Metrica: interrogazione
610 endecasillabi (recitativo) in Il povero superbo Venezia, Fenzo, 1755 
e vi faccia buon pro, statevi allegro
toccano il cuor questi bocconi al fresco
Mangiate amico pur, bevete ancora,
volontieri lo do, questo è il mio genio
ed aiutar chi n’ha bisogno ho in uso.
Alla vostra salute. Oh benedetto! (Beve)
Alla vostra salute nuovamente,
che balsamo, che nettare perfetto!
Ditemi un poco. Il cavalier del Zero
                                                       Male.
Io servo per disgrazia un animale
                                       Quando discorre,
e che nella scarsella non ne ha uno.
                                      Per nobiltà
da dare agl’altri ei ne ha, chi sente a lui.
si vede corteggiato e che credendo
spende tutto e poi fa questa comparsa.
La casa è vuota e la sua tasca è arsa.
                                        Un’altra volta
                            (Oh poveretto me!) (Con timore)
                              Se la comanda anch’ella?
                                                 Almeno
permettere signor ch’egli finisca.
o che io ti farò andar con il bastone.
alla salute sua. (Beve) Or me ne vo
e quando chiamerà ritornerò.
                                                 Via compatite,
                                    Il mio bastone
gli farà far ragione. Impertinente!
né di servir si curano il padrone.
il suo padrone è nel servir attento,
senza darmi neppur la cioccolata.
La cioccolata eh? Di qual colore,
forse la cioccolata ogni mattina?
Prenderla soglio appunto in su quest’ora;
ho lo stomaco mio meno gagliardo.
Se comanda la servo in un istante.
acceso non avrà, tempo ci vuole,
Se comanda signor, gli do la mia.
di beverla da voi no non ricuso.
(Già lo sapevo). È scura di colore
                                       Come a dire?
Io non vorrei ch’ella prendesse un fallo,
credendo che l’avesse il color giallo.
Vi piace di scherzar? Voi vi credete
che non sappia che sia la cioccolata?
e so che in quante case ella conosce
                                                  E quando io dico
In conoscerla so che non ha eguale.
Vado a servirla e torno in un momento;
può trattenersi qui s’ella è contento. (Parte)
che vien da quel salame? Ah mi rapisce
Mi viene l’acqua in bocca, oh benedetto!
ma mi vergogno. E di chi avrò vergogna,
che qui non v’è nessuno? Presto, presto
due fette di salame ed un bicchiero
ber di vin non sconviene a un cavaliero.
Oh fame, oh fame, oh dolorata fame.
io mangiato non ho ma le vivande
Proviamo questo vino. (Mangia e beve) Oh saporito,
                                    Oh maledetta tosse!
                             E pure è del migliore
che si trovi in cantina del padrone.
                                   Con permissione;
                                               E qual diffetto!
Che troppo asciutto sia m’è stato detto.
                                  Eccola presto.
                              Per esser perfetta
sarà forse la sua anco amaretta.
Son nata qui ma de’ padroni in casa
                                     Per l’appunto.
Oh questa è la ragion che siete astuta.
Eppur sono innocente come l’acqua.
Come l’acqua però de’ macheroni.
lavarsi l’illustrissima sua faccia.
                                            Oh compatisca;
desidero signor sua protezione.
se vi portate bene io vi perdono.
gran bestia originale! È dalla fame
e pur di nobiltà sente il prurito.
                 Che comanda?
                                              Ov’è Dorisbe?
Lisetta se vi piace andate a lei;
ditele che l’attendo in questo luoco.
(Questo per la padrona è un buon amante). (Parte)
di chi ben ama. Ogni momento è lungo
per un poco di speme aspro tormento.
ma non so che sperar dal padre suo.
i nostri cuori al sospirato porto
e sia la speme ad ambedue conforto.
ma dubito che voglia il ciel tiranno
negarlo all’amor mio. Ma qui s’appressa
il caro genitor. Scoprir qual sia
                                    Figliola mia
ben trovata, che fai? (Pancrazio vien caminando e nel passare vede la figlia)
                                        Padre diletto
come vi ritrovate in questo giorno?
Non mi sturbate, or or ci pensarò...
                                             Così va bene.
(Vuo’ parlargli e impegnarlo a mio favore).
poss’io sperar dall’amor vostro un pegno?
Parla figliola mia, tutto otterrai.
                                 Mi ricordai
                                      Siamo da capo.
                              Parla, t’ascolto.
Cari affé che v’ho colto, ah che ne dite?
                                            Brava, brava.
                                 E perché mai?
                                           Eh son contenta.
Avete ancor bevuto il cioccolato?
L’ho bevuto ma pur se comandate...
Se lo fate portar piacer mi fate
con quattro o cinque biscottini almeno,
il viaggio m’ha fatto venir fame.
Porta il cioccolato a questa dama.
                                     (Oh maledetta
                                     Oh perdonate
se v’ho dato del tu, son così avvezza
                                       E il tu le date?
                                        Orsù Lisetta,
madama è stanca e il cioccolato aspetta.
conoscer le farò che donna io sia).
                                      È spiritosa.
Io qui mi tratterò quanto vorrete.
                       Venga avanti e lo vedrò.
                                  Padrona mia illustrissima
le faccio riverenza profondissima. (A Dorisbe)
                    A me nulla?
                                            Ancora a lei
Lustrissimo padron che bella ciera,
quando vi veggo il cuor mi brilla in petto.
Grazie amico vi do, cosa v’occorre?
Un’ambasciata sola io devo esporre.
A voi mi manda il cavalier del Zero,
l’illustrissimo mio signor padrone,
che venir brama alla conversazione.
Io ho fatto l’ambasciata mia brevissima
e sono servitor di vusustrissima.
fatte serrare il cuor, stringere denti.
                                                  No il cavaliero.
                                      Sì illustrissimo.
Che venga pure, è mio padron carissimo.
Io vado a rifferir le grazie vostre
all’illustre, illustrissimo padrone.
il danaro che aver cerca a livello). (Da sé e parte)
Con vostra buona grazia, io vado un poco
se vuol venga madama a favorirmi.
                                           Ebben restate,
gradita certo compagnia gli fatte.
il nostro matrimonio discorriamo.
                          Or ben nel vostro cuore
vi sentite d’amor il pizzicore?
              Caro bramate esser voi mio?
D’esser vostro madama io penserò.
                                       Rissolverò.
                                                  Si penserà.
Di che meco parlate e che volete?
voi mi direte: «Madamina sì».
Io non so nulla e se il mio ben vi piace
lasciatemi madama un poco in pace.
m’ha detto i fatti suoi. Questo mi basta,
diventi a suo dispetto mio marito.
quando lo sa girare a suo talento.
che col mezzo de’ lor procuratori
v’hanno mandato i vostri creditori.
voglio lor insegnar la civiltà.
a farvi rispettar da vostro pari?
                                 Dategli i lor danari.
qualche volta ne ho che me ne avvanzano,
or per esempio non ne avete uno.
perde la nobiltà del suo decoro,
fanno trecento scudi il mio martoro.
chi vi potrà aiutar quando il volesse.
maneggia il cuor non che l’argento e l’oro,
sotto le chiavi sue tien custodito,
ella vi può aiutar presto e pulito.
                                   Vi vuol cervello,
si esibisce di dare il sei per cento.
che anderete in prigion se non pagate. (Parte)
                                    Troppa bontà.
                                        Che ha mio signore?
                                        Vi dirò.
che deggio far per quattromille scudi.
Oggi dee stipularsi l’istromento
e mi mancano ancor scudi trecento.
                                          I miei fattori
                                         E perché no.
                                   Lo trovarò.
è solito di far quel che vogl’io.
la mancia vi sarà generosissima;
                                     Obbligatissima.
D’una cosa vi prego in confidenza;
non ne state a parlar con chi si sia.
(Se tu speri il danar sei ben minchione). (Parte)
                                               Signor son qui.
                       Che ha detto?
                                                   Ha detto sì.
                              Ora verrà il danaro,
                                      Affé l’ho caro.
la vol pregare il signor cavaliero.
Non prega alcuno il cavalier dal Zero.
(Un poco d’umiltà). (Piano al cavaliere)
                                       Se non comanda,
                                      Ascolterò.
(Ho da chieder danari? Ah mi vergogno).
che viver non si possa a modo suo
e che cerchi ciascuno i fatti altrui,
senza pensare e provedere i sui.
Vengo in campagna e qui goder io bramo
e in questa casa a forza ognor vien gente.
Vengo per divertir la mia figliuola
ma neppur qua so ben se sia sicura.
a Lisetta il mio cuor tenero e caldo
non potetti e il mio amor manifestarle.
Più lontano anderò, sì più lontano
e nascosto ad ognun... Ma poi Lisetta
Lisetta ancor; ma s’avvicina... Oh quanto
oh quanto, oh quanto sei Lisetta amabile.
che più ben come pria non mi volete.
Perché dite così? Perché temete?
voi detto non m’avete una parola;
e provo doglia ben sì cruda e strana
quando al caro padrone io son lontana.
di forestieri è stata ad imbrogliarmi?
Che volete voi far? Vi vuol pacienza.
Tutto va ben ma con più pace e senza
e perciò ritirarmi più lontano.
Non dormir la mattina il suo bisogno,
cenar tardi e star sempre in soggezione
non è buon per mia debol complessione.
mi rovino per gl’altri e però penso
allontanarmi più; che te ne pare?
Su questo che sapresti consigliare?
                                     Cara Lisetta
non pianger per pietà. Di che paventi?
Ch’io ti lasci giammai? Oh non temerlo,
la gente avvezza a mormorar per nulla?
sola in casa d’un uom, lontana ai suoi
con un padron non tanto vecchio ancora...
nulla da sospettar non vi sarebbe;
                                             È ver, ma presto
                                   Io dovrò farlo.
E allora resterem noi soli in casa?
                                  Restar potrei?
Se mi lasciaste qua certo morrei;
                                        Ed io da figlia.
veggo ben che di me poco vi preme
vi tiene il cuor tra’ lacci suoi ristretto.
il diavolo mi porti e prego il cielo
con questi giuramenti, oh che purtroppo
penso a persona che mi sta nel cuore.
Si può saper del vostro amor l’oggetto?
                       Che ve lo dica e poi?
L’oggetto del mio amor siete sol voi.
e voi potreste poi lasciarmi qui?
                                     Padre diletto
tempo mi par che rissolviate un poco
Oh sì ci penso, figlia mia, sicuro;
né manca tempo a cercar stato ancora.
È vero, o genitor, ma gl’anni miei
cominciano a lasciare il più bel fiore
ed inquieto in seno io sento il core.
                           Oh dei! Padre purtroppo
amor mi strinse in sue ritorte amiche.
                           Di Montebello il conte.
                                        Io così spero.
E ben sposa sarai del cavaliero.
                                      Non dicesti
che tu ami il cavalier di Montefosco?
                                       E vuoi tu quello?
Se vi piace così son paga anch’io
e questo, io dico il vero, è il genio mio.
                                    Che vuol costui?
                                             A voi
lustrissimo signor, con permissione
vorrei spiegare un mio concetto solo.
                                     A vosustrissima
chiedo padrona mia riveritissima.
                                          Ah mi condoni
il disturbo illustrissime padrone.
                                       Io non sapevo
con il nobile suo padre illustrissimo. (A Dorisbe)
abbastanza lustrato ormai m’avete.
                                                 Ma via parlate
                           Oh per amor del cielo
                                     Oh che seccagine!
                             Io qui sono mandato
dal cavalier lustrissimo padrone.
lustrissimo signor? Ei m’ha mandato.
Se vado dunque e lui verrà fra poco.
(Oh che tormento, io me ne sto nel fuoco).
di vostra signoria sempre illustrissima.
                                                    Ho inteso,
                                                Andate in pace,
                                      Ah la permetta...
                                       Signor la supplico (Vuol baciar la mano a Pancrazio)
a permetter che bacci a lei la mano
solo perché non l’ho pregata invano.
con tante cerimonie ei m’ha stordito
né mi ricordo più cosa m’ha detto.
Ho inteso, è ver. Vado al gastaldo e voglio
Ma padre qual sarà la sorte mia?
Sarà la vostra sorte... Sì sarà...
Deh lasciatemi star per carità. (Parte)
Oh misera Dorisbe. Il tuo destino
e il cuor balzando tel predice in petto.
né ancor vi veggo... Eccolo appunto.
                                                                 Oh cara
il sereno del ciglio e insiem del cuore?
A’ nostri voti corrisponde amore?
Io lo spero mio ben ma il padre mio
a stabilire i vostri preghi e i miei.
fa che dubiti sempre o poco speri.
                                          Soffriamo un poco;
e voglio terminarla in questo giorno.
ma se perdo mia vita ogni speranza
per sostenermi, oh dei, che più m’avvanza?
                                                      Io credo
il cavalier gli avrà, se n’è impegnato.
le sue proposte il genitor, che m’ama,
e che voglia arricchirmi d’un tesoro,
concedendomi voi che solo adoro.
                                      Oh dei! Mio bene
così sperar e dubitar conviene.
Così parlando a chi v’adora, o cara,
infondete nel sen doglia più amara.
volgi lo sguardo a chi ti sacra il petto.
quale, oh numi, sarà la vita mia?
passerò sospirando i più begl’anni.
Io la voglio così, non replicate.
Bene ho inteso. Madama io penserò.
Non v’è tempo a pensar, via rissolvete.
son buona, il proverete, e poi e poi
pare che nata apposta io sia per voi.
Grazie, grazie madama. Io mi ricordo
                                      Replicatela.
piante da seminar nel giardinetto.
Parlai del matrimonio progettato.
Della figliuola mia non ho parlato.
questa maniera vostra è assai incivile,
che meriti per scherno esser trattata
                                      Oh ciel? Madama
mi torni a replicar ciò ch’ella brama.
                                           Oh bene, oh bene!
Ma con patto però che mi lasciate
in libertà di far ciò che mi piace.
Oh brava, oh brava! Viveremo in pace.
Di mode e servitù farò provista;
e come s’usa in oggi dalla gente
io doppio voglio il cavalier servente.
Abbiatene anche tre, nulla m’importa.
                                                        È giusto,
madama ha ben ragione, io ci ho gran gusto
solo per voi sarà arrostito e cotto.
Voi sarete il mio ben (o che merlotto!)
                                       Un altro scherno!
dell’interno piacer segno ben chiaro.
Io dunque al matrimonio mi preparo.
                              A me dunque la mano
                                      Oh piano, piano,
le cose non vo’ far con tanta fretta
e consigliar mi voglio con Lisetta.
Oh bella, oh bella affé. Voi posponete
che vi stima cotanto e che v’adora?
Figlia d’un generale de’ cavalli,
son ricca d’ogni ben che amor comparte;
non mi merita no chi non mi vuole.
pianger mi converrà la mia disditta.
Oh galantuomo quel ch’è stato è stato,
vi perdono, già il caldo m’è passato.
                             Lungo negozio?
                                                            Breve;
                                 Se è l’affar lungo,
Oh subito illustrissimo la servo.
                                    Porta una sedia,
                Che galantuomo, a chi parlate?
Oh non mi ricordai, signor scusate.
                                  Ora vi servo. (Lisetta parte e poi torna)
                                           È cameriera
                                           E insiem di voi...
                                               Addio.
Che spiantato che siete, o padron mio.
Che insolenza... Cospetto? (Siede)
                                                  E via signore
Or ora è stato al mio palazzo il conte
di Montebello e mi bacciò la mano
                                    La mia prottezione
che della figlia vostra è innamorato.
Gli ho fatto dar la cioccolata e intanto
che parlar vi volessi. Io consolarlo
promisi tosto e come siamo in villa
coll’occasion che per di qui passai
visitarvi Pancrazio io non negai.
Venni in persona a domandar per lui
e fo miei propri i desideri sui.
Sì sì me lo ricordo, è vero, è vero.
Poiché passò di qui sendo in campagna,
un onor così grande egli mi fa;
del resto un tal signor di qualità
Eh siamo in villa. E ben che rispondete?
Io gli dirò con libertà sincera
ho da fare un pocchetto e la mia figlia
dar non posso a... chi mai? Chi fu mai quello?
Pel conte la chies’io di Montebello.
Ho la bella memoria! Un tal soggetto
ma colla figlia mia vo’ parlar prima.
                                      Io non lo so.
Qualche volta a quell’ora ho già pranzato.
                                      Se i pari suoi...
Sì sì v’ho inteso, io pranzerò con voi.
potremo ragionar di quel che preme.
Ragionare di che? Non mi ricordo.
Fatte lo smemoriato e fatte il sordo?
Venga (per una volta si può fare).
E se a pranzo si dee tutto concludere
l’ora preffissa anticipar conviene.
(Questa mattina io mangierò pur bene).
Non sputa che grandeze! Oh quanto è strana
Mi par che venne per sposarsi a me.
il povero Pancrazio è fatto sposa.
                                      Oh buone nuove assai.
                                 Perché?
                                                  Trovai
                                         Rido davvero.
                           Il conte... No.
                                                     Né il cavaliero?
Ma dimmi non sarebbe un matrimonio
Veder non si potrebbe altro simile.
                                          Meno fretta,
No no, non sbaglio no, son maritato.
In verità del mio padrone il genio
molto allegro mi sembra e in compagnia
non può di lui regnar malinconia.
                                               Ei chiede in tavola
(Dunque gl’è ben che io abbia anticipato).
Da lui volea saper... Ma siete appunto
                                                Comandi.
Quanto di dote alla sua figlia serba
                                               Io non lo so,
secondo l’occasione io crederò.
con un cinque per cento io pagherò.
Ma ella vede ben... Convien che tutta
la dote egli consegni in man di lui.
tal somma ad impiegar con sicurezza.
                                                     Bene.
Già lo sposo è contento. Egli assicura
e impedir non si dee ch’egli investisca
mille ducati e a me li favorisca.
                        Li darà, sì li darà.
Quasi del desinar passata è l’ora
Avrò l’onor di desinar con voi. (A madama)
non vado mai a desinar da alcuno.
(Ehi se posso vuo’ farlo andar digiuno).
forse non riescirà cattivo gioco).
(Oggi signor non v’è da desinare).
(Io resto a pranzo con Pancrazio mio).
(Se ci restate voi, ci resto anch’io).
                                            Eccolo qui.
                                        Venuto sono
                                  Chiedo perdono,
ch’io non faccio locanda in casa mia.
                     Sì signor.
                                         Non mi ricordo,
                                     Sono invitata
da Dorisbe che seco aver mi brama.
               Col piatto servirò madama.
codesto cavalier non lo vorrei). (Piano a Lisetta)
                          (Se n’andrà). (Come sopra)
                                                     (Confido in te). (Come sopra)
(Che diran fra di lor serva e padrone?)
(Studiano per trattarmi in soggezione).
                                        Ah sì gli è vero.
siate gentil; questa signora ha fame.
Vado a far preparar? (A Pancrazio)
                                         Pensaci tu.
e chieda il refrigerio alle mie pene.
sarà stato avvisato e qui l’attendo
incerto fra la speme ed il timore,
oh quanto sei crudel nume d’amore.
                                                    Io son...
                                                                     Che vuole?
Conferire con voi quattro parole.
                                            Non conoscete
che fu vostro fedel sincero amico,
Oimè, che nome! Un tal dolor mi sveglia
mi dica che gli occorre e parli libero.
e l’onor bramerei d’esserle sposo.
e sapete quant’io sia ritenuto.
Oh benissimo io l’ho riconosciuto.
e solo aspetto il vostro genio udire.
                                      E quali grazie
rendere al vostro amor potrei signore?
Io v’offro in ricompensa un grato cuore.
di cui forse il miglior non troverete
e voi signor perché non risolvete?
Mi giunge inaspettata tal novella.
di quel che s’è discorso appunto qua.
Non mi ricordo niente in verità.
in pregiudizio ancor del mio decoro,
Sì... No... Così e così... Ci penserò.
                                          (O maledetto!) (Da sé)
Illustrissima sì. (L’ora è cattiva). (Da sé)
Doppo averla lustrata a questo segno
non depose la colera e lo sdegno?
ma quando è irata, è un perfido animale.
                                           Idolo mio
di liete nuove apportator son io.
Le nostre nozze approva il genitore.
Ma conviene affrettarle, acciocché poi,
essendo il padre vostro smemorato,
non resti il dolce nodo disturbato.
Bravi; amatevi sempre in buona pace.
che a voi dal vostro amor son preparati.
la prole fortunata e me contento.
Siete marito e moglie, or terminati
saran tanti sospiri, affanni e duoli,
or pensate a far nascer dei figliuoli.
questo antico e verace sentimento,
l’amor del matrimonio è il condimento.
                                       O me felice.
Signorsì... mi sta bene... È di buon gusto. (Pavoneggiandosi)
È moderno il vestito... È bello assai
ma queste nozze non si fanno mai?
spero mangiare ed esser ben trattato.
                               Par che questa sia...
ho sempre un poco d’allegria nel cuore.
mi par che sia un po’ d’impertinenza.
Io vo’ rider, signor, quanto mi piace.
se siete un cavalier così compito. (Ironicamente)
Ma dite, come state d’appetito?
                       No, signor, non v’alterate
io vi consiglio a risparmiare il fiato. (Parte ridendo)
ed io dovrò soffrir, dovrò tacere?
No... Mi vo’ vendicar da cavaliere.
alla fortuna mia pensar conviene.
                                       Con tanti intrichi
non si perda mia cara inutilmente.
la cameriera e voi ’l padron mio,
troppo dipoi patir per vostro amore.
che lasciato una volta in libertà
                                   Dunque io non sono
L’aggiustaremo presto fra di noi,
                                              Parlate pure.
Volesse il ciel... Ma poi se son schernita?...
Ben sposiamoci dunque ed è finita.
Che poca carità ch’è mai la vostra?
Io ti parlo col cuor sinceramente.
Se mi burlate poi, mi parrà strano.
In pegno del mio amor, ecco la mano.
Anche questa facenda è accomodata
Affrettiamoci un po’ per carità.
Madama troppo tardi giunta siete.
e le nozze di far si è terminato.
                                     Tardi è venuto.
che fosse necessario a tal facenda.
Sposò Dorisbe il conte ed io Lisetta.
(Ha voluto sposar quella fraschetta).
Il maneggio era mio. Io son chi sono,
(Ed io restar dovrò così digiuna?)
Mi rallegro illustrissimi padroni.
Io saprò far valer le mie ragioni.
questi trenta ducati son per voi.
Mi maraviglio... Ma però li accetto
acciò sappiate che io vi porto affetto.
tutti gl’affanni miei più non ramento,
se voi siete mia sposa, io son contento.
se come vostra io son, voi siete mio.
passerò i giorni miei lieti e felici.
Ed io poiché fa freddo, ho già pensato
che una moglie in età così fiorita
sarà opportuna e mi darà la vita.
                                               In questo giorno
Udite, se vi piace, un mio pensiero.
Ditemi, prendereste il cavaliero? (A madama)
E voi la sposareste? (Al cavaliere)
                                       Volontieri.
                                        Eccola o cara;
questo nobile acquisto mi consola.
(È meglio prender lui che viver sola).
                                       Conte, amico
della mia protezion siete sicuro.
Amore e fede io vi prometto e giuro.
Della mia nobiltà, de’ beni miei
non si può dare un animal più brutto.
                                   Dolce marito!
(Che bella union di fumo e d’appetito!)
(A satolar la fame alfin son giunto).

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