Metrica: interrogazione
621 endecasillabi (recitativo) in Il filosofo di campagna Venezia, Fenzo, 1754 
troppo mi desta in sen malinconia.
per sfugir della rosa il rio periglio.
di questa età che della donna è il fiore;
troppo, troppo nemico ho il genitore.
                                  Nozze infelici
dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
L’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
                                  V’ho fatto venir caldo?
Vi compatisco; un cavalier gentile,
nell’età, nel costume e nell’amore,
far potrebbe felice il vostro cuore.
si sospira, si piange e se non basta
si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
                                               Io vi offerisco
quel che so, quel che posso. È ver che sono
in una età da non prometter molto;
far valere per voi l’arte e l’ingegno.
per la padrona tua serba nel seno;
almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
Meglio sola che male accompagnata.
Così volete dir; sì sì, v’intendo.
Dunque da te qualche soccorso attendo.
se non si ha quel che piace, è meglio senza.
Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
                                         E mi figuro
                                     Oh non signore;
                                    Il crederò?
                                Le sentirò.
(Qualche stroffetta canterò a proposito). (Da sé)
(Oh ragazza!... Farei uno sproposito). (Da sé)
Scaccia questa canzon dalla memoria.
Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
questa canzone ha un poco d’allegria.
prima che ad invecchiar ti veda il fato,
esser colta dovresti in mezzo al prato.
or ch’è un frutto maturo e saporito,
non la fate invecchiar senza marito.
sposo le ho destinato e avrallo presto.
                                      Nardo è cotesto.
la bocca d’un villan non mi par degna.
purch’esposta non resti al crudo verno.
pria di vederla così mal troncata,
per la neve lasciar la mia insalata.
                                         Oh oh sentite
un’altra canzonetta ch’ho imparata
m’ha detto che con lei non farò niente.
liberarmi mi preme. Un buon partito
Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
un villano, egli è ver, ma sapientone.
e da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
                                                         Padrone.
Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
                                         Non mi pare.
                           Mi rallegro con lei.
                                Sì signor.
                                                    Dirò...
Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
                                               Intendo il resto.
                                  Dunque, signor mio caro,
per venir alle corte io vi dirò...
                                         Signor no.
                                       Per cortesia,
mi togliete alla prima ogni speranza?
                          Benissimo.
                                                 De’ beni
                                       Son persuaso.
                        Che speri?
                                              Signor no.
dite perché né men si vuol ch’io speri.
                         Vuo’ saper...
                                                  Sì, volentieri.
d’anima vil dell’onestà nemica.
ch’io debb’andar villanamente inulto.
ti pentirai del tuo costume insano.
mio diletto conforto e mio sostegno,
tu sei lo scettro e questi campi il regno.
e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
con fatica, con arte e con periglio,
distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
sono gl’uomini ognor sempre gl’istessi.
col piacer delle feste e dei teatri
zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
compatir vi vorrei; ma siete ricco,
piuttosto che parlar come una sciocca,
Colla rocca, col fuso e coi famigli
comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
                                       Signor no.
qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
tu sposeresti un conte od un marchese,
strappazzata la dote e la fanciulla,
Io non voglio un signor né un contadino.
                             Di che?
                                              Ch’abbia un’entrata
Che sia discreto e che mi voglia bene.
hanno pochi quattrini e troppe voglie
è maggiore l’uscita dell’entrata.
perché nella città vede il pericolo
d’esser vizioso o diventar ridicolo.
v’han proposte le nozze, io ben lo so.
perché la dote e il padre suo mi piace,
gonfia di vento e piena d’albagia.
                             Dunque chi sa
                               Basta non abbia
ma voglio poscia maritarmi anch’io.
Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
e lo stato cambiare ognun si prova.
ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
ite lontan da queste soglie. Oh dio!
Temo che ci sorprenda il padre mio.
il sovverchio rigor vi vuole oppressa.
                                               Ai numi il giuro,
non sarò d’altri, se di voi non sono.
per or vi basti e non vogliate, ingrato,
render lo stato mio più sventurato.
Gradisco il vostro cor ma della mano
                                      Oimè! Chi viene?
                                            Io vivo in pene.
V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
                        Oibò. Sta il mio padrone
né si spiccia sì presto in tali affari.
                                                         Bravo!
Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
il bellissimo Nardo. E il padre vostro
che gli dobbiate far buona accoglienza,
se non per genio, almen per obbedienza.
                                   Coraggio avrete
                                         È ver, son figlia
ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
                                 Vado. (In atto di partire)
                                              Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
Voi di qua, voi di là; così va bene.
Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
                                     Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
                                       Padrone mio.
                                        Verrà fra poco.
                                          Aspetterò.
                                          Io non lo so. (Affettando modestia)
                                    Così sarà.
                                    Vostra bontà.
                                   No mio signore.
se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
Delle fanciulle al cor parla natura.
                         Via, chi?
                                            Nardino bello?
quello che vostro sposo è destinato.
Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
                                   Signor no.
                                          Anzi... mi piace...
                               Non so dir... che cosa sia.
Con licenza, signor, voglio andar via.
(Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
(Servo me stessa e servo la padrona).
che la natura in lei parla innocente.
Finger anche potrebbe, è ver purtroppo,
quel che senza ragion sospetta male.
                                Ed io vi abbraccio.
                                       È già venuta.
                        Gnorsì, l’ho già veduta.
                        Mi par bella.
                                                  È un po’ ritrosa.
                                       Mi disse tanto
                 È ver.
                               (Oh ciel sia ringraziato). (Da sé)
                                          Perché bel bello
                                    E viva e viva.
                                      Per me son lesto.
                                      Con sua licenza,
                                          Io presto fo. (Parte)
È galante, è gentile ed è amorosa.
che l’ha la madre sua fatta per me.
ha messo i nostri cuori in allegria.
lasciate che la sposa egli vi creda.
Tu m’imbrogli Lesbina e non vorrei...
Quando no, vel protesto, io v’abbandono.
Deh non mi abbandonare, ordina, imponi;
ti sarò, non temer, tutto obbediente.
Una sposa son io senza marito. (Si mette l’anello)
Quando vengo da te, perché ti ascondi?
                                     La poveretta
                                          Oh bella affé,
il suo cuore non è più vergognoso.
Basta; veniamo al fatto. È ver che avesti
dallo sposo l’anello? (Ad Eugenia)
                                       Signorsì.
                                        Eccolo qui. (Mostra l’annello a don Tritemio)
che Nardo avesse di tai gioie in dito.
Vedi se t’ho trovato un buon marito?
(Misera me, se tal mi fosse!) (Da sé)
                                                       Oh via,
queste smorfie oramai mi fan dispetto.
mostrate la bocchina un po’ ridente.
(Qualche volta Lesbina è impertinente). (Da sé)
                                      Vedrò chi sia.
(Ehi, badate non far qualche pazzia). (Piano a Eugenia e parte)
suol esser lieta, al suo gioir condotta,
e tu stai lì che pari una marmotta?
                                         Parla o taci,
Qualchedun che bisogno ha di denaro).
(È Rinaldo, padrona. Io vi consiglio
d’evitar il periglio). (Piano ad Eugenia)
                                       (Andiam Lesbina). (A Lesbina)
Con licenza. (S’inchina a don Tritemio)
                         Va’ pure.
                                            (Ahi me meschina!) (Da sé e parte con Lesbina)
e che almeno mi paghi il sei per cento.
che mi ha chiesto la figlia. Or che pretende?
Col notaro che vuol? Che far intende?
                                     La riverisco.
                                     Ecco, signore,
Questa è una cosa bella in verità.
mostrategli sinceri i fondamenti. (A Capocchio)
questi sono contratti buoni e belli. (Mostrando alcuni fogli a guisa d’instrumenti antichi)
Vada signor notaro a farsi etcaetera.
a prender altri fogli, altri capitoli,
per provarvi di me lo stato e i titoli.
Credo quel che mi dite e ancora più.
                                          Anzi degnissimo.
                                    Obligatissimo.
                                     Per verità
                                  Da che dipende?
                                   Chi?
                                               La figliuola...
Quando lei possa farlo, io son contento.
Sì; chiamatela pur, contento io sono;
se da lei son escluso, io vi perdono.
Bravo. Un uom di ragion si loda e stima.
S’ella non puole, amici come prima.
Se da Eugenia dipende il piacer mio,
di sua man, del suo cor certo son io.
                               Ognor tal vi credei,
ti vorrebbe in isposa; e tu che dici?
se Rinaldo, che adoro, avrò in isposo.
il rossor questa volta è andato via.
                                         Eppur pavento...
In faccia al genitor mi dia la mano.
s’ha da far; s’ha da far... se si potrà.
                                          Eccola. (Don Tritemio le prende la mano)
                                                         A voi. (Chiede la mano a Rinaldo)
che nel dito d’Eugenia evvi un anello.
               Non è così? (Ad Eugenia)
                                      Sposa non sono.
prendesti già delle tue nozze in segno,
non si può, figlia mia, scioglier l’impegno.
                                        Dico che tutti
                                     (Tacer non posso);
Signor padron, voi siete domandato. (A don Tritemio)
                                        Chi è che mi vuole? (A Lesbina)
Sente, signor? Del genero un famiglio
s’altra cosa non ha da commandare,
per cortesia, se ne potrebbe andare.
Sì sì, me n’anderò ma giuro ai numi,
                                   (Destin crudele!)
                                        Taci, infedele.
(Obbligata davver del complimento). (Da sé)
                                               (Ahi che tormento!) (Da sé)
Quel che voglia colui vado a sentire;
poi la discorrerem. S’ha da finire. (In atto di partire)
Sì signor, dite bene. (A don Tritemio)
                                        E tu, fraschetta, (A Lesbina)
tu alimentasti dell’amante il foco?
Solo per tua cagion sono in periglio.
Prendilo o giuro al ciel lo getto via.
che Rinaldo, il mio ben, mi crede infida.
dinnanzi agl’occhi miei soffrir non vuo’.
Prendilo, Eugenia mia; guarda s’è bello.
                                         Ed io comando
che tu prender lo debba; il ricusarlo
Dunque lo prendo per obbedienza. (Prende il gioiello)
non mi piace, nol voglio; a te lo dono. (Lo dà a Lesbina)
                 Rendilo a me. (A Lesbina)
                                             Signor padrone,
lo fa perché di voi mi brama sposa). (Piano a don Tritemio)
che sposa io sia? Nel darmi queste gioie
                                                      È vero.
le gioie accetto e accetterò l’impegno.
Dunque giacché lo sai tel dico anch’io;
anch’io mi sposerò questa fanciulla.
Piangi? Sospiri? E non rispondi nulla?
Oggi darai la man. S’ha da finire.
Se sei pazza, non vuo’ teco impazzire. (Parte)
se in faccia al mio fedele, al mio diletto,
per celar follemente in sen l’arcano,
ed or mi lagno ed or sospiro invano.
                                                   Signorsì.
                                         Eccomi qui.
da don Tritemio per la sua figliuola?
e le ho dato stamane anco l’anello.
recherà con tai nozze al suo consorte?
                            Colpi, ferite e morte.
Sul dorso vostro e il pagator son io.
la sua fede promessa a me suo sposo,
                         Non mentono i miei pari.
per pontiglio sposare il lor malanno.
Se la figlia vi vuol, vi prenda pure;
se mi burla e mi sprezza, io non ci penso,
so anch’io colla ragion vincere il senso.
che già di donne non v’è carestia.
Voi l’avete ceduta. A don Tritemio
e se contrasta, avrà da far con me. (Parte)
Quand’ho un poco di bene, mi consolo
                                                   Chiaramente
Siete impegnata, il so, con altro amico
e a me di voi no me n’importa un fico.
V’ingannate, lo giuro; e chi è codesto
                                     È un forastiero
(Ora intendo il mister; sarà Rinaldo).
Vostra sono, il sarò, ve l’assicuro.
non ho ad alcuno l’amor mio promesso;
son ragazza e ad amar principio adesso.
                                            Ah non è vero.
Di mendace e infedel non vuo’ la taccia.
Lo sosterrò di tutto il mondo in faccia.
Qualch’error vi sarà, ve lo protesto.
(Impossibile par ch’ella m’inganni).
ma ho cervello che basta e so ben io
che divider amor non può il cor mio.
                                 Così è purtroppo
e per questo, crudel, mi discacciate.
o s’inganna o m’inganna o fu ingannato,
                                      Sì v’amo di core.
                                 Siete il mio amore.
Signor zio, signor zio, che cosa fate;
colei che d’ingannarvi ora s’impegna,
d’essere vostra sposa non è degna.
                                                      Ha forse altrui
                                     Eh signor no.
Quel ch’io dico lo so per cosa vera,
                                È ver quel ch’ella dice? (A Lesbina)
Finsi il grado, egli è ver, perché v’adoro.
ma vogl’essere vostra oppur morire.
serva o padrona sia, tutt’è lo stesso.
Se mi amate di cor, v’adoro anch’io.
che cosa importa a me, se bella e buona?
Peggio è assai s’è cattiva una padrona.
non si puole scordar che vile è nato).
certamente è un peccato. Imparentarmi
ma poi dal suo ragghiar l’hanno scoperto.
ma siete nel parlar sempre somari. (Parte)
questa signora zia, confesso il vero,
non vi starei con essa un giorno intero.
perché nata in città per accidente,
perché bene sa far l’impertinente.
d’uno stato ripien d’ogni contento.
Questo signor Rinaldo è un temerario.
e se altrui compatisco, egli è per questo.
                                            Da questi occhi
                 Basta... (Guardando pietosamente don Tritemio)
                                 Ma chi? (Amoroso)
                                                  Nol posso dire. (Mostrando vergognarsi)
ch’ho mandato a chiamar per la figliuola,
                                      Vengono a tempo.
Vado a prender Eugenia e in un momento
farem due matrimoni e un istrumento. (Parte)
ci ha mandati a chiamar perch’io vi sposi
qualche imbroglio novel tra serva e figlia.
                                        Verrà a momenti.
per un paio di nozze il suo contratto.
che non vuo’ dimezzar gl’utili miei.
fate più presto e avrete doppia paga.
Quand’è così, questa ragion m’appaga.
ch’ama il guadagno ed odia la fatica.
                                   Scrivete, io detterò.
                                    No certamente.
lo faccio principiare. Io detto, ei scrive.
                                        È vero, è vero. (Parte)
                                      Scrivo, dettate.
                               Ah non lo sono ancora.
                                      Ove s’intese
che onesta figlia a celebrare andasse
L’onor vostro mi cale, io n’avrò cura.
                                                       Dite,
pastorella gentile, è albergo vostro
                                          Sì signora.
(Sia malizia o innocenza, ella è assai franca).
Perché non la menate al vostro tetto?
Me n’avvidi che v’era un qualche imbroglio.
quanto altero comandi il dio d’amore.
v’offro l’albergo mio ma con un patto
in mia presenza e d’altro testimonio
si faccia e si concluda il matrimonio.
Andiam nel vostro tetto, se vi aggrada.
Precedetemi voi, quella è la strada.
L’innocente desio seconda il fatto.
Ninfa gentile, al vostro cor son grato.
per voi andrò... (In atto di partire)
                               Fermatevi un momento.
                                      Che non farei
per chi fu sì pietosa a’ desir miei?
Da voi, che siete un cavalier compito,
secondo il genio mio spero un marito.
                                 Ma fate presto;
perdo e consumo invan la miglior dote.
che fu già mio rival, ci porta il fatto
ed ho cuor d’incontrare ogni cimento.
dove sei? Non ti trovo; ah se Rinaldo
lo vuo’ sbranar, come fa l’orso i cani.
Invan l’ho ricercato al proprio albergo;
sa il cielo se il briccon se l’ha nascosta
Li vuo’ trovar, se credo di morire.
                                Una minchioneria!
è in sicuro, signor, ve lo prometto.
                        Con lui.
                                         Ma Nardo dunque...
Per ordin suo vo a prender il notaro. (Parte)
me l’ha fatta involar? Per qual ragione.
Oh che gabbia de pazzi è questo mondo!
(Eccolo qui l’amico). (Vedendo Nardo)
                                        (Ecco il buon padre).
La cosa è fatta e vi vorrà pazienza.
                                Non dice niente.
                                     Non l’ha neanco in mente.
cui profittan dei figli anco gli errori.
                                         Per ora no.
                                          Ma non si può.
Questa è una mala azion che voi mi fate.
v’erano dei contrasti, onde per questo
quel che aveva più amor fatto ha più presto.
                         Orsù quello ch’è stato è stato.
l’ho trovata alla fine e ciò mi basta.
Chi l’ha avuta l’ha avuta e se la goda.
poi doppo la sua morte il padre avaro
dei due sponsali in un contratto espressi
colle stesse notizie e i nomi stessi.
                                       Bella domanda!
Pagherà chi è servito e chi comanda.
                                  Come?
                                                  Dirò,
la scrittura m’avete a far per niente. (Entra in casa)
delle donne un costume è l’avarizia.
egli è vero, ma son leste nel prendere.
che interesse, superbia, invidia e amore
Nel giardino v’aspetto e non si viene.
Concludiam, se volete, in questo loco.
                               Là dentro. Ei scrive
e si faranno i due sponsali a un tratto.
                                        Fu ritrovata.
                                             Egli è contento.
Dunque, quand’è così, facciamo presto.
Aspettate, Lesbina, anche un pochino.
                                                  A me badate;
di questo capital, che apprezzo molto,
                                  Dunque vi ascolto.
perché il poco non basta e il troppo annoia;
e la mediocrità sempr’è una gioia.
                                                         Udite,
siate amorosa, se il marito è in vena;
non lo state a seccar, se ha qualche pena.
non v’è mediocrità. Sia bella o brutta,
la sposa d’un sol uom dev’esser tutta.
                                        È ver.
                                                      Se questo
che vi voglia spiacer neanche in un piccolo.
                                      Eccola pronta.
all’uscio picchierò. Verranno fuori;
                                              La vostra figlia
Come? Lesbina? Oimè; no non lo credo.
                                     Ahi! Cosa vedo?

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