,
tutto dal mio bon cor, tutto otterrete.
Anch’io vivo di questo e se m’ingegno
col mio cervello e coll’industria mia,
è di dover ricompensato io sia.
e pricipitan spesso i mercadanti.
da me stesso mi son precipitato.
mi potria favorir con più bontà.
il grado nostro sostener dobbiamo.
E non è poco, se vi salutiamo.
Grazie di tanto onor. (Con ironia)
fidar non posso la mia mercanzia.
Basta, vi compatisco e nonostante
che mi abbiate trattato un poco male,
di uno per la mia dama e le livree
Ed io la servirò ben volentieri.
Bisogno avete di danar. Sentite.
Danar per or non vi darò alla mano,
vi darò, se volete, tanto grano.
Ed io la servirò senza il danaro.
Ma mi assegni porzion del suo granaro.
promettendovi il gran l’anno venturo.
di pagar l’interesse al sei per cento.
si può fare il contratto in tal maniera
ma non con quei che vengono alla fiera.
E se il negate vi farò pentito.
Pian, pian, la non si scaldi padron mio,
che so scaldarmi anch’io.
signor conte padron, noi siam del pari.
mi preme di servir la forastiera
che mi voglia fidar senza il contante.
Ingratissima sorte, e perché mai,
forza non darmi al mio costume eguale?
le terre ho ipotecate e i mercadanti,
che non sanno per niente il lor dovere,
fan morir di vergogna un cavaliere.
le balle di coton che ho comperate
e che colla mia marca ho già marcate. (Doganiere fa segno che se le prenda)
aver sempre il sensal pien di malizia
e pavento il rigor della giustizia).
Ah Griffo indegno il ciel te la perdoni.
ad istanza d’Orazio Galaurone,
si sequestran le balle di cotone. (Doganiere fa cenno ai facchini che partano)
il di più che gli spetta a lui rifate.
e ogni genere vostro peregrino
resta per conto vostro in magazzino.
sono precipitato. Anche Lesbina
mi promise il danar per ingannarmi.
e uno scudo volea depositarmi.
Non vi è più carità, non vi è raggione,
vuo’ abbandonarmi alla disperazione.
ritrovate per me d’abilità.
No, che il coton nella difesa andrà.
Lasciate fare a me, so il mio mestiere
e farò il mio dovere. Io mi contento
Povero voi, se c’entra un avvocato. (Parte)
Griffo è un uom singolare. Io son sicuro
coll’assistenza sua tornar in piedi.
Pagherò i creditori e se non posso
al presente pagar, Griffo dabbene
per deluder le lettere e i protesti.
nella disgrazia mia era il vedere
a spassarsi tant’altri e non potere.
cospetto! io scialerò. Vuo’ divertirmi
né pei debiti voglio intisichirmi.
Rifinito del tutto io già lo credo).
se del suo cavalier fa capitale,
hanno robba e contanti e sperar posso,
con periglio minor dell’onestà,
impetrare da lor qualche pietà).
per burlarmi del conte, con costei
far qualcosa di più m’impegnerei).
Ordinaria, civil, serva o padrona?
Son zitella signore e per disgrazia
onde non so far niente; i genitori
senza aiuto verun, senz’arte alcuna
cerco per onestà la mia fortuna.
Veramente il motivo è così onesto
o chiedete mercé per un pretesto?
Sono un uom di buon cor, vi aiuterò.
io vi farò veder come si fa,
quando un uomo s’impegna come va.
Grazie alla bontà vostra. (Finalmente
(Quando avrò del danar, le darò aiuto).
Dalla giustizia. I creditori
(Sono assai fortunata in verità).
Vi consiglio celarvi. In casa mia
Se venite con me, vi salverò.
Ah mi sento tremare. (Vuol partire)
Signor mio, (Ad Orazio con ironia)
gli rendo grazie della sua bontà.
Accettate la buona volontà. (A Lisaura)
Cosa vi avea promesso? (A Lisaura)
si esibiva di farmi il protettore.
È ver? Meritereste... (Ad Orazio)
che i protettori ricercando andate...
Presto per carità. (A Giacinta)
vanno gli affari miei. Meglio è che torni
viver potrò dai miei parenti almeno.
mi han ridotta così, veder tant’altre
vestir pomposamente e non potere
far lo stesso ancor io, vedermi astretta
a vivere meschina e ritirata
fu cagion ch’io partii da disperata.
non vi conosceria nemmeno un cieco.
Il timor mi avvilisce e questo peso
fa ch’io non possa accelerare il passo.
Mi volete celar quel ch’io già so.
A portar il danar vi aiuterò.
Questo fu sempre degl’avari il vizio,
corrispondere ingrati al benefizio.
per gli scrocchi e le usure andar prigione.
così vi ho travestito ed ho mandato
una barca a cercar per andar via;
e or dubitate della fede mia?
No, di voi non ho dubbio; so che siete
ma siete delicata e questo peso
vi potrebbe stancar più del dovere.
Anzi di sollevarvi avrò piacere.
e possiamo operar senza timori.
fin che torna colui che dell’imbarco
ci ha da recar l’avviso, entrar possiamo
(Celerò colà dentro il mio danaro). (Da sé)
quel marinaro che mandaste al porto?
Lasciatemi veder. (Chiede l’orologio)
Guardate pure. (Tenendolo al fianco)
sta bene dove sta. Dica, signore,
(Mi sta sul core). (Da sé)
il magnifico grado ed autorevole,
qualche volta ci manca il bisognevole.
del nobile fregiata almo decoro?
Ah! Che la nobiltade è un gran tesoro.
che non san cosa sia la nobiltà
non vogliono di noi sentir pietà.
Ma non può sovvenirmi e m’ingannai.
vi può giovar, ve l’offerisco in dono.
grande, illustre, famoso, e se le prove
di vostra nobiltà voi mi darete,
forse dell’amor mio degna sarete.
(Bramo avere una sposa ad ogni patto,
s’è nobile davver faccio il contratto). (Da sé)
(Si vedrebbe, s’ei fosse mio marito,
maritarsi la fame all’appetito). (Da sé)
del sangue signoril che voi vantate?
i recapiti miei signor son questi.
e i miei fregi son veri e son provati.
nobile di Frascati? (Leggendo)
aver potrebbe qualche affinità.
L’avolo vostro, il conte Calandrino,
fu del mio genitor fratel cugino.
poiché abbiamo le stesse facoltà.
per voi nel seno mio. Sì, mio tesoro,
vi venero e vi adoro; ah se volete,
la sposa mia voi siete e il mondo avrà
nei figli nostri il fior di nobiltà.
ed io sono qui pronto in vostro aiuto.
mi accompagnan per tutto i miei timori.
ho preso tempo e fino a questa sera
che lor siano da voi saldati i conti.
se denari e se robba or più non ho?
Lasciate fare a me; trovar io spero
son per impegno ad aiutarvi accinto.
meriterebbe fra gli astuti il serto.
mi potrebbe giovar; ma è un avarone.
Poco vi manca a terminare il giorno.
Griffo è un gran galantuom.
ditemi, Orazio mio, cosa fareste?
troppo alla sua bontà sono obligato.
cedendogli il mio cor placidamente.
e vi prometto non lasciarvi mai.
o d’andare in prigione o abbandonarmi?
Questo è dunque l’amor che per me avete.
Andate pur, che un perfido voi sete.
che sagrifichi l’uom per la beltà
vita, robba, danari e libertà?
di bilanciar la libertà, l’amore,
«Pria che stare in prigione una mezz’ora
vadan tutte le donne alla buonora».
perché sono negl’anni un po’ avanzato
e poi per lo timor sono sfiatato.
Pesa così, perché il bagnai col pianto.
Siete fuori di voi per i quattrini.
Io quattrini non ho. (Nel muoversi gli cade lo scrigno)
Cosa dite di scrigno? Io son cascato.
Orazio che da voi fu assassinato
o, vel protesto, quello scrigno è andato.
la faccenda con poco e sparmierete
E quanto ci vorrebbe? Ahi mi vien male.
Non veggo lume. Dove sia non so.
Sento gente. Ecco i sbirri.
Non mi fate morir, ladri, assassini.
Colla nuova felice io tornerò.
a conservar la libertà e la vita.
La borsa vota riportate almeno.
Sì sì, la porterò. (Con questi scudi
forse accommoderò. Col mio talento
cercherò che ciascun parta contento). (Parte)
Mi ha portato via il core. Il mio orologio. (Furiosamente incontrando Lesbina)
io non voglio rapir la robba vostra.
ho tanto amor per voi che voglio darvi
che sincero per voi rinchiudo in petto.
son da tutte le parti assassinato.
di pigliar per la gola). Signor Prospero,
Voi pur desio di scorticarmi avete.
V’ingannate, signor, mi piange il core
e, quel che rende il caso vostro amaro,
ridotto in povertà senza danaro.
ho concluso l’affar come ho potuto
ed il mio capitale ho già venduto.
(Ah mi darian la vita e riparato
il danaro saria che mi han levato).
Se voi foste in bisogno...
Sì, Lesbina, li accetto e li aggradisco,
se li do a voi, che resterà per me?
Ritornerete a vendere il caffè.
Eh già me lo pensai, vuol finir male.
nessun che vi governi. Io senza paga
da moglie, da massara e servitore.
so tener la scrittura e lavo i piatti,
so cucinare e non mi offende il foco
e vedrete signor ch’io mangio poco.
Eccoli; a voi (Mostra una borsa)
senza difficoltà li donerò.
Tant’è marito mio, par che la sorte
cominci a favorirci. In questo foglio
ch’è morto un ricco cavalier mio zio
e che l’erede universal son io.
di vostra eredità ma per supplire
con splendidezze al grado nostro eguali
alla sontuosità de’ funerali.
per il vostro coton di man levati,
i creditori vostri ho accommodati.
Voi mi deste la vita. In ricompensa
vi darò un ferraiolo di scarlatto.
Ed io l’accetterò, che ne ho bisogno,
e di onesta mercé non mi vergogno.
finor la libertà mi ha rovinato,
forse mi cangerò, cangiando stato.
Griffo, venite qua; ehi signor conte
serviran tutti due per testimonio. (Si danno la mano)
Mi rallegro con voi. (A Giacinta)
ed ho avuto una pingue eredità.
Io l’ho sposata per la nobiltà.
e l’avete passata a buon mercato.
Povera borsa! Poveri zecchini!
venuti sono ad onorar la fiera. (Al popolo)