le sue parole a’ duri affanni miei.
dove ne siete adesso col cervello?
appunto fa per voi la canzonetta.
Fa per me, fa per te, fa per ciascuno
abbia l’anima cotta, abbrustolata.
In là, non mi scottate. (Rispingendolo)
signora un poco d’acqua, il foco è acceso.
Lisetta, se per lui dell’acqua or vuoi
se nol sapete voi, lo so ben io.
Anch’io crudel lo so; so che un mio pari,
cui cento dame han dato il core in dono,
Vil mi faria l’amarti, a tuo rossore,
un giorno lo saprai. Sappi per ora
non t’amo no, né t’amerò in eterno. (Parte)
così han da far, che sieno benedette.
sprezza così Ridolfo? È un’insolenza.
Colle donne, signor, ci vuol pacienza.
Che pacienza?... Io farò... farò... farò...
Ah! Non lo so. (Smaniando per la scena)
il disprezzo d’Eugenia oggi è il castigo
di chi mi sprezza e non mi stima un cavolo.
Manca costei per farmi dar al diavolo.
Parla a vossignoria. (A Ridolfo che sta attratto)
E quando fia che tu mi lassi in pace!
non son nato per te. (A Camilla)
Per me dunque, crudel, non c’è rimedio?
Signora mia, le leverò l’attedio. (Parte)
anche costor, come la cagna e il gatto.
lo sfortunato Lelio a suo dispetto.
Degl’amanti scontenti ecco il terzetto.
Le querele di Lelio e i suoi lamenti
Se nol sapete ora vel dico... Addio. (Entra)
che danno a tutti il nome delle feste.
Che pietà, che pietà? Questa è l’usanza.
che al sol vederti ho già sugl’occhi il pianto.
a’ soliti trasporti, io lo sapea,
e lo chiami furor di gelosia?
che tal mercé tu renda all’amor mio.
fé mi giurasti pure, or cieco e sordo
che la patria, i parenti in abbandono
venni poc’anzi ed or servo te stesso?
Questa fu una viltà che troppo indegna
La viltade in amor mai non offende.
e se saggia e stimata esser tu vuoi
alla tua patria fa’ ritorno e ai tuoi.
temendo io spero e poi sperando io tremo.
Sì bene, signor mio, lo troverete
se non c’è alcun, vo’ dirle una parola.
melata, giuleppata, inzucherata.
Con tutto il resto che finisce in ata.
Guarda. (Gli mostra un zecchino che ha in mano)
Un zecchino! A chi mai l’hai tu rubbato?
Per caparra d’un pranzo or me l’han dato.
da spennachiar che ci darà un tesoro.
Mio paesano egl’è. Viene di Lucca,
di soldi pien ma senza sale in zucca.
D’ammogliarsi egli cerca e mai non cessa
Mosca s’ha a nettar la bocca.
Non ti dico più altro e ti son schiavo. (In atto di partire)
Eugenia li proposi, anzi gli dissi
per viver sconosciuta ama la villa.
ma favellar non sa, non sa tacere
e insieme unisce, se spiegarsi ei vuole,
a forza di «cioè» le sue parole;
quando Eugenia per te venga d’accordo.
Tocca a te, tocca a te, Mosca sei sordo. (Più forte del solito)
La capara ci vuol dell’opra mia,
come la diero a te nell’osteria.
Dammelo qua. (Gli leva il zecchino di mano)
Piano, che veda anch’io questa figura,
da spennachiarlo e poi tirargli il collo. (Parte)
Va’, indovina che dice al suo padrone
or or grido ancor io da spiritato.
e il proverbio di dirti ha ben ragione,
che seco perdi il ranno ed il sapone.
vuo’ dir... cioè... che tu sei l’asinaccio,
cioè l’amor... cioè... Tu cosa vuoi?
Questa incognita bella amar io vo’
e se non l’ho veduta or la vedrò.
che io costoro interrompa). Eh signor Fazio?
Oh Mosca è tempo... Eh ben la bella mia?
Umilmente s’inchina a vossioria.
Si sta affibiando il busto e la gonella.
che io... che tu... cioè tarderà molto
Costui sarà ubbriaco o stolto.
perché al patron t’opponi? (Al servo)
ma dimmi tu, cioè... saper vorrei,
parliam dell’idol mio, che io gli perdono.
Parliamo di costui, ch’io lo bastono.
verrà... cioè... posso di lei parlarti?
Non mi guardar, ch’ora ti faccio in quarti. (Al servo)
cioè non v’azzuffate... Oh non va bene,
ci son io... ma cioè, guarda chi viene.
la bella mia, cioè la mia bellissima? (Salutando)
Umilmente m’inchino a vossustrissima.
(Or dimmi, con Eugenia hai tu parlato?)
Bada a me. (Si mettono a parlare assieme)
cioè una bella bestia. Il curatore
cioè tutto il contrario... Orsù via rompiti
di qua il collo... cioè vatene via...
Cioè fermati là sull’osteria. (Il servo parte e partendo minaccia Mosca)
Tu minacci? Or bene avremo
più giorni che salciccie e si vedremo.
Lascialo andar. Or dimmi un po’, costei...
Eh ben, che disse a te, viene o non viene.
«Dirai» mi disse Eugenia «el mio bel ninno»...
(Oh che bel ninno!) (A Lisetta ridendo)
(Io creppo dalle risa). (A Mosca ridendo)
«Dirai ch’egli mi scusi unquanco lei,
cioè non calerei ma se al più tardi,
verso le ore abbruccianti, ei tornerebbe,
(Oh che asino in parucca!)
Questa fanciulla ancora a me par bella.
Eh via non ha che far questa con quella.
una dama quell’è, questa è pedina.
voglio farlo arrabbiar di gelosia.
E così mio signor? (S’accosta a Fazio sorridendo graziosamente)
Oh che scaltra! Oh che furba!
Mosca... Mosca... (Stringendo la mano a Lisetta)
che voi gite di trotto e di galoppo.
Ed io ti dico il ver, che già colei...
Cioè che il caso... la fortuna... il fato,
cioè... già me ne sono innamorato.
la sposa di costui? Come? Che fia?)
mi fece dir che verso sera torni
(Che imbroglio è questo?)
Siamo qui con Lisetta ed io vi dico
che non dovete lei pur nominare.
Perché di mezzo ci son io
e scomparir non voglio in conclusione.
che roda a voi, a me e ancor Lisetta.
affatto non dovete nominare.
E qui cioè non ci ha che fare.
che Eugenia ami costui. Finger mi voglio
suo conoscente e amico e aver se occorre
Ma Eugenia... Ma Lisetta...
Padron caro... cioè... che vuole... Addio.
Non ha molto io vi viddi.
di Lucca io son... cioè...
Saran tre giorni o quattro.
Sì, Fazio Tondi, lo sapevo anch’io.
Ah sì, Ridolfo Arnieri... io lo conosco.
Che quella notte a Lucca...
Basta questa non serve. Già so tutto,
so gl’amori d’Eugenia; so i trattati
di Mosca il locandier; so gl’immenei.
Così presto, sa tutti i fatti miei?
ch’ognor gl’ospiti suoi manda in malora
che per costei... uh quanta flemma... via
Non posso il tutto dir, ma glielo avviso,
Oh poveretto me! Questo è un gran male!
(Il mal è che costui è uno stivale).
Io son di stucco e un bel imbroglio è il mio!
È questo un sogno? È verità? È un incanto?
tu mi volevi far un brutto gioco
ma, Fazio, tra di noi parliamo un poco.
Quel Mosca... quel Moscon... cioè Lisetta,
Se mai... conciosiaché... spesso... sovente
Parlo... Dico... Disdico e non m’intendo.
Mi son sbrigato appena ma con flemma
da quel Fazio più tondo della luna.
a trarti alfin d’inganno. Il cor ti svelo.
Sia ringraziato il cielo.
Ad altro sposo in braccio e ad altro lido
Eugenia caderà, sebben l’incresca.
Aspetta somarel che l’erba cresca.
E a te purtroppo vien la mosca al naso.
Farò per onta tua fin la mezzana.
Se Camilla ciò fa, sia persuasa
oggi vuo’ far veder che io son la prima.
che Mosca stasse in grazia mia sul foco.
Che pulce ho nell’orecchio! Ah quell’amico
Eugenia ad aspettar siete tornato,
appuntato, tornato... Eugenia eccetera,
Ascolta. Quel tuo Mosca... Ah Mosca Mosca...
cioè ragno, farfalla e calabrone,
ingannarmi volea. Misero me!
Un uom... cioè... non so, che non ha flemma.
Amici, vecchi, antichi, amici assai.
chi siamo noi! Mancano donne al mondo?
ecco ancora la man. (Le bacia la man)
Buon pro, cioè a voi pure.
Signor cioè, mio caro, ella che c’entra?
Non so, poter di Bacco, chi mi tenga
dal far con lei più fatti che parole.
Eh! Giudicio, cervello. (Alzando il bastone)
(Forse hai tu detto nulla ora a costui?)
A me? Parla con lui. Oh questa è bella!
Oh ben se lo facessi a te che importa?
Questa qui... Lei non sa... Son ben capace...
Sì signor, voglio far quel che mi piace.
Ed ardisci di dirlo? Ora t’accoppo.
Ma padron mio, cioè... questo è poi troppo.
Troppo! Ma come io debbo avere il torto?...
Chi è causa del suo mal pianga sé stesso.
Or va’, ti fida a femmine. Può darsi
di quello che mi fece oggi Lisetta?
comincierò da lui... Sia benvenuto
che Eugenia, quella vostra cameriera,
ve la fa da mattina insino a sera.
Con Ridolfo e c’è Lisetta
che d’amore per lei fa la staffetta.
State cogli occhi aperti.
So che ho da far, non me ne importa un fico.
s’altro lume ei non ha, dorme all’oscuro. (Parte)
un per occhio, un per mano e ce ne sono
A me ne basta un solo e Fazio è questo;
voi mel lasciate che io vi lascio il resto.
che pur è un imbroglione, un insolente,
Se volete un amante, io vi consiglio
Altre volte, gl’è ver, tu me l’hai detto
ma se ne parli ancora io vado via.
Che di Fazio le parli ella vorria,
diavolo, non so più come mi tengo!
che ogni donna oggidì s’attacca al peggio.
benché a dirmi di no siete disposta.
Noi donne per mentir siam fatte a posta.
che questa cener mia non cova il fuoco.
tutto confesserà senza la corda. (Parte)
cioè tra il sì e il no, tra il no e il sì.
tutti questi cioè che ci accompagna,
la flemma mi fan gir nelle calcagna.
questo cioè d’adoperar sì spesso;
Hai capito? Ubbidisci il tuo padrone.
senza il cioè... Ma qui il tirar non c’entra.
Dissi senza il cioè. (Il servo li tira il giubone)
Così, come io dicea, certa fanciulla
per scapparmi il cioè... Che tiri adesso? (Il servo tira)
Per dirlo io fui ma me n’avvidi io stesso.
anzi son certo che vorrà sposarmi
perché, cioè... Diammine hai tu ragione,
adesso sì va bene. Io son venuto... (Il servo sempre tira come sopra)
Sì, tira pur quanto sai tu tirarmi. (Torna il servo a tirare più volte insieme)
Se non dico cioè non so spiegarmi.
Ma non ne posso più... Eh non sapete
quell’Eugenia chi sia. Per lei non siete.
badate a me che ne so ben la strada.
C’è certa signorina in questa villa
Maritarsi ella brama. Io le ho parlato
della persona vostra. Ella è contenta
d’accettarvi in isposo, anzi talmente
è invaghita di voi quella figliuola
cioè... Quando m’ha visto?
e vi guarda anche adesso di lontano.
Ecco che vien pian piano.
Cioè... L’ho da sposar. (Il servo tira come sopra)
Non è più tempo di tirar... parliamo,
ella è fanciulla ancora e vergognosa,
ad ascoltar statevi là in disparte,
e intenderete dai discorsi suoi
che parlando con me parla con voi.
Ho capito ben bene, padron mio,
Addio. (Finge partir e resta in disparte)
È partito colui. La sorte arride
d’umiliar questo ingrato.
(Voltati in qua che ti rispondo io stesso).
del mio tacer la gran ragione è questa.
se non è questo cor di te contento,
almeno t’amerà per tuo tormento. (Entrando)
Oh! Madama, ove va?... Corrile dietro...
Cioè non ti partir... Signora mia,
un momento... ritorni ascolti il resto.
(Eccoti un’altra istoria).
Eh mi sovien; cioè... mi preme adesso
parlo, non di Ridolfo; e saper voglio
che non c’è l’astro tuo nel mio lunario.
(Tutto intese costui). È un’insolenza
di quel caro cioè, del signor Fazio?
ma sposa non sarò, se non la sono...
Ha nome... Mi vergogno...
ma tu avevi adocchiato il barbaggianni.
mi venga ancora il fistolo e la rabbia,
se a quel baggian di Fazio ho mai pensato.
tu sei l’idolo mio, te bramo e chiedo
Oh! Maligna, io non ti credo.
se mento. (Si accosta a lui)
Fatti in là, vanne in malora.
e ti maledirò la notte e il dì.
Via su, ch’anch’io farò la sdegnosetta.
M’è saltata la bile e vuo’ vendetta.
Piangi, delira, crepa e va’ in malora.
Eh! Non è qui finita. Or che a me tocca,
Quasi da un lungo sonno or mi risveglio,
Piano che viene il meglio.
per Ridolfo l’ingrata? In un momento
chi crede lor, buono sarà tre volte.
ma la tiranna mia veggio che viene.
Oggi piange Camilla e si fa sposa?
giacché lo vuole, a suo piacer si finga).
se meritò il tuo core e la tua mano.
Invano pur sperai. Sia con tua pace,
tu sciegliesti assai mal.
Fazio è lo sposo mio. D’uno si tratta...
No, non ti voglio. (Parte)
ma sappi pur che io voglio ad onta ancora
amar Ridolfo o non amar nessuno.
O una fiera crudel crederla io deggio,
ma che poss’io? Se il mio crudel destino
che nel mio amor non so capir me stesso.
Or che ti par di me? Son fortunato
languiscono per me... Senti l’amore...
cosa è mai questo amore? Ascolta, amore...
oh! La mia sposa è là... Bella... lo sbaglio (Viene Camilla)
di poc’anzi... cioè... come diceva...
Quel torrente... Non so se m’intendiate.
Con chi l’avete voi? Non so chi siate.
Con chi parlo? Chi sono? Io con chi parlo?
O chi son io?... Cioè... Non è colei
la mia bella Camilla? Io non son Fazio?
Senza il cioè voi siete un matto.
Così in un dì di nozze...
Parlale tu per me. (Al servitore)
delle vostre follie; ma se pensiero
mal per voi, m’intendete? (Entra)
(Che intendo adesso? E perché mai Camilla
Or che mi dici tu? Di sì... o di no (Al servitore)
alla statura, al brio... Dico... cioè... (Ad Eugenia)
que’ cimenti, que’ intrichi e que’ garbugli,
ragù, torte e miscugli...
ed ha un secolo già che spiritate,
Andate all’ospital che siete un pazzo. (Via)
Anche costei m’insulta e non mi trova
Lacchè, guardami ben, sono o non sono.
(Ecco qua il galantuomo).
cioè son quel di prima. Esse son pazze,
vediam se questa ancor... Cosa mi guardi?
Signor, vi guardo perché ho gl’occhi in testa.
Ah? Cioè... Tu non sai chi me la toglie,
da non scordar. Furfantarie son queste.
non vi credo mai più. Siete un ingrato,
che mi vien, se ci penso, agl’occhi il pianto.
Per Camilla lasciar la sua Lisetta?
Io vaglio più di lei solo in un dito.
Pace Lisetta mia, son tuo marito.
Or sì che son contenta, ad arrabbiare
venga Mosca se vuol. Questo è il diletto
che fa dolce l’amore al nostro sesso,
cercar sempre il suo meglio e cangiar spesso.
Per celebrar le nozze di Lisetta,
ma perché sia più semplice e più piana,
la volli far in lingua veneziana.
Canta pure che doppo io te la suono.
A me vieni con queste? Aspetta un poco,
ora renderti io vuo’ cento per uno. (Entra ed esce di novo col cembalo)
e pur non sa che qui non è finita,
s’ha da morder per rabbia anche le dita.
ciò che al piffaro avvenne di montagna.
No, che andò pe’ suonate e fu suonato.
chi cuccir vuol la bocca ad una femmina.
e il proverbio però ben l’indovina,
che rossore non ha chi sta in berlina.
Non so, non so chi questo braccio arresta. (In atto di darle il calasione)
Ti rompo or or questo tamburo in testa.
Si sprofondi la terra ove camini.
Il diavolo ti porti e ti strascini.
Quanto più vo nel mio pensier volgendo
Camilla io non intendo. Ora confessa
Fazio da sé discaccia. A tutto io penso;
e sperando e temendo alfine io piango.
Assistetemi, o numi! Io manco, io moro.
tu la soccori almen per carità.
Io la soccorerò... Voi state là.
Cara Lisetta mia, morir mi sento.
(Mi vo’ accostar pian piano).
candidamente il cor. Donna son io
(Oh cieli!) (Ritirandosi)
in questa villa ei giunse. Egli ha interrota
(Ho capito, è cotta, è cotta).
Torniamci ad accostar pianin pianino.
ma credi pur che un gran tormento è questo.
o farmela pur vuole a suo piacere
e levarmi il boccon già del tagliere.
Nulla intender potei... E tu... cioè...
Cioè... io vi son schiavo.
in questa villa a corbellar le donne?
vi proposi alla prima il matrimonio.
Cosa cercando vai co’ tui disprezzi?
Cercando io vo di far qualcuno in pezzi. (Leva la spada a Fazio)
Cioè... Scannalo tu. Via tira, mena
ch’io ti guardo la schiena.
Bravo, curvati un po’, tira di quarta.
Ah! Eh! Ah! Para, porta. Ah! Eh! Ripiglia.
Saldi in guardia... Via sbraccia... Ah! Eh! Bravissimo.
Sbraccia di nuovo. Ah! Eh! Fagli un carroccio.
Eh, ch’io non son fatto di vetro.
Tira, para, in guardia, in guardia.
gente chiamate da tutte le parti,
che costoro si fanno or ora in quarti.
Eh, che a costui vuo’ dar il resto.
Fermati, in grazia mia, cosa ti fece?
benché sia dichiarato, ei mi fa il torto
di far qui con Lisetta il cascamorto.
con Fazio io parlerò. L’ira calmate,
sola con lui restar io voglio... Andate.
(Ma dietro là vo’ sentir tutto anch’io). (Via)
(Ma se tutto non sento, io morirò). (Via)
Che vorrà dirmi mai? Delle tue nozze
rinoverà il trattato. Eh non lo credo.
Si lusinghi egli adunque e Lelio frema
ch’oggi sposo costui). Dunque sì poco
M’ami ingrato o non m’ami?
Cioè... come, che lei... là dal balcone...
Or lo saprai, se nol sapesti ancora.
all’antiche mie pene oggi ritorno?
Or che ti par, lacchè. Nol tel diss’io
cioè tutte le adoro. Ella è da ridere.
Ridi per vita tua; ma chi è costui?
Mi guarda? Che vorrà?... Mi fa spavento.
Lacchè... vedi... cioè...
mezzo tener, perché il suo Lelio affatto
si allontani da me. Mi fingo amante
cerco ch’egli mi abborra.
da tentarsi con lui. Voglio fidarmi
che in Livorno mi amò, che la sua fede
mi promise colà, che non son nata
e che del tuo rigor la colpa è mia.
se pietosa al mio mal vuoi tu mostrarti,
questo è il tempo miglior. (Poi via)
che per ancella in casa sua sopporti
chi n’ebbe già di sposa sua la fede?
la sua empietà? So i giuramenti suoi,
so ch’egli è un traditore e vuol ch’io l’ami.
Eugenia è veritiera, Eugenia è degna
Eugenia sia che vuole, io son lo stesso.
intendesti testé cosa io dicea?
che non l’ama il mio cor né l’amerà.
Quante volte si dice e non si fa.
Di menzogne una donna è la maestra.
Più del maestro suo sa la scolara.
Perché te stessa ho studiato assai.
sentiresti pietà d’un’infelice.
Quante volte si fa ma non si dice.
a parlare con Fazio ancor s’aggiri.
io perder non vorrei l’uno e poi l’altro).
Vuol far pace senz’altro e pur contrasta).
(Sull’onor mio che viene).
(Brutta ciera mi fa ma non lo stimo).
(Coraggio al gran cimento).
(Eh su via, siamo o non siamo).
chi le donne chiamò pazze.
ben cento volte al dì cangiam pensiero,
Io poi peggior sono di tutte.
il mio Mosca lasciando e perché mai?
se mi vedessi il core, io certa sono
che tu m’accorderesti il tuo perdono.
perché merito peggio... E pur ch’io mora
Pazienza... piangerò... fino che ho fiato.
Uh che demonio... Via t’ho perdonato.
Va’, che tu ne sai più di satanasso.
Ecco il signor cioè. Giacché non posso
vuo’ provarmi d’averne a suo dispetto.
Perché meco, signor, lei non sa fare.
Colle donne, signor, si fa e si tace.
Cioè mille parole inzuccherate
io vi diedi, cioè ve lo donai,
oro, argento, moneta, io ben m’intendo.
ma una stella crudel... (Gridando)
tutto il sangue scaldar; cioè, cioè,
vorrei dir cento cose e non so che.
A tempo t’incontrai. Come negasti
ciò che intesi da te? Dunque è menzogna
ch’io narrai per mio spasso a vossustrissima.
con Lisetta di farla a quel merlotto,
facendo noi l’amore a soldi sui.
non sognò mai d’amar tanti cioè...
Anch’io certo ne sono. Eh non potea
che fedele fu sempre al primo affetto.
Anch’io ne sospettai. Tardi io conosco
che troppo ingrato io fui. Pace, perdono,
all’antico amor suo torna il cor mio.
Per me tu sei, lo sposo tuo son io.
per far che n’arrossisca il traditore,
che serva ella si fe’ sol per amore.
facendo pur che Fazio la credesse
E così Fazio resta un barbagiano.
per sugellar di due contratti il foglio.
che ha perdute amendue le innamorate.
Cioè si sono ambe sposate.
Fa’ un calesse attaccar che a Lucca io torno.
che in un tal dì noi riderem di voi.