(Vorrei sol se potessi andar da lei). (Da sé)
(Il baron mi disturba). (Da sé)
(Mi vuo’ sciorre da lui). (Da sé)
(Vuo’ congedarmi). (Da sé)
Luogo ritroverò da qualche amico.
Io soglio andare all’osteria del Fico.
Vi potete servir come vi aggrada.
Non restate per me, ch’io so la strada.
(Da madama vorrei...) (Da sé)
(Vorrei entrare...) (Da sé)
(Non parte ancor?) (Da sé)
(Non se ne vuol andare?) (Da sé)
visite io credo non vorrà per ora.
(Quando parte costui?) (Da sé)
dopo aver desinato a questa parte.
(Ma quando se ne va?) (Da sé)
(Ma quando parte?) (Da sé)
Poscia quando egli parte io tornerò). (Da sé)
(Se non va non mi stacco). (Da sé)
Addio. (S’ei se ne va, men vado anch’io). (Da sé. Parte)
È partito il rival, voglio provarmi
d’essere il primo a visitar madama.
me l’ha fatta conoscere viaggiando
sia servita da me, non dal marchese.
il padrone di casa ma che importa?
Voglio avanzarmi e battere alla porta.
un parrucchier per la padrona mia,
con buona grazia di vossignoria.
mandar per la città? Non ha i staffieri?
Pratica ho più di lor del mio paese.
vorrei che sol da me fosse pagato.
Sì, quand’altro non vuol, sarà servita.
le grazie, le finezze non ricusa.
E non sdegna di far quel che si usa.
La lasci un poco riposar per ora.
Credo anch’io di capire. (Mette la mano in tasca)
sa come van queste faccende qui.
Ditemi; vi ho capito? (Dandole una moneta)
Signorsì. (Prende la moneta ridendo)
Giacinta mia, mi raccomando a voi.
colla padrona mia tu starai fresco.
una buona occasione è ancor per me.
Vivo solo d’incerti e starei male,
se non venisser dal destin condotti
alle mie mani i semplici merlotti.
a ricevere in casa un tal imbroglio?
continuerà sino a Bologna il viaggio.
Qui in Milano non è che di passaggio.
averà guadagnato dei tesori.
Ma tal fortuna ha fatto poi col canto?
che fatte ricche in Inghilterra intesi
colla conversazione degl’inglesi.
quasi per un costume universale,
non vogliate cessar di pensar male?
essere quel babbeo che stato siete?
Più rispetto contessa ad un germano.
né si parla così con un par mio.
col rispettar discreta suora e nobile,
come di farlo non avesse il debito.
Ma se cangierà stil su tal proposito,
son donna e farò anch’io qualche sproposito.
di lei padrona mia riveritissima.
che riceve le sue grazie pregievoli.
(Ha maniere costui grate e piacevoli). (Da sé)
per me e per la sorella che desidera
e d’inchinarsi alla padrona amabile.
(Questo fratello suo parmi adorabile). (Da sé)
ma se vuol favorir, l’avrò per grazia.
(Per cagion del fratel voglio esser docile). (Da sé)
la prego ancora il mio rispetto accogliere.
Tutto quel che poss’io saprò concedere.
(La fratellanza mia le ho fatto credere). (Da sé)
che venga il suo dovere a far con lei.
(Volentier col fratello io resterei). (Da sé)
Venir potete a favorir voi solo.
Verrò, signora. (La padrona anch’ella
vuol più bene al fratel che alla sorella). (Da sé)
È gentile davvero; in grazia sua
soffrirò la sorella e sarò seco
sofferente assai più che non sarei.
Per finezza maggior vuo’ andar da lei.
quanto il fratello suo, sì, mi contento
e dei giudizi miei quasi mi pento.
ora siamo in Italia. Avrò finito
di soffrire da voi sì gran martello.
Eh lasciatemi star, caro fratello.
che mi avrete a sposar ma non ancora.
Ci possiamo sposar quando volete.
che in voi la gelosia più non vedrò.
d’essere sposo mio, no, non sperate.
Ho sofferto due anni in Inghilterra.
Credea d’essere in cielo e son per terra.
Eccoci in campo colla gelosia. (A Carpofero)
Digli che venga pur. (A Giacinta)
(Mi ha donato egli pure uno zecchino). (Da sé)
i servitori il suo dover, che espongano
la musica più scelta e più perfetta,
la scimia, il papagallo e la spinetta.
la guardia far perché non sia rubato.
far con i cavalieri il dover mio.
che mi vedano a far da servitore.
si vedesse il fratel far da staffiere...
Presto andate, che viene il cavaliere.
Quando vi passerà la gelosia.
Vuo’ studiar di non essere geloso). (Parte)
lo sposerei, s’ei fosse più corrente.
Ma colla gelosia non farà niente.
Sostenermi vogl’io; seder conviene. (Siede)
Serva, marchese. (S’alza un poco)
un alloggio migliore avrà madama.
questo tronco parlar; non so se voglia
Ho appreso in Londra a ragionar così.
Dunque vuol che si cerchi?
sono contento anch’io. (Vorrei sedere). (Guarda intorno)
Ehi. Si porti una sedia al cavaliere. (Ad un servitore)
la fortuna, l’onor dei cenni vostri.
merita una più ricca tabacchiera.
Io ne ho sedici d’oro e sei gemmate.
questa scattola mia ma non ardisco.
non il dono leggier ma il donatore.
ma nel genere suo so ch’è stimata.
Ehi; vieni qui. (Al servitore) Recala a mio fratello.
Che se ne serva per portar per viaggio.
L’aggradimento mio vi mostrerò. (S’alza)
per una che ha le scattole gemmate.
(Perderlo non vorrei, ch’è generoso). (Da sé)
ed in voi riconosco un protettore.
(Secondo il vento navigar si suole). (Da sé)
Se l’onor di servirvi io deggio avere,
e all’inglese non vuo’ malinconia.
sono alla serietà ma per piacervi,
italiana sarò, non sarò inglese.
e i regali accettar con quel disprezzo.
Se sarà all’italiana un po’ indulgente,
io sarò, fin che posso, il suo servente.
(Eccolo ancora qui. Voglia mi viene,
s’egli non se ne va di questo loco,
di pettinargli la parrucca un poco). (Da sé)
Di qua non partirò senza inchinarla.
L’ha inchinata anche troppo.
che da lei non mi veda andar lontano,
senza prima baciarle ancor la mano.
Fortuna vostra che non vi ho veduto.
Tutto quel che potrò son pronto a fare.
Chiedere voi potete e comandare.
ora l’ammazzerei. Mi vuo’ tenere). (Da sé)
Vostra è la borsa mia, so il mio dovere.
che soffrirlo non posso e mi vien male.
Ho da sentir di più? Bel complimento
Mi tratta da birbante e da mezzano!
Dov’è andato il marchese?
per baciarle umilmente una manina.
Che? Sareste per questo ancor geloso?
che fanno a voi un bell’onor costoro,
offerendo al fratel le borse d’oro.
è lecito offerir quel che bisogna.
A simili finezze io non son uso
e se torna a offerir gli rompo il muso.
pazzo per ambizione e gelosia,
ve lo giuro, davver, vi mando via.
Maladetta ancor tu colle imbasciate.
In verità da ridere mi fate. (Parte)
Volete andar? (A Carpofero)
Vorrei star qui, signora.
si vedrà, se mancasse di cervello,
dar delle bastonate a suo fratello.
E mettiamoci un poco in gravità.
Siete in buona salute? (A Carpofero)
Avete riposato? (A madama)
dalla stanchezza ristorato? (A Carpofero)
(Che maniera gentil poco loquace).
Fin che si fa così, non mi dispiace.
(L’incontro non vorrei... C’è qui il barone). (Piano a Giacinta)
(Non vorrei che nascesser criminali.
fin che celo il barone in altro loco). (Piano a Giacinta)
Che si dice fra voi saper vorrei.
Quel che si dice non importa a lei. (Parte)
E madama perciò vuol licenziarmi?
ritiratevi un poco in quella stanza.
Volentieri madama, io vi obbedisco. (Va nella stanza)
Questa, confesso il ver, non la capisco.
voglio far o madama il dover mio. (Le bacia la mano)
del titol che mi dà non meritato.
non venni a esercitare i miei doveri,
perché il loco ho ceduto ai forestieri.
di trattarla e servirla in casa mia;
mi rende, per cagion di mia sorella,
quel giovin che Carpofero si appella.
se potessi parlar... Ma vuo’ tacere.
Basta... Io sono una giovine prudente.
Che non sia suo fratello.
nascondesse l’amante? Io non saprei...
Ma quand’anche il sapessi, oh nol direi.
Ditelo a me, non lo saprà nessuno.
e quel ch’io so non mi trarran di bocca.
se mi dite di lui la verità. (Le offre una moneta)
Qualche cosa dirò... Ma non vorrei...
che lo sapesser i padroni miei.
Spiaccionmi in casa mia cotali scene;
finger di non saperlo e darsi pace,
perché il volto di lei non mi dispiace.
men periglio sarà per mia germana;
correggerla, ammonirla e minacciarla...
se pazzo per amor son più di lei?
Hai le cose ordinate? All’altrui vista
Gioie, astucci, orologi, argenterie.
che par la stanza una bottega in fiera.
per mostrar quanto piacque e quanto vale
porta, per ordinario, un arsenale.
del saper, del poter, della beltà,
per destare l’invidia in chi non ha.
tante gemme veggendo, argenti ed ori.
Anzi i regali, allor, vengon maggiori.
Io vuo’ far quel che voglio.
Cercalo e digli che ritorni qua.
Temerario! Con seco è la contessa.
Non so come frenar la gelosia.
(Eh si sbrogli da sé, ch’io vado via). (Parte)
per non svelare ch’ei non sia fratello.
della casa padrona che vuol farvi
d’una visita degna ed onorarvi.
m’offre il contento d’aver qui alloggiata
Bene obbligata. (Sostenuta)
(Un po’ men di sussiego). (Piano a madama)
(Asino). (Piano a Carpofero)
(Grazie). (Piano a madama)
degne del merto suo più che non sono.
Da viaggio siam noi, l’albergo è buono.
(Gradite un poco più). (Piano a madama)
(Briccone). (Piano a Carpofero)
(Che maniera incivil! Che orgoglio strano!
Son costretta a soffrir per suo germano). (Da sé)
(Ci parleremo poi). (Piano a Carpofero)
di vedervi da noi stare in disaggio.
(La contessa ti piace). (A Carpofero)
(Oibò. Scherzai). (A madama)
Partirò ma in tal guisa...
(La vogliam finir male). (Da sé)
Con sua licenza. (In atto di partire)
Mi lasciate così? Codesto è forse
Vi lascio in compagnia di mio germano.
più discreto del vostro e più civile.
andar io deggio e le mie parti ei faccia.
È un demonio costei. (Da sé)
prendersi di me gioco; in caso tale,
madama, affé, la passerebbe male.
e gode che per me proviate affetto.
un sistema sì rozzo e poco inteso.
l’ardire, in grazia vostra, a lei perdono.
Ma si rammenti alfin ch’io son chi sono.
Ah mai non foste in casa mia venuto!
che fa torto al seren di quei bei lumi.
tratto con un po’ più di civiltà,
e madama graziosa io pianterei.
Ma poi, quando mi parla, io casco giù.
(Io gli darei uno sgrugnone in faccia).
Io non son di madama il servitore.
Eh! Non la troverete. (Lo trattiene)
e non ritornerà per tutto il dì.
siate madama. Mi dicea il fratello
che per tutt’oggi non vi avrei veduta.
(Vuo’ accrescere a colui la gelosia). (Da sé)
(Ah non posso più star; voglio andar via). (Da sé in atto di partire)
Dove andate? (A Carpofero)
Vuo’ andar per un affare.
(Io vi vorrei parlar da solo a sola). (Piano a madama)
Che comanda da me? (A madama irronico)
Non c’è nessun? (Guardando se vede i servi)
Mi favorisca lei. (A Carpofero con ironia)
Ho a farvi il servitore? Oh questa è bella.
Lo può fare il fratello alla sorella.
Quando che si vuol ben si fa così.
La prenderò da me. (Va a pigliar la sedia)
(Posso soffrir di peggio in questo dì!)
(Fin che sarai geloso andrà così).
(Non lo posso soffrir). (Da sé)
(Smania il meschino). (Da sé)
vorrei dirvi una cosa in confidenza.
(Eh lasciatelo andar). (Piano a madama)
Signora sì. (Va a prenderla dal tavolino)
Ecco, signora mia, la tabacchiera.
Questo vi piacerà. (Dà tabacco al marchese)
Favorisca. (Le chiede tabacco)
(Va’ via pazzo geloso). (Piano a Carpofero)
fingere almeno di non esser tale,
giacché con lei la gelosia non vale). (Da sé)
(Ma quando se ne va?) (Piano a madama)
Che fate qui? (A Carpofero)
siate sorella mia con lui cortese.
dell’amor che per me voi dimostrate. (A Carpofero)
Via, le sedie accostate un poco ancora.
(Ah sento che la rabbia mi divora). (Da sé)
(Pena, freme, lo veggo, eppure io gioco
che discreto lo rendo a poco a poco). (Da sé)
tutto, o bella, il mio cuor spiegarvi io bramo.
ma con poche parole, all’uso mio.
Il laconico stile amo ancor io.
Un amante più fido unqua non fu...
Queste parole qui sono di più.
Alle brevi; sospiro il vostro affetto.
E se posso sperar da voi costanza...
Quando promisi amor, dissi abbastanza.
L’ora è avanzata. (Osserva l’orologio)
Bella, bella davver, mi piace assai.
Presto mi spiegherò; voglio esser solo.
Non vedrete nessuno a venir qui.
Esser certo vorrei della mia pace.
Il laconico stil so che vi piace.
questo picciolo segno ora aggradite...
Son parole di più queste che dite.
di questo don, che vi offerisce il cuore,
la graziosa spiegar forza d’amore.
questa repetizione adesso è mia.
siete dalla gelosa malattia?
Ho scacciata dal sen la gelosia.
perché della contessa amante siete.
Non è ver, ve lo dissi e ve lo giuro.
Né creder mi farian col giuramento
che questa mostra d’oro fosse argento.
che mi ha dato il marchese.
Al barone protesto il mio rispetto.
Con madama vorrei, con sua licenza,
prendermi una leggiera confidenza.
Dite pure, signor. Ma brevità.
in segno dell’amor che vi professo...
Via, la stima e l’amor vuol dir lo stesso.
offrirvi in segno di sincero affetto.
Le vostre grazie accetto.
esiggere vorrei, se aver si puole.
Vi potete spiegar con due parole.
V’ho capito, esser voi solo.
(Ora mi manda via). (Da sé)
Sì, vi contenterò, solo sarete.
La parola vi do; tanto vi basti.
(Resistere chi può?) (Da sé agitato)
(Mi par furente). (Da sé osservando Carpofero)
Fratellino, che avete? (A Carpofero)
(Siete geloso ancor?) (Piano a Carpofero)
(Geloso? Oibò). (Piano a madama)
Son per me quelle gioie? (Al barone)
So quello, signor, che mi conviene. (Al barone)
(Se geloso non sei ti vorrò bene). (A Carpofero)
ah la sincerità quant’è mai bella!
(Sì! Stai fresco anche tu). Con sua licenza.
(Crepo di gelosia, vedere un poco
vuo’ quand’io non ci son quel che sa fare). (Da sé)
(Or mi è venuto in mente un’invenzione,
per meglio rilevar la sua intenzione). (Da sé)
con me, colla sorella o col marchese
L’ho con chi l’ho; non mi seccate più. (Parte)
Petronilla non par di lui sorella.
piena di compitezza e leggiadria.
Essere mi ha promesso tutta mia.
Ma mi posso fidare? È un po’ difficile,
in donna come lei la fedeltà.
vuo’ meglio assicurarmi. In questa casa
vuo’ venir sconosciuto, proverò
quel che dal di lei cuor sperar si può.
Con questi baffi e col straniero arnese
alterando la voce e la favella,
non sarò conosciuto da madama
e vedrò s’è fedel, vedrò se mi ama.
Ma la persona sua come si chiama?
per madama, veduta in Inghilterra.
Genua star nave e qua venir per terra.
(Sarà ricco l’inglese). Favorisca...
Gl’inglesi son persone generose.
Avrà portato delle belle cose.
botte, scatole piene, argento e oro.
Fatto viaggio nell’Indie, aver tesoro.
vi sarà qualche cosa anche per me.
Star cameriera di madama?
E d’avervi introdotto io sola ho il merto.
Voler donar... donar io robba molta. (Finge guardar nelle tasche)
Ma non star; non aver; un’altra volta.
Un’altra volta, se tornar vorrà,
si ricordi, signor, come si fa. (Parte)
Questa è una cameriera impertinente.
Ma la burla non vuo’ mi costi niente.
Venuto riverir. (Sostenuto)
La mano. (Gli dà da baciar la mano)
(Madama con ciascun fa la cortese). (Da sé)
(Quanto mi piace la maniera inglese!) (Da sé)
Votre servan, monsieur. (Brillante)
Je me porte troe bien, mon cher monsieur.
(Fa lo stesso con tutti). (Da sé)
(È qui un inglese). (Da sé)
(Piacemi assai lo spirto del francese). (Da sé)
Troppo gentile. (Inchinandosi)
Vostro servitore. (Inchinandosi)
Madame allegramant. (Allegro)
Viva il francese. (Allegra)
che vi vuol riverir. (A madama)
e credo ch’egli venga a queste porte
per volervi accordar per una corte.
Favorisca. (Verso la scena)
Puol esser che costui ci divertisca.
Serva divota di vossignoria. (Scherzando)
detto per sopranome il Campanello.
si dovrebbe chiamare il Campanone.
Questa pancia badial non impedisce
la virtù che mi rende al mondo solo.
Supero il canarino e ’l rusignuolo.
Far piacer di cantare. (A Carpofero)
Appagate, signor, la nostra brama.
Sì, canterò per compiacer madama. (Portano la spinetta, eccetera)
Non canto per denar ma per diletto,
bastami di madama il dolce affetto.
La mia padrona non disgusta alcuno;
donerà del suo core un po’ per uno.
e il virtuoso ancora, tutti tre
ponno la grazia mia sperar da me.
(Ho capito che basta). (Da sé)
(Questa franchezza sua mi move a sdegno). (Da sé)
che cavalieri, come voi gentili,
si perdan dietro a femmine incivili.
che il mio cor da una donna acceso fu
e certamente non mi accendo più.
Anche per me l’ultima volta è questa.
della donna pensar mal non conviene.
Quando il merta, si dee volerle bene.
non mi piacque gran cosa il far l’amore;
ma niun si può doler di questo core.
Per voi forse ad amar ritornerei.
voler per tutto ove son io cacciarvi...
Stanco è lo sdegno mio di tollerarvi.
Compatitemi, amico, io son così;
sia signora o plebea, sia brutta o bella,
e son costretto a vezzeggiarla almeno.
io son più nell’amar fido e costante.
non merta un cavaliero come voi
così male impiegar gli affetti suoi.
che conoscer mi fe’ sì nobil dama,
volesse alla mia brama esser seconda...
Che volete, signor, che vi risponda?
che il suo cuore ha donato a questa bella.
Lo sapete, signor, ch’è mia sorella?
libero il campo e servitor vi sono.
per vedervi alla fin ben collocata,
ma intanto vuo’ che stiate ritirata.
vi divertite colle virtuose.
Madama se ne va; non vuo’ soffrire
col nome di fratello il suo diletto.
pria d’alloggiar in casa le persone.
regolate gli affetti in avvenire
o, vel protesto, vi farò pentire.
tutta la roba mia sia pronta e lesta.
Signora sì. (Ma una gran vita è questa).
subito, in questo giorno. Ho già ordinato
la carrozza, i cavalli e quanto occorre.
colla sua gelosia. Campanellino
vada altrove a cercar miglior destino.
Ma voglio per sua pena abbandonarlo.
compatitemi, un cuor crudo nel petto.
Mi muove a compassione il poveretto.
Anche nel petto mio l’amor contrasta
ma non son poi sì tenera di pasta.
e il briccone con me fa sempre il peggio.
s’inganna affé s’egli mi crede stolta,
non l’accomoda più, no, questa volta.
per parte del signor Campanellino.
un inchino, signor, per parte mia;
e gli dica che or ora io vado via.
dove andare la sorte mi destini
ch’io bisogno non ho di canarini.
Voi resterete col Campanellino.
del mio caro fratel, grato e sincero,
che vorrei foste musico davvero.
Perdonatemi, o cara; alfin l’ho fatto
(Piange quel disgraziato e si dispera).
Sì, voglio andarmi a vendere in galera.
Basta... Sì morirò... Pazienza... Addio.
Fare a me un simil torto?
vi pentiste così più d’una volta.
Giuro e se il giuramento io faccio invano,
possa per sempre diventar soprano.
abborrisco, detesto il mio difetto.
Sì sì, partir conviene e darsi pace.
e soli ci convien ritornar via.
Eccola per l’appunto, ella s’appressa.