O stelle, o nubi, o dei! Perché non darmi
un mastino valor? Che non starei
il tempo a consumar all’aure fresche.
con sua licenza, sempre per Orlando
Mi lagno col mio fatto incancherito,
mentre contemplo Orlando, l’hai sentito.
Qui stritola Gradasso. Ah sorte ria!
Potessi io tal mostrar la forza mia!
Stelle, crudeli stelle!...
Marfisa e Bradamante, acciò diventi
a che d’un palladino andar in traccia?
Ehi camerier, lo sai che m’importuni?
Con sua licenza. Marcia in anticamera.
(Che mi sforzi a soffrir, tiranno amore).
Tu hai da riuscire una palladinessa
Vedete un galantuomo contro due
come ben si diffende; entriam signora.
Ma non sono eroina, o padre, ancora.
Mandami la mia spada; oh qua bisogna
ch’imiti Orlando. Cancaro eh, che botte!
Animo cavalier, ch’ora mi butto
dammi il ferro, all’impresa, su all’impresa.
Teco la voglio; prendi questo colpo,
to’ quest’altro e quest’altro empio marrano,
non sai che tieni a fronte il grande Orlando?
Oimè son sdrucciolato, aiuto, aiuto,
che se no il grande Orlando è già perduto.
Fuggisti è ver? Ma me la pagherai.
ho l’ossa eroicamente ben pistate.
Sì ma da prode ancor mi son toccate.
abbia avute le sleppe qualche volta?
Oh molte; e con Gradasso e sopra il ponte
allor che combaté con Rodomonte.
anche a me refilato abbia il giubbone.
Ma come v’è accaduto un tale influsso?
Dirò, son palladino e fo chiamarmi
Vo cercando avventure e qua arrivato
con quei due masnadier la pugna presi;
anch’io l’onor d’aver la parte mia
che ancora mi fa male. Or cavaliero
t’invito nel mio albergo.
non vo’ nell’ozio imbelle; io son guerriero;
aspira grandi imprese il mio gran cuore
fra disaggi acquistar gloria ed onore.
Maledetta mia sorte che m’ha indotto
per tue birbanterie a gir vagando
ha consumato il tutto all’osteria.
E ben così si stava in allegria.
Uno che s’ha venduto il letto ancora.
Così tu ti levavi più a bonora.
Un uom geloso senza discrezione.
Segno che me n’hai data l’occasione.
Non più chiacchere, cantiamo.
bella figura che la gente incanta, (Al gobbo)
allegri qui suoniamo. Animo, canta. (A Lisetta)
Per far correr la gente anche lontana,
canta una canzonzina veneziana.
Vaga, gentil donzella... Ma che miro,
Vivo felice amante, e corrisposto,
d’una donzella e perché il genitore
di buggiardi romanzi alla lettura
ha perduto il cervello, a me niegolla,
dicendo che non altri, ahi rio destino!
sua figlia impalmeria che un palladino.
finto ho poc’anzi che da due scherani
e intrepido vincessi e li fugassi.
Al padre ho dato a creder esser io
un palladino errante ed il mio nome
il cavalier del Fuoco ed egli stolto
m’ha con preghiere entro sua casa accolto.
Ma questo prima non vi conosceva?
Vo’ che si finga Angelica e introdotta
Chi lo dice? So fare in occasione
Vuoi che faccia sentirti un po’ Didone:
«Dalla reggia di Tiro...»
vo’ fare da regina? Oh questa è bella!
«Lascia pria ch’io risponda e poi favella».
servivo in casa d’una cantarina,
che nell’opere grandi prima parte
faceva, ed io n’appresi il modo e l’arte.
No, non mi contradire; io qua vicino
la farò di quest’abiti mutare.
Non temer, resta a mia cura
dell’onor tuo la sicurtade. Andiamo. (A Lisetta)
tutta mia speme e solo in te confido.
Di me non diffidate. In tal affare
nuova non sono e più che non pensate
usar l’arte saprò; non dubitate.
Valle appresso, gobbaccio, e stalle intorno
Guarda con chi favella e dove vanno.
Andate pur voialtri a ripossarvi.
d’introdurmi ancor io con questo matto,
così farò un viaggio e due servizi.
per far ch’il merlo incappi; a noi, cantiamo.
Oh mio padrone, tengo l’Ariosto.
le cortesie, l’audaci imprese io canto».
Oh fato! Oh gioia mia! Or ti conosco,
non sei tu l’eccellente Pasquariello?
E tu non t’arrecordi don Ferrante
che ti veniva ad ascoltar sul mollo?
Più monete da me ti sei pigliate
mi t’ha condotto qui, più non mi scappi.
No, non posso signor, ben obligato.
sier cameriero. Io ti faccio padrone (A Pasquariello)
A tanto intercessor nulla si nieghi.
E viva sempre. Oh amicon di cuore,
non voglio altro da te che qualche volta
E sempre a tai sciocchezze?
Ehi camerier un giorno ti bastono.
O vanne o pur sta’ zitto.
Vuol far sempre il maestro.
Giusto così. Ma questa signorina
è più capace e mi garbezza, amico.
da palladina. Accostati un pocchino
E vuoi essere Orlando. Ah padron mio,
a rivederci; non va bene. Addio.
per una prova picciola ch’ho fatto
della bontà de’ cavalieri erranti,
Ma nell’Ariosto trovasi tal prova?
E come? Non lo sai? Che? È cosa nuova?
«Oh gran bontà de’ cavalieri antiqui».
Hai raggione, fa’ pur quel che ti pare
che non ti parlo più, voglio imitare
l’errantesca bontà per colli obliqui.
«Oh gran bontà de’ cavalieri antiqui». (Entra)
Ditemi in verità! Voi conoscete
quanto è matto il padrone?
per farlo più ammattir. Con sua licenza.
Camerier tu non sai di queste cose;
s’egli arrivasse alla perfezione
Sarebbe un gran scioccone.
Oh via! Con queste cose non si burla.
Orsù vien qua. Vo’ farti diventare
(Questa pure mi pare molto fina).
mi sei entrata nel cuore.
che nel vederti appenna il cuor nel petto
mi cominciò a sbalzare...
Prima dimmi il tuo cor che cosa sente.
non posso per adesso darvi udienza,
perché adesso ho da far; con sua licenza.
Quant’è scaltro costui ma Berenice
con sua licenza, oh cara, un picciol foco
dell’ardente mio amor? Oh dei se brami
che più non ti tormenti, di’ che m’ami.
per me d’un dolce amor; so che mutasti
condizion per me; so che occultando
il tuo natal nella mia casa stai
la mia vita dipende e incontro a morte
per te sola n’andrò, bella, se nieghi
alla mia servitude ed al mio amore
quella grata mercé che brama il cuore.
Fa’ che speme il fomenti. Ah la speranza,
per me caggione è sol d’affanno e duolo.
M’affligge ognor così; pur mi bisogna
e finger e soffrir, destin spietato.
Diletta Berenice alfin la sorte
Signor Flaminio una parola. Dove
è andata la mia moglie? Io non la vedo,
io di tutto l’amico ho già avvisato
ed egli s’è qual sposo ingalluzzato.
vado a sollecitarlo. (Parte)
da me saprai; ecco che già ne viene.
Son pronta già, chi è questa signorina?
È Berenice, il mio tesor.
mi dichiaro sua serva e non abbiate
spero, o cara, il ristoro al nostro affanno. (Flaminio e Berenice parlano in disparte)
(Opra da Orlando. Eccola qui; ma avverti,
non starti a innamorar; pensa alla gloria).
(Lasciami far, riporterò vittoria).
Vaga Angelica, avanti al tuo cospetto
tu vedi il conte Orlando, il qual ferito
da tua calda bellezza e mattutina
ammorzato il furor s’umilia e inchina.
Orlando, Orlando, il tuo valor profondo,
dal Cancro al Capricorno e più lontano,
m’ha fatto abbandonar miei regni alteri
e per vederti e vagheggiarti, o caro,
dal Catai son venuta in questa guisa,
in abito succinto era Marfisa.
(Ah Pasquariello vuoi che te lo dica?
Quest’Angelica affé ch’è molto bella;
mi principia a bruggiar la coratella).
Eh via, vergogna! Non vorrei... Pensate
che con il cavalier passeggi un poco?
Sì, andate passeggiando; cavaliero,
fatemi gloriosa ancor mia figlia.
l’orme seguir d’un cavalier gentile. (Partono)
Ma che fredezza è questa? Ah caro Orlando
così Angelica accogli? Io mi credevo
che in rimirar cotesta faccia bella
non cadde no, precipitò di sella.
(Guarda quella briccona, come attizza!)
Oh mia bella e polputa eroina,
io mi son fatto un verme della terra
avanti queste tue bellezze rare.
(Amico è bella assai! Che te ne pare?)
(Sempre peggio). Resisti.
perché da me ti scosti? Vieni vieni
a me vicin, ch’io non tengo la rogna.
(Sia maledetto! Eppur soffrir bisogna).
Cara la mia polpetta, ella mi frigge
con l’oglio della sua grazia vezzosa.
(Vedi come sa far coi cicisbei,
ah brutta scimia; or or la scanarei).
(Amico, teco ho un obligo infinito,
che m’hai condotta Angelica).
(Merito peggio assai pazzo minchione). (Da sé)
una prodezza delle mie mostrarti,
procurati una spada Pasquariello
ch’io voglio guerreggiar.
Me n’anderò per non attaccar lite. (Si ritira)
Tu fuggi! Ho vinto, ho vinto o mio tesoro.
Al nemico che fugge il ponte d’oro.
voglio fare un sconquasso. Or diamo il caso
che venisse un esercito a man dritta.
Rittirati mia diva a quella parte
e stammi ad osservar. Canaglia all’armi,
ecco una testa in terra. Tu infilzato
resta come un salame. Indietro, indietro.
Già se la batton tutti; oh buona, oh buona.
Amico hai vinto e ti perdon, perdona.
le serba in campo a guereggiar con altri.
Or che sto appresso tua gentil persona
tralascio il campo. (Amico o come è buona).
(Voglio il matto seguir).
non sai far altro ch’essere geloso. (Parte)
Signor Flaminio al certo in questa casa
non vo’ che mia moglie ci dimori.
si riscalda un po’ troppo.
che mi faccia portar qualche morione.
alla nostra invenzion la sua follia.
e di perderti temo ogni momento
e come tale a gran raggion pavento.
Oh quanto da’ suoi cari e grati accenti
prende forza il mio amor! Congiuri il fato,
s’armi destin, sempre per te mio bene
mi vedrai sospirar. Da te sol chiedo
fedeltade al mio amore, o mia speranza.
Oh dio! Non dubbitar di mia costanza.
Berenice m’osserva, io son beato.
quando fido ho il mio ben, propizio è amore.
Prendiamo un po’ d’aria, che sempre dentro
vuoi starti a infracidire?
mi portasti una dea. Ti son tenuto,
Sarai... Basta... Li voglio un gran bene.
queste mogli infedeli e chi le vuole).
Perché Orlando neppur seco parlava.
Oh questo no! Pria di lasciare Angelica
(Ah che non posso più, divento nero).
che vuo’ farvi sentir un po’ d’Ariosto.
Qual canto vuoi ch’io dica?
quando Orlando principia ad impazzire.
«"Sligate i cavalier" gridò "canaglia"
il conte a’ masnadieri "o ch’io v’uccido"».
Vieni, vieni mia diva. Ehi da sedere.
Si legga a me vicin. Va’ seguitando.
«"Chi è costui che sì gran colpi taglia"
rispose un che parer volle il più fido...»
seguitate a cantar. L’orrecchie attente.
«"Se di cera noi fossimo o di paglia
e di foch’egli, assai farà quel grido".
E venne contro il palladin di Francia,
Orlando contro lui chinò la lancia».
Oh bella cosa! Mi sento salire
un marzial prurito. Ora vorrei
Non ci vuol altro, io voglio andar errando.
Vo’ con la morte guerreggiar, scanarmi.
Seguitiamo o il canto io muto!
Vo’ tutto abbandonar; son risoluto.
che farà senza te? Stelle spietate!
(Ora li getto il libro nella testa).
Berenice l’approva e te desia
fu a parte ancora ed ella giuramento
siamo entrambi ingannati, a te non devo
nulla cellar. Quel nodo d’amicizia
vuol che tutto palesi; Berenice,
quell’istessa ch’a te si mostra fida,
costanza a me giurò. Per essa fingi
tu il cavalier, per essa cello anch’io,
finto suo camerier, lo stato mio.
sì che prudente sei, l’ingrata abori,
(Solo a penar più non sarai cuor mio).
Misero, che ascoltai. Tal dopio core
dunque alberga entro il sen di Berenice?
Quanto purtroppo, o dei, sono infelice. (Parte)
Orsù veniamo a noi; dunque mi dici
ch’ha procurato in casa tua venire
per rubbar, se potesse, e poi fuggire.
(Vediamo se così posso far niente).
ora che col marito l’ho trovata
Galantuom non sarà; sarà un bricone.
(Mel dice in faccia e non dice buggia).
Voglio scacciarla... Ma ripugna il core...
O ch’il sangue mi bolle nelle vene.
Mio diletto campione, oh quanto godo
di Berenice e ’l cavalier... Ma o dei!
Non mi guarda il mio bene? O caro Orlando.
(Ohimè; non so che fare).
Lungi lungi da noi vil feminella.
ma lo farò pentir). Diletto Orlando
che vuol dir tal disprezzo? Ah caro, caro,
vuoi divertirti, è ver? Guardami un poco.
quel sembiante piccante e delicato,
camerata, il mio core è bell’andato.
Volgimi almeno un sguardo.
contaminar noialtri ardenti eroi?
Su presto marcia, vattene da noi.
non danno calci. Che? Son forse mulli?
Ergiti su mio lubrico tesoro.
Sfrata donna infingarda; io più non voglio
Perfidi, vi conosco, indegni, ingrati,
contro di me vi siete congiurati.
Che ti pare? Va bene? Amico ingrato,
che m’hai tu fatto far! Corpo di Bacco
bisogneria ch’avessi un cor di marmo
per non m’intenerir. Lasciami andar
Vo’ darti una lezion, per impazzire
mi gratti ove pizica. Son lesto.
già mi sento salir dalle midolle
Che vol dir questo? Gl’abiti butate?
Marcia via camerier, non annoiarmi.
Ma pur con sua licenza...
il mio furor? Ehi dimmi camerata,
Orlando ha bastonato camerieri?
Non gli badate, fatte il fatto vostro,
qualch’albero spiantar dovreste adesso.
or vi svello infedeli attorno attorno;
che vo’ spiantar? Son dure come un corno.
Che stravaganza, o dei...
O cieli... O stelle... O furie...
O orchi... O porchi... O buffali...
E ben ti piace signor cameriero?
Che licenza? Il malan ch’el ciel ti dia;
o cessa d’annoiarmi o vado via. (Parte)
con tua licenza, il mio scontento fanno.
Ben ti capisco; ma tu ancor da saggio
estinguer lungo ardore. Ah se volgesti
a più fida beltà tutt’il tuo affetto,
O t’infingi o mi burli; io sono quella.
più di scherzar; siam camerieri entrambi.
ridere del tuo amor pur mi conviene. (Parte)
già sia degno di risa; perché scopro
ti burli del mio amor? Sei troppo ingrato.
il sospirato fin del nostro amore.
Dove siete figlioli? Qua le sedie.
Vieni mia cara Angelica fedele;
fu un’impostura quel che mi narrasti;
già mi capacitò la bella mia.
Col tempo lo vedrà vosignoria.
Or qui bisogna stare allegramente.
Or via sediamo tutti. Il cavaliero
presso alla sposa, collà Pasquariello
e qui Angelica presso al caro Orlando.
(Al diavol quanti siete or or vi mando).
Ed io starò vicina al cameriero.
(Soffri mio cuor; sì vuole il destin fiero).
che la mia cara Berenice un po’
col suo cantar ci favorisce.
E fa’ venir qua il cembalo.
cantar non posso, son da molto tempo
fuor d’esercizio e men suonar mi piace.
negar, già che sì vuoi bell’idol mio.
Con sua licenza, ah cessi il suono e ’l canto,
tante smanie soffrir più il cor non puote,
m’ascolti ognun. Costui che fa chiamarsi
il cavalier del Foco è un impostore.
Si finge tal per ingannarmi e avere
Qual impensato colpo? Ahi me meschina!
Ita è tutta la macchina in rovina.
Ehi signor cavaliero è vero questo?
Non so niegarlo; a ciò m’induce amore
per secondar vostro stravolto umore.
Ma Camillo è un indegno; e ad ottenere
Berenice in possesso, in vostra casa
(Io mi vedo confusa; o che sciagura!)
Però non sarà mai che del mio affronto
ti vanti anima ville. Impugna il ferro.
Son pronto a sodisfarti. (Cava la spada)
Qui bisogno non c’è di tai braure,
che se piglio una spada a tutti due
vi metto le ventose. Marcia dentro
che mi resta a sperar fra tante pene!)
(Perder Camillo, o dei, pur mi conviene). (Parte)
Ehi, signor cameriere, in questa casa
Ma invendicato non potrò restare
e l’astio ch’ho nel sen saprò sfogare. (Parte)
Ella ancor se ne vada. Queste macchine
non si fanno a un mio pari; andiam mia bella.
a mia moglie si fa sì dolce invito?
Io mi voglio scoprir per suo marito. (Entra)
me sorprende, ahi me lasso! In un momento
ah, mi si spezza il core; un infelice
a che in vita serbate, ingiusti dei?
Signor Flaminio, oh dei, vien mio marito;
Ho da inghiotirne più, non mi risponde?
A noi? Qual arroganza? Tu chi sei?
Che pretendi da me? Sai ben ch’io son
del Catai la regina, vanne via.
Il malan tu sarai ch’il ciel ti dia.
Non mi servono a me queste fandonie
Queste parole a me? Tu sarai matto.
Lisetta bada ben che mi vien caldo.
Caldo o freddo ti venga, io non ci penso;
tu m’hai condotta qui, qui ci sto bene,
altro buono non sei che da gridare,
sei geloso e non hai pan da mangiare.
non bastoni la moglie impertinente.
Chi strilla? Ch’è successo? Coss’avete?
Corri mio cavalier; quest’insolente
ha avuto tant’ardir di maltrattarmi.
Angelica, il mio bene fra cotante.
La voglio bastonar quell’arrogante.
per imitare Orlando il cavaliero;
ma divenne collui pazzo da vero.
ch’io sua moglie son, lui mio marito.
D’Angelica marito Pasquariello?
Vi dico che il meschin perso ha il cervello.
e adesso me la voglio condur via.
Questa amazone è mia, tu speri invano
di levarla da me pazzo villano.
a qual tristo destin son arrivato. (Parte)
pria che lasciarti, io correrò mio bene.
Male non può accader, deh resta lieta,
e renda amor nostro desir felice.
par che vaccili in mia tempesta il core.
sempre nel palpitar, le mie ritorte
o frangi amore o dami un cor più forte.
Ma che dico? Ahi me lassa! E come in pace
senza lui viver posso? Ah troppo, è vero,
quando lungi è il mio ben, crescer mi sento.
Al comparir del palladin di Francia
dan segno i Mori alle future angoscie;
oh Pasquariello, chi l’avesse detto
ti facesse produr! Signor Flaminio,
lesto, se v’è rumor tosto accorrete.
Paris e Viena; a noi animo e core.
Ah ah, quel Pasquariello impertinente
come restò confuso! Ov’è! Chi è questo?
Che brutta figuraccia! Olà chi sei
che un pulcino rassembri agli occhi miei?
così di parlar osi? Caglia o ch’io...
Coraggio sì. Tu non aver paura.
un esercito intier de palladini
per inghiotirti ad un boccon. Conosci
tu il gigante Mergante? Io quello sono.
Quel che con un riverso alto e profondo
taglia noci di collo a tondo a tondo,
spacca nel mezzo un monte di diamanti.
il mio sposo mi pare). Eh non pensare
che sia vile il mio eroe; egli è bastante
un mondo d’atterrar, non che un gigante.
che se ti do una scopola ti mando
una visita a far a satanasso.
Non mi spaventeria né men Gradasso;
non vorrei che ’l mio ben s’intimorisce.
Orsù ti do la vita ed a me cedi
Angelica non cedo. Ed ho valore
per sostenerla... (Oimè mi trema il core).
lascierò fin ch’io viva Orlando mio.
(Questa ancora di più? Fosti amazzata).
L’intesi e ben con l’armi
a un convito solenne. Eh Franceschino
Cara così m’accendi in sen più foco.
(E sempre più si va avvanzando il gioco).
indi la figlia tua mariterò.
Ma ancor non ci mettesti il se si può;
Resterai priggioniero e con rossore
dei veder e approvar ciò che faremo.
Io son contento. Alon presto a pugnare,
Flaminio non vi state allontanare.
Va’ intrepido mio ben, t’assista il fato.
con armi guerreggiar fuor di misura?
piglia la lancia e porgimi qua l’asta.
Cadesti? Il mio valor già trionfò.
Ahi sorte ingrata e ria! Si sdruciollò.
incatena costui; viva la bella
(Non creppo più quando non creppo adesso).
Dunque mi dite, cameriera mia,
Dissi il governator, nel ritirarsi
che fa nel suo casino ogni giornata
se non solo a dottori; (io vo’ vedere
per via della giustizia. Io voglio fingere
per levarsi d’attorno la consorte
pagherian qualche cosa; ed io bagiano,
sol per ricuperarla m’affatico. (Parte)
Intender non la so; questi asserisce
ch’ella è sua moglie e quella niega; certo
contro di voi e vuole in ogni conto
Or qua vi vol rimedio; s’ei ricorre
Tu rimedia all’error, se fatto l’hai.
Vi trovarei rimedio, se potessi
far ch’il governator qui non venisse.
Il modo è ritrovato; basta solo
mandarvi un servo a dirli che il padrone
è fuori del casino e ch’ei potrebbe
io fingerò il governator.
all’uso parla de’ Napolitani.
So parlarvi ancor io; mi fido ancora
d’inviluppar l’amico; quando viene
Or non si perda tempo; io vado dentro.
Ed io pure vo’ far la parte mia,
voglio vestirmi da notaro e teco
Dentro v’aspetto. (Entra)
Non parlar cameriera, bada bene
non sconvoglier l’imbroglio.
Or vado e mando Franceschino tosto
tra il giudice, il notaro ed il dottore). (Parte)
qualche sciagura, io non m’intrico affatto,
oprerò con giudizio e se rimiro
turbarsi il mar, nel porto io mi ritiro.
Già ch’avverso destin del mio tesoro
mi contende il possesso, oprisi l’arte.
Oh questa in fede mia vuol esser bella!
con sua licenza in traccia.
nella cavalleria gloria ed onore
che nell’ozio languisce; un palladino
solo immortal ti rende; io che del sangue
del gran Ruggier discendo, or le gran gesta
vo’ seguir de’ miei avi; il brando invitto
voi cingetemi al fianco; o gran campione
errante cavalier, se Orlando siete.
prole d’un grand’eroe che fece il mondo
tremar come una foglia. Poiché hai scelta
la mia fatal persona, io crearotti
un palladin e ti terrò nel core,
battuto e ribattuto a tutte l’ore.
Pregovi a perdonar, se in vostra casa
ho finto il camerier, se vostra figlia
Eh son follie! Noi ti facciamo degno.
dall’illustre prosapia di Rugiero
merita questo e peggio. Adesso io voglio
qui calda calda. O giorno fortunato!
a far razza d’eroi, lo vedi questo?
È Camillo, lo so. (Che sarà mai!)
questo vizio che tieni? È mio pensiere
il tutto palesar. Questo che vedi
essere ha rissoluto un palladino.
Ed io tal lo farò, scende e discende
dal sangue di Ruggiero. Abbraccia o figlia
Sposalo; il genitor te lo consiglia.
Già che il padre sì brama, ecco ti porgo...
Ah indegno traditor, scostati o ch’io
Ohimè! Che robba è questa?
Che pretendi da me? Anima vile,
se palladin tu sei, su stammi a fronte;
son amazone anch’io. Di questa spada
tu tremi al lampeggiar? Vienni al cimento,
pugna meco codardo e in tal conflitto
da questa man pur caderai trafitto.
d’esser cavalleressa, animo e core,
brava figliola, imita il genitore.
Un mostro fier tu sei ch’un’infelice
a morte sì crudel, tiranno, esponi;
prova tu ancor le mie furie...
Son tutta foco e sdegno; il mio furore
la mia casa de’ pazzi è un ospitale.
Non ravviso raggion; tutti nemici
siete del viver mio, di mia quiete,
tutti rei del mio mal, tiranni siete.
Ah signor palladino il matrimonio
va male assai, vi son de’ grandi imbrogli.
Ma quando t’avrò fatto cavaliere
che per forza colei t’ha da sposare. (Parte)
Berenice crudel comprendo i tuoi
m’avveggo, errai. Ed or di sdegno acceso
tant’odiarla vogl’io quanto l’amai.
Giungi opportun mio sospirato bene.
fatte a me da Lisetta, oggi la sorte
Fidata all’autorevol personaggio
rappresentar col genitor qui deve...
e qual sarà mai suo dissegno?
costringerà, farà ch’a te mi dia.
Secondi amor ciò che il mio cor desia.
ch’il padron non chiamasse.
Ma per gioir fra breve idolo mio.
suo maligno tenor. Ma sento, o dei!
avvalorato il core e par che dica:
«Spera che dopo lungo e rio tormento
s’avvicina più grato il bel contento».
Ah ah mi vien da ridere; sembriamo
due neri cattafalchi, anima mia.
sarem di gravità; che bella cosa,
passa il notaro ed il governatore.
Voi state con li scherzi e qua si tratta
del mio interesse e vostro.
venirà da dottore, com’ha detto
Io parlerò lattin. Che vo’ conoscere?
Or ben sentiste che tutto bisogna
secondar quel ch’io dico, acciò più meglio
l’amico ci dia credito e se pure
disponessi di voi, di vostra figlia,
tutto approvar dovete in conclusione,
che tutt’altro non è che finzione.
Faccia lei, io sarò suo sostituto,
Viene l’amico allegramente.
Olà tacete domine doctoribus
che qui attento ci sta il governatoribus.
faccio scritturas, intimationes,
sequestros, providentia et mandatos
aliasque cosas et come se chiamas,
Habetis vos bisognum de qualcosas?
vui el governador sier scarafon.
O bon bon, al signor governador
bel e giocond faz con osequi un gran
Viene domani; annamosi notaro.
quia cadunt crepuscoli et potebimus
acchiapare cattarum, servitoribus.
Che te venga lo cancaro, fa’ priesto.
do lid au propon e tutte do
de prossimo a dir mal perché buscabis.
è del messir Flamini che querelam
adducit contra lu, ch’avendol sponte
Bereniz so fiola a lu promessa
«Promissio boni viri est obligatio»
Vot taser col diavol pastucchion?
ch’Angelica a s’ chiama ed al so spos
Di’, chi l’ave portata in casa soia?
a te dagh sto caplin int’el mustas.
nella faccia ti getto calamarum.
lo castigo ben io faragio dare
ch’al sipa castigà e lu e la donna.
l’orizene del mal; li è una sfazad,
una furbaz com tant’e tant’alter
Ah sta’ zitto busciardone,
che ne possa dir ben? Plini, Platon,
Seneca, Zizeron, Stazi, Aristotil,
Democrit ed Ovidi e tant’e tant
ne digon mal, perfin la lezze lata.
Appilla su, linguaccia malorata,
tu contro vuoie parlar de no sesso
ch’è stato ed è la gloria dello munno,
ch’è mare di dolcezza senza funno.
No chiù replich, fuss’acciso. Apila
e no me sta chiù a nzallanì, me ntienne?
Ta’ impalma sì Flaminio a Berenice.
con un laccio immortal d’entrambi il cuore.
Angelica sarà di don Ferrante.
Se don Ferrante n’ha il possesso...
di finger più; sentite don Ferrante,
per far che di Flaminio e Berenice
Or che avuto ho l’intento, io mi dichiaro
che Lisetta mi chiamo e moglie sono
di Pasquariello e se qualche trasporto
amoroso, ma onesto, ho a voi mostrato,
l’ho fatto sol per castigar un poco
la gelosia di mio marito ed ecco,
che costui ha di me solo il possesso.
Mi vien da pianger per la tenerezza.
Oh consorte onorata! Oh sciagurato
che sono stato io! Mando ora al diavolo
già conosco esser questa una pazzia.
Me la ficaste, è ver, ma vi ringrazio,
il fato sia ben fatto e questi imbrogli
mi daranno materia esorbitante
e far pazzie, come il mio caro Orlando.
ne resterà com’io a denti asciutti.
e dell’altrui gioir godo con tutti.
Viva Lisetta; ed io dirò col testo:
«E qui fo fin, ritorni un’altra volta
chi volentier la bell’istoria ascolta».