Il filosofo di campagna, Barcellona, Generas, 1770

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA e LESBINA
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza,
 s’abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più.
 Che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfugir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah! Che sotto d’un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore;
 troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cuor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte,
 l’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlareste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Oimè...
 LESBINA
                                   V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile,
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
40si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta!
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io v’offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da comprometter molto;
 e posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara, di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno.
 Se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata.
 Cosa volete dir? Sì sì v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo. (Parte)
 
 SCENA II
 
 LESBINA e poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco,
55questa anch’io la capisco,
 insegna la prudenza,
 se non s’ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITEMIO
 Che si fa signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
60raccogliere volea per disinare.
 DON TRITEMIO
 Poco fa ti sentii canterellare.
 LESBINA
 È ver; colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
65canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Eh no, signore.
 Di questo e quel fiore,
 di questo e quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
70Qualche strofetta canterò a proposito.
 DON TRITEMIO
 Ah ragazza... Farei uno sproposito.
 LESBINA
 Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovane
75son fresco e bello,
 son tenerello,
 di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio,
 gettato io sono,
80non son più buono
 col pizicor.
 
 DON TRITEMIO
 Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca, son bella
85cicoria novella,
 mangiatemi presto,
 coglietemi su.
 
    Se resto sul prato,
 radicchio invecchiato,
90nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
 Senti, ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
95cicorietta novella,
 prima che ad invecchiarti venga il fato,
 esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora.
 Dovreste alla signora
100pensar, caro padrone.
 Or ch’è buona stagione,
 or ch’è frutto maturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato.
105Sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
 Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
 Di quella tenerina
 erbetta citadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
110Eh la prudenza insegna
 che ogni erba si contenti
 d’aver qualche governo,
 pur che esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
115pria di vederla così mal troncata,
 per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
 Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh, sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
120sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
 vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello
 e vo’ star nel prato ancor.
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO, poi RINALDO
 
 TRITEMIO
125Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
 Ma pure io mi lusingo
 che a forza di finezze
 tutto supererò;
130e col tempo con lei tutto farò.
 Per or d’Eugenia mia
 liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sappientone.
 RINALDO
135(Ecco della mia bella
 il genitor felice).
 TRITEMIO
 Per la villa si dice
 che Nardo ha un buon stato
 e da tutti filosofo è chiamato.
 RINALDO
140(Sorte non mi tradir). Signor... (A don Tritemio)
 TRITEMIO
                                                            Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permetesse,
 le direi due parole.
 TRITEMIO
 Anche quatro n’ascolto e più se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
145Di me si può informare;
 son cavaliere e sono i beni miei
 vicini a’ suoi.
 TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ella ha una figlia.
 TRITEMIO
                                   Sì signor.
 RINALDO
                                                       Dirò...
 Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
150Ma mi sprona l’amore.
 TRITEMIO
                                            Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor...
 TRITEMIO
                                   Dunque, signor mio caro,
 per venire alle corte, vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ahi mi sento morir.
 TRITEMIO
                                       Per cortesia,
155non venite a morire in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza?
 TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe un’increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  Di beni
160ricco son quanto voi.
 TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
 le parentele mie vi mostrerò.
 TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Ch’io speri?
 TRITEMIO
                                                  Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
165dite perché nemmen si vuol ch’io speri.
 TRITEMIO
 La raggion?
 RINALDO
                         Vo’ saper.
 TRITEMIO
                                              Sì volentieri.
 
    La mia raggione è questa,
 mi par ragione onesta,
 la figlia mi chiedeste
170e la ragion vorreste;
 la mia ragion sta qui;
 non posso dir di sì,
 perché vo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancor
175un’altra ne dirò.
 Rispondo: «Signor no,
 perché la vo’ così»;
 e son padron di dirlo,
 la mia ragion sta qui.
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
180Sciocca ragione, indegna,
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debba andar villanamente inulto,
185Eugenia sarà mia
 o tu padre inumano
 ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Se penso qual sia
 la fiera mia sorte,
190le smanie di morte
 mi sento nel sen.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga, acompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
195   Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto, a lavorare,
 a portare, a seminare,
 e dipoi si mangerà;
200del buon vin si beverà;
 ed allegri si starà.
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scetro e questi campi il regno.
205Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo ed il trisavolo
 e fur sudditi lor la zucca e il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
210Se il padre ha accumulato
 con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppresi,
215son gli uomini tra noi sempre gl’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e de’ teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe e aratri.
 
 SCENA VI
 
 LENA e detto
 
 LENA
 (Eccolo qui! La vanga
220è tutto il suo diletto).
 Se foste un poveretto
 compatirvi saprei ma siete ricco.
 Avete dei poderi e de’ contanti.
 La fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
225Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio a manegiar la rocca.
 LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
230voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri; presto,
 comparisca un marito; eccolo qui, (Vien un villano)
 vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo, io ve lo do.
235Lo volete? Vi piace?
 LENA
                                       Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affamato con parrucca e spada.
 Vedi, ride Mengone e ti corbella. (Al villano che parte ridendo)
240Povera vanarella!
 Tu sposaresti un conte ed un marchese,
 perché in meno d’un mese,
 strapazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LENA
245Io non voglio un signor né un contadino,
 mi basta un cittadino
 che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LENA
                                               Ch’abbia un’entrata
 quale a mediocre stato conviene,
 che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
250Lena, pretendi assai,
 se lo brami così, nol troverai.
 Per lo più i cittadini
 hanno pochi quatrini e troppe voglie
 e non usano molto amar la moglie.
255Per pratica comune
 nelle cittadi usata,
 è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LENA
 Il signor don Tritemio
 è cittadino e pure
260così non usa.
 NARDO
                           È vero,
 ma in villa se ne sta.
 Perché nella città vede il pericolo
 di esser vizioso e diventar ridicolo.
 LENA
 Della figliola sua
265v’han proposto le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace.
 Con patto che non sia
 gonfia di vento, piena di albagia.
 LENA
270L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta
 ed oggi la vedrò.
 LENA
                                 Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne,
275sono le donne poi tutte compagne.
 LENA
 Amogliatevi presto, signor zio,
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
 abbiate carità,
280io sono una orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio,
 vedete, caro zio,
 ch’io cresco nell’età.
 
285   La vostra nipotina
 vorrebbe... poverina...
 Sappiate... M’intendete...
 Movetevi a pietà.
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
290che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina
 ma la vo’ maritar da contadina.
 Ecco, il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
295e lo stato cambiar ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino.
 Il cittadin cerca nobilitarsi.
 Ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
300D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta,
 alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
    Vedo quell’albero
305che ha un pero grosso,
 pigliar nol posso,
 si balza in su.
 
    Ma fatto il salto,
 salito in alto,
310vedo un perone
 grosso assai più.
 
    Prender lo bramo,
 m’alzo sul ramo,
 vado più su.
315Ma poi precipito
 col capo in giù.
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Deh se mi amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
320Del vostro genitore
 il soverchio rigor vi vuole oppressa;
 deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                               Ai numi il giuro,
 non sarò d’altri, se di voi non sono.
 Ah se il mio cor vi dono,
325per or vi basti e non vogliate, ingrato,
 render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
 Gradisco il vostro cor ma della mano
 il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Oimè, chi viene?
 RINALDO
 Non temete, è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
330V’è chi cerca di voi, signora mia.
 EUGENIA
 Il genitore!
 LESBINA
                        Oibò. Sta il mio padrone
 col suo fattor contando dei denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo,
335voi pur siete curioso.
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
 Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
340il bellissimo Nardo; e il padre vostro
 ha detto e comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
 se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
345di tradir chi vi adora?
 EUGENIA
                                           È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia!
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate.
 A me condur lasciate la facenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
350Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme
 ma non andate a ritirarvi assieme.
 Voi di qua, voi di là, così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA X
 
 LESBINA e poi NARDO
 
 LESBINA
355Capperi! S’attacava
 prestamente al partito;
 troppo presto volea far da marito.
 Ecco il ricco villano.
 Ora son ne l’impegno.
360Tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora vi son io.
 NARDO
 Buondì a vosignoria.
 LESBINA
                                         Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
365Potrete in questo loco
 aspettar chi v’aggrada.
 NARDO
                                            Aspetterò.
 Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so.
 NARDO
 Sareste per ventura
 la figliola di lui venuta qui?
 LESBINA
370Potria darsi di sì.
 NARDO
 Alla cera mi par...
 LESBINA
                                   Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete davver.
 LESBINA
                                     Vostra bontà.
 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
375Il cuor d’una fanciulla,
 se si tratta di un uom, non ne sa nulla.
 NARDO
 Eh furbetta, furbetta. Voi m’avete
 conosciuto a dritura.
 Delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
380Siete forse...
 NARDO
                          Via, chi?
 LESBINA
                                             Nardino bello?
 NARDO
 Sì, carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
 Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dov’andate?
 LESBINA
                          Non so.
 NARDO
385Eh restate carina.
 LESBINA
                                   Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi mi piace...
 ma...
 NARDO
             Che mai?
 LESBINA
                                 Non so dir... che cosa sia...
 Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
390(Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Compatite, signor, s’io non so.
 Son così, non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor
395che col labbro spiegar non si può.
 
    Miratemi qua.
 Sapete cos’è?...
 Voltatevi in là.
 Lontano da me.
 
400   Voglio partire; mi sento languire...
 Ah col tempo spiegarmi saprò.
 
 SCENA XI
 
 NARDO, poi DON TRITEMIO
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
 che la natura in lei parla innocente.
 Fingere ancor potrebbe, è ver purtropo,
405ma è un cattivo animale
 quel che senza ragion sospetta male.
 TRITEMIO
 Messer Nardo da bene,
 compatite se troppo tratenuto
 m’ha un domestico impaccio.
410Vi saluto di core.
 NARDO
                                  Ed io v’abbracio.
 TRITEMIO
 Ora verrà la figlia.
 NARDO
                                    È già venuta.
 TRITEMIO
 La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì, l’ho già veduta.
 TRITEMIO
 Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 TRITEMIO
415Disse niente? Parlò?
 NARDO
                                        Mi disse tanto
 che sperare mi fa d’essere amato.
 TRITEMIO
 È vero?
 NARDO
                  È ver.
 TRITEMIO
                                (Oh il ciel sia ringraziato).
 Ma perché se n’andò?
 NARDO
                                           Perché bel bello
 amor col suo martello
420il cor le inteneriva
 e n’aveva rossore.
 TRITEMIO
                                   Evviva, evviva.
 Eugenia dove sei? Facciamo presto,
 concludiamo l’affar.
 NARDO
                                       Per me son lesto.
 TRITEMIO
 Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 
 SCENA XII
 
 LENA e detti, poi LESBINA
 
 NARDO
425Che volete voi qui?
 LENA
                                      Con sua licenza,
 alla sposa vorrei far riverenza.
 DON TRITEMIO
 Ora la chiamerò.
 NARDO
 Concludiamo le nozze.
 DON TRITEMIO
                                           Io presto fo. (Parte)
 LENA
 Signor zio, com’è bella?
 NARDO
430La vedrai. È una stella.
 LENA
 È galante e graziosa?
 NARDO
 È galante, è gentile ed è amorosa.
 LENA
 Vi vorrà ben?
 NARDO
                            Si vede
 da un certo non so che
435che l’ha la madre sua fatta per me.
 Appena ci siam visti,
 un incognito amor di simpatia
 ha meso i nostri cuori in allegria.
 
    Son pien di giubilo,
440ridente ho l’animo,
 nel sen mi palpita
 brillante il cor.
 
 LENA
 
    Il vostro giubilo
 nelle mie viscere
445risveglia ed agita
 novello ardor.
 
 LESBINA
 
    Sposino amabile, (Esce da una camera)
 per voi son misera;
 mi sento mordere
450dal dio d’amor.
 
 NARDO
 
    Vieni al mio seno,
 sposina mia.
 
 LENA
 
 Signora zia,
 a voi m’inchino.
 
 A DUE
 
455Dolce destino,
 felice amor!
 
 LESBINA
 
    Parto, parto; il genitore.
 
 NARDO
 
 Perché parti?
 
 LESBINA
 
                            Il mio rossore
 non mi lascia restar qui.
 
 NARDO
 
460   Vergognosetta
 la poveretta
 se ne fuggì.
 
 LENA
 
    Se fossi in lei,
 non fuggirei
465chi mi ferì.
 
 DON TRITEMIO
 
    La ricerco e non la trovo.
 Oh che smania in sen io provo!
 Dove diavolo sarà?
 
 NARDO, LENA A DUE
 
 Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
470   L’ho cercata su e giù.
 
 A DUE
 
 Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete? Come va?
 
 NARDO
 
 Fin adesso è stata qua.
 
 DON TRITEMIO
 
 Dov’è andata?
 
 LENA
 
                             È andata là. (Accenna ov’è entrata)
 
 DON TRITEMIO
 
475Quando è là, la troverò
 e con me la condurrò. (Entra in quella camera)
 
 NARDO
 
    Superar il genitore
 potrà ben il suo rossore.
 
 LENA
 
 Non è tanto vergognoso
480il suo core collo sposo.
 
 A DUE
 
 Si confonde nel suo petto
 il rispetto coll’amor.
 
 LESBINA
 
    Presto, presto, sposo bello,
 via porgetemi l’anello,
485che la sposa allor sarò.
 
 LENA
 
 Questa cosa far si può.
 
 NARDO
 
 Ecco, ecco, ve lo do. (Le dà un anello)
 
 LESBINA
 
    Torna il padre, vado via.
 
 NARDO
 
 Ma perché tal ritrosia?
 
 LESBINA
 
490Il motivo non lo so.
 
 LENA
 
 Dallo sposo non fuggite.
 
 LESBINA
 
 Compatite, tornerò. (Torna nella camera di prima)
 
 NARDO, LENA DUE
 
    Caso raro, caso bello!
 Una sposa coll’anello
495ha rossor del genitor.
 
 DON TRITEMIO
 
    Non la trovo.
 
 NARDO, LENA A DUE
 
                              Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete?
 
 NARDO, LENA A DUE
 
                        È stata qua.
 
 LENA
 
 Collo sposo ha favellato.
 
 NARDO
 
 E l’anello già le ha dato.
 
 DON TRITEMIO
 
500Alla figlia?...
 
 NARDO, LENA A DUE
 
                          Signorsì.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla sposa?
 
 NARDO, LENA A DUE
 
                        Messersì.
 
 A TRE
 
    Quel ch’è fatto fatto sia,
 stiamo dunque in allegria,
 che la sposa vergognosa
505alla fin si cangierà;
 e l’amore nel suo core
 con piacer trionferà.
 
 Fine dell’atto primo