che codesta canzon, Lesbina mia,
troppo mi desta in sen malinconia.
per sfugir della rosa il rio periglio.
di questa età che della donna è il fiore;
troppo, troppo nemico ho il genitore.
sarebbero al cuor mio le divisate
dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
L’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
Vi compatisco; un cavalier gentile,
nell’età, nel costume e nell’amore,
far potrebbe felice il vostro cuore.
si sospira, si piange e se non basta
si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
quel che so, quel che posso. È ver che sono
in una età da non prometter molto;
far valere per voi l’arte e l’ingegno.
Cara di te mi fido. Amor, pietade
per la padrona tua serba nel seno;
almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
Meglio sola che male accompagnata.
Così volete dir; sì sì, v’intendo.
Dunque da te qualche soccorso attendo.
se non si ha quel che piace, è meglio senza.
raccogliere volea pel desinare.
Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
(Qualche stroffetta canterò a proposito). (Da sé)
(Oh ragazza!... Farei uno sproposito). (Da sé)
la canzonetta sopra il ravanello.
Scaccia questa canzon dalla memoria.
Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
questa canzone ha un poco d’allegria.
prima che ad invecchiar ti veda il fato,
esser colta dovresti in mezzo al prato.
or ch’è un frutto maturo e saporito,
non la fate invecchiar senza marito.
sposo le ho destinato e avrallo presto.
la bocca d’un villan non mi par degna.
purch’esposta non resti al crudo verno.
pria di vederla così mal troncata,
per la neve lasciar la mia insalata.
un’altra canzonetta ch’ho imparata
sul proposito mio dell’insalata.
m’ha detto che con lei non farò niente.
che col tempo con lei tutto farò.
liberarmi mi preme. Un buon partito
Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
un villano, egli è ver, ma sapientone.
e da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
(Sorte, non mi tradir). Signor.
Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
Son cavaliere e sono i beni miei
Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
per venir alle corte io vi dirò...
non venite a morir in casa mia.
mi togliete alla prima ogni speranza?
Lusingarvi sarebbe una increanza.
le parentele mie vi mostrerò.
dite perché né men si vuol ch’io speri.
d’anima vil dell’onestà nemica.
ch’io debb’andar villanamente inulto.
ti pentirai del tuo costume insano.
mio diletto conforto e mio sostegno,
tu sei lo scettro e questi campi il regno.
e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
ogni generazion si cambia stato.
con fatica, con arte e con periglio,
distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
sono gl’uomini ognor sempre gl’istessi.
col piacer delle feste e dei teatri
zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
compatir vi vorrei; ma siete ricco,
avete dei poderi e dei contanti;
la fatica lasciate ai lavoranti.
piuttosto che parlar come una sciocca,
fareste meglio maneggiar la rocca.
Colla rocca, col fuso e coi famigli
voi dovreste pensare a maritarmi.
comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
tu sposeresti un conte od un marchese,
strappazzata la dote e la fanciulla,
la nobiltà ti riducesse al nulla.
Io non voglio un signor né un contadino.
qual a mediocre stato si conviene.
Che sia discreto e che mi voglia bene.
Se lo brami così, nol troverai.
hanno pochi quattrini e troppe voglie
e non usano molto amar la moglie.
è maggiore l’uscita dell’entrata.
perché nella città vede il pericolo
d’esser vizioso o diventar ridicolo.
v’han proposte le nozze, io ben lo so.
perché la dote e il padre suo mi piace,
gonfia di vento e piena d’albagia.
sono le donne poi tutte compagne.
Ammogliatevi presto signor zio
ma voglio poscia maritarmi anch’io.
La si mariterà la poverina;
ma la vuo’ maritar da contadina.
Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
e lo stato cambiare ognun si prova.
diventar cittadino; il cittadino
ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
alcuno due o tre ne fa in un salto
ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
ite lontan da queste soglie. Oh dio!
Temo che ci sorprenda il padre mio.
il sovverchio rigor vi vuole oppressa.
Deh pensate a voi stessa.
non sarò d’altri, se di voi non sono.
per or vi basti e non vogliate, ingrato,
render lo stato mio più sventurato.
Gradisco il vostro cor ma della mano
V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
col suo fattore e contano denari
né si spiccia sì presto in tali affari.
Dunque chi è che la dimanda?
Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
il bellissimo Nardo. E il padre vostro
che gli dobbiate far buona accoglienza,
se non per genio, almen per obbedienza.
ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
a me condur lasciate la facenda.
Vado. (In atto di partire)
Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
ritiratevi, sì, questo mi preme;
ma non andate a ritirarvi insieme.
Voi di qua, voi di là; così va bene.
Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
Troppo presto volea far da marito.
tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
Io non lo so. (Affettando modestia)
la figliuola di lui, venuta qui?
se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
Eh furbetta, furbetta; voi mi avete
Delle fanciulle al cor parla natura.
quello che vostro sposo è destinato.
Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
Non so dir... che cosa sia.
Con licenza, signor, voglio andar via.
(Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
(Servo me stessa e servo la padrona).
che la natura in lei parla innocente.
Finger anche potrebbe, è ver purtroppo,
quel che senza ragion sospetta male.
compatite se troppo trattenuto
La fanciulla va ben sia vergognosa.
che sperare mi fa d’esser amato.
(Oh ciel sia ringraziato). (Da sé)
Eugenia, dove sei? Facciamo presto;
Che volete voi qui? (Alla Lena)
alla sposa vorrei far riverenza.
È galante, è gentile ed è amorosa.
che l’ha la madre sua fatta per me.
un incognito amor di simpatia
ha messo i nostri cuori in allegria.
Venite qui, signora padroncina;
Fate che il genitore ve lo veda;
lasciate che la sposa egli vi creda.
Tu m’imbrogli Lesbina e non vorrei...
vi volete servir, per voi qui sono.
Quando no, vel protesto, io v’abbandono.
Deh non mi abbandonare, ordina, imponi;
ti sarò, non temer, tutto obbediente.
regola in avvenir ci porgerà.
Una sposa son io senza marito. (Si mette l’anello)
Quando vengo da te, perché ti ascondi?
si vergogna di me, poi collo sposo
il suo cuore non è più vergognoso.
Vi stupite di ciò? Si vedon spesso
la modestia affettar col genitore.
Basta; veniamo al fatto. È ver che avesti
dallo sposo l’anello? (Ad Eugenia)
Parlo teco. Rispondi. (Ad Eugenia)
Eccolo qui. (Mostra l’annello a don Tritemio)
che Nardo avesse di tai gioie in dito.
Vedi se t’ho trovato un buon marito?
(Misera me, se tal mi fosse!) (Da sé)
codesta ritrosia scaccia dal petto;
queste smorfie oramai mi fan dispetto.
mostrate la bocchina un po’ ridente.
(Qualche volta Lesbina è impertinente). (Da sé)
(Ehi, badate non far qualche pazzia). (Piano a Eugenia e parte)
una donna di te più scimunita.
suol esser lieta, al suo gioir condotta,
e tu stai lì che pari una marmotta?
Sposati e in avvenir pensaci tu.
col notar della villa in compagnia
che brama riverir vossignoria.
Qualchedun che bisogno ha di denaro).
(È Rinaldo, padrona. Io vi consiglio
d’evitar il periglio). (Piano ad Eugenia)
(Andiam Lesbina). (A Lesbina)
Con licenza. (S’inchina a don Tritemio)
(Ahi me meschina!) (Da sé e parte con Lesbina)
Se denaro vorrà, ghe ne darò,
purché sicuro sia con fondamento
e che almeno mi paghi il sei per cento.
che mi ha chiesto la figlia. Or che pretende?
Col notaro che vuol? Che far intende?
replicarvi l’incommodo. Temendo
che non siate di me ben persuaso,
titolo, parentele e facoltà.
ecco l’albero suo, da cui si vede
vien l’origine sua dal re Pipino.
Questa è una cosa bella in verità.
Ma della nobiltà, signor mio caro,
come andiamo dal par con il denaro?
mostrategli sinceri i fondamenti. (A Capocchio)
di comprede, di censi, di livelli,
questi sono contratti buoni e belli. (Mostrando alcuni fogli a guisa d’instrumenti antichi)
Vada signor notaro a farsi etcaetera.
a prender altri fogli, altri capitoli,
per provarvi di me lo stato e i titoli.
ricca, nobile, grande ognora fu.
Credo quel che mi dite e ancora più.
Quando lei possa farlo, io son contento.
del mio buon cor sarete persuaso.
Sì; chiamatela pur, contento io sono;
se da lei son escluso, io vi perdono.
Bravo. Un uom di ragion si loda e stima.
S’ella non puole, amici come prima.
Se da Eugenia dipende il piacer mio,
di sua man, del suo cor certo son io.
della gioia vicino è il dì beato.
Eccola qui; vedete se son io
benché foste nemico ai desir miei.
ti vorrebbe in isposa; e tu che dici?
la più lieta sarò, padre amoroso,
se Rinaldo, che adoro, avrò in isposo.
il rossor questa volta è andato via.
In faccia al genitor mi dia la mano.
s’ha da far; s’ha da far... se si potrà.
Dammi la destra tua. (Ad Eugenia)
Eccola. (Don Tritemio le prende la mano)
A voi. (Chiede la mano a Rinaldo)
che nel dito d’Eugenia evvi un anello.
Nardo con quell’anello la sposò;
e due volte sposarla non si può.
prendesti già delle tue nozze in segno,
non si può, figlia mia, scioglier l’impegno.
Voi che dite, signor? (A Rinaldo)
che di me vi burlate, e che son io
bersaglio del destin barbaro e rio.
Signor padron, voi siete domandato. (A don Tritemio)
Chi è che mi vuole? (A Lesbina)
Sente, signor? Del genero un famiglio
s’altra cosa non ha da commandare,
per cortesia, se ne potrebbe andare.
Sì sì, me n’anderò ma giuro ai numi,
(Obbligata davver del complimento). (Da sé)
(Ho un tantin di paura). (Da sé)
(Ahi che tormento!) (Da sé)
ho capito il rossor che cosa sia.
Quel che voglia colui vado a sentire;
poi la discorrerem. S’ha da finire. (In atto di partire)
Sì signor, dite bene. (A don Tritemio)
E tu, fraschetta, (A Lesbina)
tu alimentasti dell’amante il foco?
Vado e ritorno; parlerem fra poco.
Solo per tua cagion sono in periglio.
Loderete nel fine il mio consiglio.
Questa cosa finor mi pare un gioco;
non mi perdo davver per così poco.
Prendilo o giuro al ciel lo getto via.
che Rinaldo, il mio ben, mi crede infida.
dinnanzi agl’occhi miei soffrir non vuo’.
Se volete così, lo prenderò.
Ah tu sei la cagion delle mie pene.
Prendilo, Eugenia mia; guarda s’è bello.
che tu prender lo debba; il ricusarlo
Dunque lo prendo per obbedienza. (Prende il gioiello)
non mi piace, nol voglio; a te lo dono. (Lo dà a Lesbina)
Rendilo a me. (A Lesbina)
lo fa perché di voi mi brama sposa). (Piano a don Tritemio)
che sposa io sia? Nel darmi queste gioie
confessatelo pur, vostro pensiero
non è che sposa sia Lesbina?
le gioie accetto e accetterò l’impegno.
Dunque giacché lo sai tel dico anch’io;
doppoché tu sarai fatta la sposa,
anch’io mi sposerò questa fanciulla.
Piangi? Sospiri? E non rispondi nulla?
Oggi darai la man. S’ha da finire.
Se sei pazza, non vuo’ teco impazzire. (Parte)
se in faccia al mio fedele, al mio diletto,
per celar follemente in sen l’arcano,
ed or mi lagno ed or sospiro invano.
quello che Nardo ha nome?
da don Tritemio per la sua figliuola?
e le ho dato stamane anco l’anello.
recherà con tai nozze al suo consorte?
Bagatelle, signor! E su qual banco
investita sarà, padrone mio?
Sul dorso vostro e il pagator son io.
allo sposo vuol far tal carità?
la sua fede promessa a me suo sposo,
perché le siete voi troppo odioso.
per pontiglio sposare il lor malanno.
Se la figlia vi vuol, vi prenda pure;
se mi burla e mi sprezza, io non ci penso,
so anch’io colla ragion vincere il senso.
ve la cedo, signor, per parte mia,
che già di donne non v’è carestia.
giustamente dal popolo stimato,
filosofo chiamato con ragione,
superando sì presto la passione.
Voi l’avete ceduta. A don Tritemio
la cosa narrerò tutta com’è;
e se contrasta, avrà da far con me. (Parte)
se a costo di temere anche la morte
procurar mi volessi una consorte.
bramo sempre la pace in casa mia;
e non intendo altra filosofia.
qualche cosetta vi regalerò.
dispensatevi pur da tal finezza.
Quand’ho un poco di bene, mi consolo
ma quel poco di ben lo voglio solo.
Che dite? Io non v’intendo.
Siete impegnata, il so, con altro amico
e a me di voi no me n’importa un fico.
V’ingannate, lo giuro; e chi è codesto
giovane, risoluto, ardito e caldo.
(Ora intendo il mister; sarà Rinaldo).
Vostra sono, il sarò, ve l’assicuro.
non ho ad alcuno l’amor mio promesso;
son ragazza e ad amar principio adesso.
Di mendace e infedel non vuo’ la taccia.
Lo sosterrò di tutto il mondo in faccia.
Qualch’error vi sarà, ve lo protesto.
ardo solo per voi di puro affetto.
(Impossibile par ch’ella m’inganni).
ma ho cervello che basta e so ben io
che divider amor non può il cor mio.
e se amico destino a voi mi dona,
anche un re lascierei colla corona.
e per questo, crudel, mi discacciate.
siete la mia sposina; e se colui
o s’inganna o m’inganna o fu ingannato,
dell’inganno sarà disingannato.
Signor zio, signor zio, che cosa fate;
colei che d’ingannarvi ora s’impegna,
d’essere vostra sposa non è degna.
(Qualche imbroglio novello).
Quel ch’io dico lo so per cosa vera,
ella di don Tritemio è cameriera.
È ver quel ch’ella dice? (A Lesbina)
Finsi il grado, egli è ver, perché v’adoro.
ma vogl’essere vostra oppur morire.
a un uom come voi femina tale?
serva o padrona sia, tutt’è lo stesso.
Se mi amate di cor, v’adoro anch’io.
che sia la condizione un accidente.
che cosa importa a me, se bella e buona?
Peggio è assai s’è cattiva una padrona.
non si puole scordar che vile è nato).
d’una senza natali e senza dote.
maritarsi con meglio proprietà.
certamente è un peccato. Imparentarmi
con una contadina come lei.
con un uomo civil, poiché dal pari
talor di nobiltà vanno i denari.
con pelle di leone andar coperto
ma poi dal suo ragghiar l’hanno scoperto.
ma siete nel parlar sempre somari. (Parte)
questa signora zia, confesso il vero,
non vi starei con essa un giorno intero.
perché nata in città per accidente,
perché bene sa far l’impertinente.
bella vita è la nostra ed onorata!
d’uno stato ripien d’ogni contento.
Questo signor Rinaldo è un temerario.
egli viene a bravarmi in casa mia?
e se altrui compatisco, egli è per questo.
Basta... (Guardando pietosamente don Tritemio)
Nol posso dire. (Mostrando vergognarsi)
ed allor pensaremo anche per noi.
si potrebbe pensar nel tempo stesso.
ch’ho mandato a chiamar per la figliuola,
farem due cose in una volta sola.
Vado a prender Eugenia e in un momento
farem due matrimoni e un istrumento. (Parte)
di burlar il padron, far lo vorrei.
tutto quel che so far, tutto farò.
Lesbina, eccoci qui; se don Tritemio
ci ha mandati a chiamar perch’io vi sposi
lo farò volentier ma non vorrei
che vi nascesse qualche parapiglia,
qualche imbroglio novel tra serva e figlia.
sarà col cavalier che voi sapete
ed io vostra sarò, se mi volete.
per un paio di nozze il suo contratto.
Due contratti farò, se piace a lei,
che non vuo’ dimezzar gl’utili miei.
fate più presto e avrete doppia paga.
Quand’è così, questa ragion m’appaga.
ch’ama il guadagno ed odia la fatica.
Tornerò a ricercarla immantinente.
lo faccio principiare. Io detto, ei scrive.
Una Eugenia si chiama, una Lesbina.
due matrimoni si faranno, io spero;
Presto signor notar, via seguitate.
un eccesso d’amor; tremo, pavento.
giustamente sdegnato, il genitore.
Venite al tetto mio; colà potrassi
compire al rito e con gli usati modi
che onesta figlia a celebrare andasse
dello sposo in balia nozze furtive?
o pentita ritorno al genitore.
Tutto farò per compiacervi, o cara;
eleggete l’albergo ove pensate
L’onor vostro mi cale, io n’avrò cura.
di don Tritemio è la figliuola.
pastorella gentile, è albergo vostro
ed un uomo da ben, qual è mio zio.
(Sia malizia o innocenza, ella è assai franca).
Sola passate pur, che mi contento.
pastorella gentile, il di lei sposo.
Perché non la menate al vostro tetto?
Correr una bugia lasciar non voglio.
Me n’avvidi che v’era un qualche imbroglio.
quanto altero comandi il dio d’amore.
v’offro l’albergo mio ma con un patto
in mia presenza e d’altro testimonio
si faccia e si concluda il matrimonio.
Andiam nel vostro tetto, se vi aggrada.
Precedetemi voi, quella è la strada.
L’innocente desio seconda il fatto.
Ninfa gentile, al vostro cor son grato.
per voi andrò... (In atto di partire)
per chi fu sì pietosa a’ desir miei?
Ma ho massime civili e buona dote;
maritarmi vorrei con civiltà.
Da voi, che siete un cavalier compito,
secondo il genio mio spero un marito.
col zio, che poco pensa alla nipote,
perdo e consumo invan la miglior dote.
che fu già mio rival, ci porta il fatto
meco condiscendente e non pavento;
ed ho cuor d’incontrare ogni cimento.
dove sei? Non ti trovo; ah se Rinaldo
lo vuo’ sbranar, come fa l’orso i cani.
Invan l’ho ricercato al proprio albergo;
sa il cielo se il briccon se l’ha nascosta
o se via l’ha menata per la posta.
Se li trovassi, li farei pentire.
Li vuo’ trovar, se credo di morire.
che siete malamente inviperito.
non la trovo, non so dov’ella sia.
è in sicuro, signor, ve lo prometto.
È collo sposo suo nel nostro tetto.
Per ordin suo vo a prender il notaro. (Parte)
me l’ha fatta involar? Per qual ragione.
Sì sì, l’ha fatta da politicone.
Anche questa sarà filosofia.
Oh che caso ridicolo e giocondo!
Oh che gabbia de pazzi è questo mondo!
(Eccolo qui l’amico). (Vedendo Nardo)
Galantuomo, che fa la figlia mia?
Bene, al comando di vossignoria.
La cosa è fatta e vi vorrà pazienza.
Non l’ha neanco in mente.
Dote non ne darò certo, certissimo.
cui profittan dei figli anco gli errori.
La volete tener sempre serrata?
Questa è una mala azion che voi mi fate.
No caro amico, non vi riscaldate.
si poteva con me meglio trattare.
lo sposo aveva le ragioni sue.
v’erano dei contrasti, onde per questo
quel che aveva più amor fatto ha più presto.
Ma lei voleva il suo Rinaldo amato.
Orsù quello ch’è stato è stato.
l’ho trovata alla fine e ciò mi basta.
Chi l’ha avuta l’ha avuta e se la goda.
poi doppo la sua morte il padre avaro
a suo dispetto lascierà il denaro.
Eccolo qui, l’avevo mezzo fatto.
dei due sponsali in un contratto espressi
colle stesse notizie e i nomi stessi.
Pagherà chi è servito e chi comanda.
come spero di farlo prestamente,
la scrittura m’avete a far per niente. (Entra in casa)
Vostra nipote è avara, come va.
Credetemi, lo fa senza malizia;
delle donne un costume è l’avarizia.
egli è vero, ma son leste nel prendere.
talor filosofando a discrezione
trovo di molte cose la ragione.
che interesse, superbia, invidia e amore
hanno la fonte lor nel nostro cuore.
affé, che mi volete poco bene.
Nel giardino v’aspetto e non si viene.
Concludiam, se volete, in questo loco.
e si faranno i due sponsali a un tratto.
e si fa con Rinaldo l’istrumento.
Dunque, quand’è così, facciamo presto.
Aspettate, Lesbina, anche un pochino.
(Non vorrei che venisse...)
alcune condizion sopra la dote.
ed un poco di buona economia.
di questo capital, che apprezzo molto,
perché il poco non basta e il troppo annoia;
e la mediocrità sempr’è una gioia.
per star lontana dagli estremi?
siate amorosa, se il marito è in vena;
non lo state a seccar, se ha qualche pena.
non v’è mediocrità. Sia bella o brutta,
la sposa d’un sol uom dev’esser tutta.
Circa l’economia potrete qui
del marito il voler seguire ognora
e non far la padrona e la dottora.
Così farò, son della pace amica;
obbedirvi sarà minor fatica.
Or mi sovvien che un altro capitale
in un più necessario il cambierò.
che vi voglia spiacer neanche in un piccolo.
invochiamo Cupido in testimonio.
accordasse ad un uom sposarne due?
all’uscio picchierò. Verranno fuori;
scoprirò i tradimenti e i traditori.
se comanda venir, sarà anco lei.
è la vostra Lesbina con mio zio.
Come? Lesbina? Oimè; no non lo credo.