Il filosofo di campagna, Mannheim, Stamperia Elettorale, [1771]

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA, con un ramo di gelsomini. LESBINA, con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori;
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza;
 s’abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più,
 che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfuggir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah, che sotto d’un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore!
 Troppo, troppo nemico ho il genitore!
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborrisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
 Non così parlereste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
30Lesbina... Ohimè!...
 LESBINA
                                       V’ho fatto venir caldo?
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio!
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso.
 EUGENIA
35Cara, di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
 Meglio sola che male accompagnata.
40Così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    A te mi fido, o cara,
 consiglia il genitore.
 Non sarò teco avara.
45Sai ch’ho piagato il core;
 non mi negar pietà.
 
    Oh dio! S’ei non t’ascolta,
 io moro questa volta.
 L’affanno mio tiranno,
50il duol m’ucciderà. (Parte)
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco.
 DON TRITEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
55raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco. Alla signora
 pensar, caro padrone,
60dovreste.
 DON TRITEMIO
                    Ho a lei pensato;
 sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
 Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
 Di quella tenerina
 erbetta cittadina
65la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
 Eh la prudenza insegna
 che ogni erba si contenti
 d’aver qualche governo,
 purch’esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
70Io mi contentarei,
 pria di vederla così mal troncata,
 per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
 Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
75la bella canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
    Son fresca e son bella
 cicoria novella;
 mangiatemi presto,
80coglietemi su.
 
    Se resto nel prato
 radicchio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
85Ah furbetta, furbetta!
 Tu sei la cicorietta che sul prato
 invecchiar non vorria. Ma pria d’Eugenia
 liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà. Ricco, riccone,
90un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
 (Ecco della mia bella
 il genitor felice). (Da sé in disparte)
 DON TRITEMIO
 Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato
95e da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
 RINALDO
 (Sorte, non mi tradir). Signor...
 DON TRITEMIO
                                                            Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,
 le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
100Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare;
 son cavaliere e sono i beni miei
 vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ell’ha una figlia?
 DON TRITEMIO
                                  Sì signor.
 RINALDO
                                                      Dirò...
105Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma!... Mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                                   Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor?...
 DON TRITEMIO
                                     Dunque, signor mio caro,
 per venir alle corte, io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
110Ahi mi sento morir!
 DON TRITEMIO
                                        Per cortesia,
 non venite a morire in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza?
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe un’increanza.
 RINALDO
115Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
 le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
120Ma la ragione almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                   Sì, volentieri.
 
    La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta;
125la figlia mi chiedeste
 e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui;
 non posso dir di sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
130   Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò;
 rispondo: «Signor no,
 perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
135la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
140ch’io debb’andar villanamente inulto.
 O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Taci, amor, nel seno mio,
145finché parla il giusto sdegno;
 o prendete ambi l’impegno
 i miei torti a vendicar.
 
    Fido amante, è ver, son io,
 ogni duol soffrir saprei;
150ma il mio ben non soffrirei
 con viltate abbandonar. (Parte)
 
 SCENA V
 
 Casa rustica in campagna.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
155   Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
 a potare, a seminare,
 e dappoi si mangerà;
160del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
165Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo e il tritavolo;
 e fur sudditi lor la zucca e il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
170Se il padre ha accumulato
 con fatiga, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
175sono gli uomini ognor sempre gl’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LA LENA ed il suddetto
 
 LA LENA
 Eccolo qui. La vanga
180è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se foste un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
 avete dei poderi e dei contanti;
 la fatiga lasciate ai lavoranti.
 NARDO
185Cara nipote mia,
 più tosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
 Colla rocca e col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
190voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto (Accenna un villano)
 comparisca un marito. Eccolo qui.
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo; io ve lo do.
195Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affamato con parrucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
200Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
 strapazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LA LENA
205Io non voglio un signor né un contadino;
 mi basta un cittadino.
 NARDO
 Per lo più i cittadini
 hanno pochi quattrini e troppe voglie,
 e non usano molto amar la moglie.
 LA LENA
210Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
 della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
215perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta.
220Oggi la vederò.
 LA LENA
                               Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà?
 NARDO
                                 Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LA LENA
 Ammogliatevi presto, signor zio.
225Ma voglio poscia maritarmi anch’io. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
 ma la vuo’ maritar da contadina.
230Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino; il cittadino
235cerca nobilitarsi;
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto;
240ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
    Vedo quell’albero
 che ha un pero grosso;
 pigliar nol posso,
 si sbalzi in su.
 
245   Ma fatto il salto,
 salito in alto,
 vedo un perone
 grosso assai più.
 
    Prender lo bramo,
250m’alzo sul ramo,
 vado più in su.
 Ma poi precipito
 col capo in giù. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Deh se mi amate, o caro,
255ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
 Del vostro genitore
 il soverchio rigor vi vuole oppressa.
 Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
260non sarò d’altri, se di voi non sono.
 RINALDO
 Gradisco il vostro cor ma della mano
 il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Ohimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora. È giunto (Ad Eugenia)
265adesso, in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
 il bellissimo Nardo; e il padre vostro
 ha detto, ha comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
270se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia;
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate.
275A me condur lasciate la faccenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì; questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
280Voi di qua, voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA X
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Ecco il ricco villano.
 Ora son nell’impegno;
 tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
285Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora ci son io.
 NARDO
 Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
 Potete in questo loco
290aspettar, se v’aggrada.
 NARDO
                                           Aspettarò.
 Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so. (Affettando modestia)
 NARDO
 Sareste per ventura
 la figliuola di lui, venuta qui?...
 LESBINA
 Potria darsi di sì.
 NARDO
295Alla ciera mi par...
 LESBINA
                                     Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete davver.
 LESBINA
                                     Vostra bontà.
 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Né ve lo dice il core?
 LESBINA
 Il cor d’una fanciulla,
300se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
 Eh furbetta, furbetta; voi mi avete
 conosciuto a drittura.
 Delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
 Siete forse?
 NARDO
                         Via, chi?
 LESBINA
                                            Nardino bello?
 NARDO
305Sì, carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
 Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
 Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
310Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
 ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia.
 Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
 (Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
315(Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Compatite, signor, s’io non so.
 Son così, non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor
 che col labbro spiegar non si può.
 
320   Miratemi qua,
 saprete cos’è.
 Voltatevi in là,
 lontano da me.
 
    Vuo’ partire, mi sento languire.
325Ah!... Col tempo spiegarmi saprò. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 NARDO e poi DON TRITEMIO
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
 che la natura in lei parla innocente.
 Finger anche potrebbe, è ver purtroppo;
 ma è un cattivo animale
330quel che senza ragion sospetta male.
 DON TRITEMIO
 Messer Nardo da bene,
 compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio.
 Vi saluto di core.
 NARDO
                                  Ed io vi abbraccio.
 DON TRITEMIO
335Or verrà la figliuola.
 NARDO
                                        È già venuta.
 DON TRITEMIO
 La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì, l’ho già veduta.
 DON TRITEMIO
 Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 DON TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 DON TRITEMIO
 Disse niente? Parlò?
 NARDO
                                        Mi disse tanto
340che sperare mi fa d’esser amato.
 DON TRITEMIO
 È vero?
 NARDO
                  È ver.
 DON TRITEMIO
                                (Oh ciel sia ringraziato!) (Da sé)
 Ma perché se n’andò?
 NARDO
                                           Perché bel bello
 amor col suo martello
 il cor le inteneriva
345e ne aveva rossore.
 DON TRITEMIO
                                     E viva, e viva.
 Eugenia, dove sei? Facciamo presto;
 concludiamo l’affar.
 NARDO
                                       Per me, son lesto.
 DON TRITEMIO
 Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 
 SCENA XII
 
 LA LENA e detti, poi LESBINA
 
 NARDO
 Che volete voi qui? (Alla Lena)
 LA LENA
                                       Con sua licenza,
350alla sposa vorrei far riverenza.
 DON TRITEMIO
 Ora la chiamerò.
 NARDO
 Concludiamo le nozze.
 DON TRITEMIO
                                           Io presto fo. (Parte)
 LA LENA
 Signor zio, com’è bella?
 NARDO
 La vedrai. È una stella.
 LA LENA
355È galante, è graziosa?
 NARDO
 È galante, è gentile ed è amorosa.
 LA LENA
 Vi vorrà ben?
 NARDO
                            Si vede
 da un certo non so che
 che l’ha la madre sua fatta per me.
360Appena ci siam visti,
 un incognito amor di simpatia
 ha messo i nostri cori in allegria.
 
    Son pien di giubilo,
 ridente ho l’animo,
365nel sen mi palpita
 brillante il cor.
 
 LA LENA
 
    Il vostro giubilo
 nelle mie viscere
 risveglia ed agita
370novello ardor.
 
 LESBINA
 
    Sposino amabile, (Esce da una camera)
 per voi son misera;
 mi sento mordere
 dal dio d’amor.
 
 NARDO
 
375   Vieni al mio seno,
 sposina mia.
 
 LA LENA
 
 Signora zia,
 a voi m’inchino.
 
 A TRE
 
 Dolce destino!
380Felice amor!
 
 LESBINA
 
    Parto, parto; il genitore...
 
 NARDO
 
 Perché partir?
 
 LESBINA
 
                              Il mio rossore
 non mi lascia restar qui. (Entra nella camera di dove è venuta)
 
 NARDO
 
    Vergognosetta
385la poveretta
 se ne fuggì.
 
 LA LENA
 
    Se fossi in lei,
 non fuggirei
 chi mi ferì.
 
 DON TRITEMIO
 
390   La ricerco e non la trovo.
 Oh che smania in seno io provo!
 Dove diavolo sarà?
 
 NARDO E LA LENA
 
 Ah ah ah! (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
    L’ho cercata su e giù;
395l’ho cercata qua e là.
 
 NARDO E LA LENA
 
 Ah ah ah! (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete? Come va?
 
 NARDO
 
 Fin adesso è stata qua.
 
 DON TRITEMIO
 
 Dov’è andata?
 
 LA LENA
 
                             È andata là. (Accenna dov’è entrata)
 
 DON TRITEMIO
 
400Quando è là, la troverò
 e con me la condurrò. (Entra in quella camera)
 
 NARDO
 
    Superar il genitore
 potrà ben il suo rossore.
 
 LA LENA
 
 Non è tanto vergognoso
405il suo core collo sposo.
 
 A DUE
 
 Si confonde nel suo petto
 il rispetto coll’amor.
 
 LESBINA
 
    Presto, presto, sposo bello,
 via porgetemi l’anello,
410che la sposa allor sarò.
 
 LA LENA
 
 Questa cosa far si può.
 
 NARDO
 
 Ecco, ecco; ve lo do. (Le dà un anello)
 
 LESBINA
 
    Torna il padre! Vado via.
 
 NARDO
 
 Ma perché tal ritrosia?
 
 LESBINA
 
415Il motivo non lo so.
 
 LA LENA
 
 Dallo sposo non fuggite.
 
 LESBINA
 
 Compatite, tornerò. (Torna nella camera di prima)
 
 NARDO E LA LENA
 
    Caso raro, caso bello!
 Una sposa coll’anello
420ha rossor del genitor!
 
 DON TRITEMIO
 
    Non la trovo.
 
 NARDO E LA LENA
 
                              Ah ah ah! (Ridendo)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete?
 
 NARDO E LA LENA
 
                        È stata qua.
 
 LA LENA
 
 Collo sposo ha favellato.
 
 NARDO
 
 E l’anello già le ho dato.
 
 DON TRITEMIO
 
425Alla figlia?...
 
 NARDO E LA LENA
 
                          Signorsì.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla sposa?...
 
 NARDO E LA LENA
 
                           Messersì.
 
 DON TRITEMIO
 
    Quel ch’è fatto fatto sia.
 
 A TRE
 
 Stiamo dunque in allegria,
 che la sposa vergognosa
430alla fin si cangerà;
 e l’amore nel suo core
 con piacer trionferà.
 
 Fine dell’atto primo