nostra patria è il mondo intero;
e fondato è il nostro impero
A ingrassare i giorni magri
senza un poco d’impostura
Il legista, il galenista,
il soldato, l’uom di stato
suol vantare in quel che fa
E il bel sesso malcontento
si dà il barbaro tormento
nostra patria è il mondo intero
e fondato è il nostro impero
Me n’andrò; ma... mi perdoni,
se il padron non lo consente...
Ella ha tutte le ragioni;
non mi vuo’ sacrificar. (Parte)
No signor, non v’inquietate, (Pancrazio s’impazienta)
Vo a incontrarla. Ad affrettarla.
Giusto ciel! Non vi adirate,
Carolina arriverà. (Parte)
V’amo più che non credete;
ma pavento, sudo e tremo.
Parleremo... Ci vedremo...
Qualchedun mi par sentir...
Quante cose avrei da dir!
e minaccia e mi spaventa...
Quante cose avrei da dir!
È una pena da morir. (Parte)
la mia destra ed il mio cor.
Son amante... ma costante
Sommi dei che giusti siete
consolate il fido amor. (Tutti tre si tengono per la mano)
voi parlaste alla Sandrina
e d’accordo è con Lindoro,
Van d’accordo fra di loro.
Brava, brava... Ma conosco
Si prevenga l’incostanza.
Presto... carta e calamaio.
Chi è di là? Venga il notaio. (Esce un servo e parte subito)
Ah signore, e mia sorella?... (A Pancrazio)
Non t’ascolto, pazzarella.
Aspettarla è conveniente... (A Pancrazio)
Il balordo fa il saccente.
Moderate un tal rigor. (A Pancrazio)
Fato! Sorte! Cielo! Amor!
Son notaio e son dottor. (Perillo e Pancrazio seduti; l’uno detta piano, l’altro scrive)
Ah Perillo, qual consiglio!
Evidente è il suo periglio. (Fra di loro e sottovoce)
Qualche mal gli arriverà.
Porrò a mano il talismano (Da sé in disparte)
Qual consiglio! Qual periglio!
Qualche mal gli arriverà. (Fra di loro e sottovoce)
Cuore ingrato, ben ti sta.
Guardie, guardie, disgraziato!
sei nei lacci capitato...
Guardie, guardie, eccole là.
Guardie, guardie. Eccole là. (A suono di tamburo, vedesi entrare la guardia di granatieri. Carolina in virtù del talismano ha preso l’abito e la figura del sargente della guardia)
Alto, alto. (Ai soldati) Comandate. (A Pancrazio)
Per pietà, per compassion.
(Ah Sandrina sventurata!)
Voglio andare. Oh ciel! Che pena!
Non ho fiato. Non ho lena;
Oh che sforzi! Affaticata
Tu mi beffi? Tu sberleffi?
cor ingrato, aspetta, aspetta,
tu mi provochi a vendetta
e vendetta si farà. (Parte)
Quando in seno il cor mi balza
pien di speme e pien di zel
veggio un’onda che m’innalza
Quando amore mi conquassa
ed il mele cangia in fiel,
veggio l’onda che m’abbassa,
che m’affonda in mar crudel.
sta aspettando il cor fedel
da una stella men rubella
dissipato il fosco vel. (Parte)
A te tocca aprir la bocca,
il tuo stato, buono o ingrato,
O un cappotto o una sposina,
o Sandrina o il tapatà. (Parte. Imita il suono del tamburo)
Non intendo, non comprendo
s’è una pena, s’è un martiro;
ma piuttosto ch’un ritiro...
non so dir che non farei.
Sì piuttosto me n’andrei...
a cercar la carità. (Parte)
Non ho più quel primo fiore
ma mi sento il mio vigore
Se mi guardo nello specchio
non s’accorge d’esser vecchio
l’allegria vuo’ coltivar.
Se si canta, se si balla,
vuo’ cantare e vuo’ ballar. (Accompagna il canto con qualche movimento di danza e parte)
Ecco qui distintamente, (Ai servi facendo vedere i fogli)
questo al tale, questo al tale.
la mia figlia può arrivar).
Questo foglio all’avvocato... (Ai servi)
Questo qui al procuratore...
se la figlia puoi trovar!
E quest’altro... (Carolina
M’incomincio ad imbrogliar.
Questo foglio non è quello...
Il cervello non è a segno;
fra la gioia e fra lo sdegno
non so più quel che ho da far.
Torneremo a cominciar. (Parte coi servi)
Quel soave e dolce aspetto
tutto esige il mio rispetto
ma sapete, m’intendete...
Prende l’uom che mal discerne
lucciolette per lanterne.
quel che in me nasconde amor.
Quest’è un scherzo, quest’è un gioco.
Arde il cor, verace è il foco.
Giusto cielo! Squarcia il velo.
Non intendo, non comprendo...
Non temete, a me credete.
e il suo cor sarà contento
Mi consolo ch’or vi sento
Voglia amore, voglia il fato
Qual piacere! Qual contento,
se si approssima il momento
della mia felicità. (Partono per vie separate)
Che Lindoro qui si renda,
ch’egli senta e si difenda. (Entrano Lindoro e Sandrina)
Vengo ardito al tribunale
ma ragion che può, che vale
contro il zio, contro il tutor?
Mi si accordi un difensor.
Hai studiato il ius civile,
La tua causa è così chiara
che puoi farti dell’onor. (Con ironia)
in voi spera il protettor. (A Pancrazio)
Che fai qui? Non sei chiamata.
ed è giusto il mio timor.
e domando un difensor. (Carolina entra in abito e figura d’avvocato con foglio in mano)
ben istrutto e preparato,
pien di zelo e di fervor.
Qual arrivo inopinato? (Da sé)
Tu l’avevi preparato. (A Lindoro)
Prestantissimo congresso,
ecco il fatto coll’estratto
Lo presento al tribunal. (Dà vari fogli ad un servitore, il quale li distribuisce a tutto il congresso. Tutti osservano e leggono)
Sia permesso che al congresso
dica un cenno in prevenzione
son concisi e sono chiari;
Gran bravura, gran talento!
che si legga il testamento
Un tal astio, un tal ardire
concepire, oh dio, non so. (Fra di loro)
non temer, ti salverò. (Da sé. In questo tempo i legisti aprono i fogli e leggono piano)
ora è tempo d’operar. (Fra di loro)
Parla chiaro il testamento;
non ha molto da sperar. (Le carte prendono fuoco nelle mani de’ legisti, quali si spaventano e le gettano a terra)
Fuoco, fuoco, cos’è questo!
Quest’è un segno manifesto
che ha prodotto, che ha lasciato,
Oh che fogli indemoniati.
ch’è soave, ch’è prezioso
scaccierà quel tristo odor.
Grazie, grazie del favor.
Ritorniamo all’argomento.
Ritorniamo al testamento;
ascoltate... Eccì, eccì. (Sternuta)
Viva, viva. Eccì, eccì. (Sternutano)
Buon tabacco. Eccì, eccì. (Sternutano)
Ecco qui del testator (Sternuta ed è affaticato)
Ah vedete... Eccì, eccì. (A Pancrazio sternutando)
Comprendete... Eccì, eccì. (Lo stesso)
il mio petto... eccì, eccì,
mi si spezza, eccì, eccì. (I leggisti si levano)
La session per ora è sciolta,
torneremo un’altra volta.
Deh restate... Eccì, eccì.
Foco. Fumo. E que’ sternuti!
Temo. Tremo. Il ciel m’aiuti.
Qualcun sento dirmi al cor:
«Del tuo mal tu sei l’autor».
Se non siamo più costanti,
siamo ingrate, siam crudeli;
Ah mancar mi sento il core.
Non resisto al mio dolore.
di due cuori appassionati
senta il vostro almen pietà.
Ah s’accresce il mio tormento,
più d’ogni altro provo e sento
No, per noi non v’è pietà.
Ah decisa è la mia sorte,
veggio l’ombra della morte.
Ah qual pena! Qual orror!
Qual affanno! Qual terror!
con quell’arco dispietato
no, non fate, pazientate,
ch’egli sol può consolar.
che sperar potrà il mio core
che il rigore sia scordato
Che lo sdegno, che il rigor
ceda il loco al dio d’amor.
Ma che importa, domattina
troverò qualche mostaccio...
qualche straccio d’amator.
Che lo sdegno, che il rigor
ceda il loco al dio d’amor.
e non soffre alcun rifiuto
Se la stima... Se il rispetto...
Se l’amor... L’inclinazione... (Imitando Sandrina con caricatura)
Non conosco altra ragione
Voglio e posso quel che voglio,
quel che voglio il voglio, il posso,
son più fermo d’uno scoglio
che fra l’onde immobil sta. (Parte)
Ecco pronta a voi davante
più nascose ella comprende,
per scoprire, per predire
tutto quel che dee venire
Fra gli abissi e per le sfere
a squarciar l’oscuro velo
vola a un tratto e in un momento
quante stelle son nel cielo,
quante arene son nel mar.
Dite un poco in confidenza
Per l’appunto dite il ver.
Come! Dite; il vostro alunno,
Fiordaliso, il sostituto,
Flemma; piano; adagio un poco.
manu propria attesto e giuro
che non so né meno il nome,
che ne ignoro il quando, il come
No; non scherzo. Olà! Chi sei?
Sei birbante ed assassino,
Il tuo ardir t’ha qui introdotto
certo a togliermi il prodotto
benché scarso del meschino
Ah bugiardo ed arrogante,
son dottor, non impostore;
quel che vaglio hai da vedere,
or men vado a ricercare...
Tu di qui non hai d’andare.
Quest’affronto, questo torto
giuro al ciel io non sopporto.
Qui non serve far rumore.
Qui non giova far schiamazzo.
Son dottor, son di palazzo
e non soffro un disonore.
se il tuo nome, il tuo cognome
se un notaio, se un legale
Parla dunque, di’, chi sei?
Ah cospetto dico a lei... (Perillo battesi il petto e gli cade il naso posticcio)
Che! Tu qui ne’ tetti miei;
gente, birri, guardie, olà.
Al soccorso, presto, presto.
E un bandito, un fuoruscito
ebbe ardir qui porre il piè?
Tu l’avrai da far con me.
fui scacciato ed esiliato
la pietà vi parli al cor.
No, birbante, refrattario
degli editti irrefrangibili
no, fra i casi contingibili,
Già t’attende, già t’aspetta
la giustizia, la vendetta
e d’un giudice oltraggiato
tutta tutta hai da provare
Guardie... Guardie... Eccole qua. (Carolina in abito da sargente con guardia di granatieri)
Per pietà, per compassion!
Per pietà, per compassion.
Non mi move il suo dolore,
s’abbandoni alla sua sorte.
a’ suoi pari il traditor.
Ah mi trema in seno il core,
sono incerto di sua sorte
e fra mille idee d’orrore
va crescendo il mio dolor.
Cosa ha fatto finalmente?
Un birbante, un impostore
Ah Giannina rammentate. (A Giannina)
Più non penso al traditor. (A Sandrina)
Ah per lui voi perorate. (Al notaio)
No; m’ha offeso nell’onor. (A Lindoro)
Lo scusate? Il difendete?
Creppi, schiatti l’impostore
dato in preda al suo malanno,
che al suo pianto, al suo dolore
Oh che gusto, che diletto
quel vecchiaccio maledetto
della truppa il primo onor;
non v’ha zingana o indovina
che pareggi il suo valor.
ma colei che il tiene in mano
della truppa il primo onor.
Sfoghi ognuno in questo giorno
l’allegrezza che ha nel petto;
schiatti il vecchio maledetto
per dispetto e per dolor.
della truppa il primo onor,
non v’ha zingana o indovina
che pareggi il suo valor.
ma risponde in petto il core:
«Ferma, aspetta; non lo far».
ma non m’ode, non risponde.
impazzire e delirar. (Parte)
Di quest’antro fra l’orrore
mi trasporta il mio dolore
volgo incerto il guardo e ’l piè.
Io la chiedo all’aure, all’onde
«Tu la brami e l’hai vicina,
Carolina è ognor con te».
Fra l’orror di quelle piante
io sfogava i miei lamenti
e s’udiva i mesti accenti
Chiamo allora il mio tesoro;
Voglio andar... Oh dio! Che pena!
Non ho fiato, non ho lena,
oh che sforzi! Affaticata
Piango, grido e più m’affanno
e il mio duol è sì tiranno
ch’io mi sento già mancar;
ma furbetto in quell’istante
Ah Perillo, e perché, oh dio!
mi venisti a risvegliar? (Parte)
Pien di sdegno e di furore
mi vedrà fra cento schiere
Ho deciso. Io son soldato
vo i miei torti a vendicar.
forti adesso al gran cimento
fin là dentro s’ha da andar.
Ah Sandrina, e che ti par?
Non è grande il mio valore?
Volo... Ah no... Mi trema il core
per andarmene alla guerra
quanto fumo! Quanto foco!
Oh che strepito! Oh che chiasso.
Oh che strage! Che sconquasso;
oh che pianto! Oh che terror!
per noi certa è la vittoria;
odi il suono delle trombe; (A Sandrina)
viva, viva il vincitor. (Parte)
Non ho più quel primo fiore
ma mi sento il mio vigore
Nella specchio se mi guardo
Lo conosco a più d’un sguardo
che ancor posso innamorar.
che pretende questo cuor.
Ma il mio cuor, la fede mia
al mio primo e solo amor. (Parte)
Non conviciis, in iudiciis
pendet causa et victoria.
Questo pure anch’io lo so
Un tal astio, un tal ardire
concepire oh dio non so. (Fra loro)
non temer; ti salverò. (Da sé)
Arte, ingegno in sua difesa
Parla chiaro il testamento,
non ha molto da sperar. (Le carte prendono fuoco nelle mani de’ legisti, quali si spaventano e le gettano a terra)
Fuoco, fuoco, cos’è questo?
Questo è un segno manifesto
che si possa giudicar. (Partono)
che ha prodotto, che ha lasciato,
oh che fogli indemoniati!
Noi restar qui non vogliamo,
dell’incendio paventiamo;
la session per ora è sciolta;
torneremo un’altra volta,
torneremo un’altra volta,
torneremo un altro dì. (I legisti partono confusamente seguitati da Pancrazio e Giannina che cercano di arrestarli)
Ah mio ben, mio bel tesoro
dal piacer mancar mi sento.
Ah Lindoro in tal momento
tutto gioia è questo cor.
se d’un padre e d’un amico
Io già sono in braccio a morte.
Son stordito, son confuso.
Il buon vecchio fu deluso.
Che rimbombo, che rumore,
ah mi trema in seno il core,
non v’è scampo; io son perduto,
Cresce ognor la confusione,
che disordin, che scompiglio!
Ah si salvi in tal periglio
or mi brilla il cuor nel seno,
Carolina è il dolce oggetto
del piacer di questo cor.
dell’affetto mio costante
ricompensa il dio d’amor.
Ma alfin passa ogni tormento
se per guida ha l’onestà.