Statira, Venezia, Pitteri, 1756

 STATIRA
 
 
    Dramma per musica del dottor Carlo Goldoni, da rappresentarsi nel teatro Grimani di San Samuele nella fiera dell’ascensione l’anno MDCCLVI, dedicata all’eccellentissime dame veneziane.
    In Venezia, presso Francesco Pitteri, con licenza de’ superiori.
 
 
 ALLE NOBILISSIME DAME VENEZIANE, CARLO GOLDONI
 
    Allora quando, eccellentissime dame, su queste scene medesime fu per la prima volta rappresentata la mia Statira, nell’anno 1741, questo picciolo dramma era parto d’un uomo che dir potevasi principiante e da pochissimi conosciuto. Poco mi agitava in allora la dubbietà dell’esito, passar volendo per dilettante, e mi ricordo che per grazia somma, in allora, non ne fu detto né mal né bene. Non mi sarei mai creduto vederla, dopo il corso di quindici anni, tratta dall’urna delle opere dimenticate, per farla nuovamente comparir sul teatro. So chi mi ha fatto sì bel regalo; non ho potuto impedirlo ma non vuo’ nemmeno dissimulare la dispiacenza che ne risento. Ora quell’uomo, incognito nel 1741, è conosciuto un po’ troppo per suo malanno e se in allora quest’operetta ebbe la fortuna che di lei si parlasse poco, ora chi sa che di lei non si parli troppo? Perciò la pongo, nobilissime dame, sotto la vostra clementissima protezione. Avvezze siete a soffrirmi da qualche anno e mi avete benignamente sofferto in quasi tutti i teatri di questa serenissima dominante e se ho avuto la sorte di non dispiacervi talvolta nel mio comico stile, spero mi compatirete per questa fiata, escito dal mio centro, di malavoglia, ve lo protesto. Data che mi fu la notizia della scelta fatta di questo dramma, mi venne voglia di rivederlo e dopo il corso di quindici anni e dopo l’incessante esercizio mio della scena, ho potuto conoscere quant’era debole e scarso e ho ravvisata la mia fortuna d’allora, perché a peggior trattamento non fu la mia Statira soggetta. Il zelo dunque di mia reputazione, il rispetto che devo al pubblico e a voi specialmente, nobilissime dame che di tai musicali trattenimenti vi compiacete, l’antica mia servitù verso l’eccellentissima casa Grimani mi hanno stimolato a rivederlo, ad accrescerlo, a rifformarlo, cosicché poco del primo scheletro vi è rimasto. Ma che averò fatto io con tutta questa fatica? Un bel dramma? No certo; lo so da me, senza che nessuno s’incomodi a rimproverarmelo. È cosa troppo dificile a’ giorni nostri far un dramma che incontri. Dopo i tanti sì belli e sì elegantemente scritti dal celeberrimo Metastasio, chi può mai lusingarsi di tal fortuna? Questo sì degno autore, secondo me, è inimitabile; e chi più si affatica per imitarlo va a pericolo di far peggio. Ciascheduno che scrive si dee formare uno stile. Il mio facile e schietto può sperare compatimento nella comica prosa o nei comici versi e, sollevandomi alla gravvità dell’eroico, veggomi sotto i piè la caduta. Ma quante cose siamo noi obbligati di fare nostro malgrado? Lo provo io di presente e tutto quello che può confortarmi nell’angustia dell’animo mio si è la lusinga che voi, nobilissime dame, vogliate onorare quest’opera mia della vostra benignissima protezione, niente per altro se non perché ella è fregiata del vostro nome; e son ben certo che per questo solo mottivo tutto quell’infinito popolo che vi ha in istima e in venerazione rispetterà questa infelice opera del mio scarso talento, riprodotta ora non per vanità, non per interesse ma per una inevitabile necessità. Aggiugnesi alle altre imperfezioni di questo dramma quella di essere in cinque personaggi soltanto, per accomodarsi alla brevità ricercata dalla stagione. Ma ciò sarebbe il minor male, se fosse poi ben tessuto e dolcemente scritto; io non so fare né l’una né l’altra di queste due. Quando scrivo per musica l’ultimo a cui pensi son io medesimo. Penso agli attori, penso al maestro di cappella moltissimo, penso al piacere degli uditori in teatro e, se i miei drammi si vedessero rappresentare soltanto e non venissero letti, spererei migliore destino; ma se l’uso vuol che si stampino, vada pure la mia Statira alle stampe e non sarà mai sfortunata, se voi nobilissime dame accorderete ad essa ed a me medesimo il vostro validissimo patrocinio.
 
 
 ARGOMENTO
 
    Dario re di Persia, detto il Giusto, sposò in seconde nozze Statira, da cui anche ebbe un figlio, Dario parimenti chiamato, erede della corona. Ebbe Dario del primo letto una figlia, chiamata Rosane, a cui destinato aveva in isposo Arbace suo nipote; ma, morendo egli prima che si effettuasse un tal imeneo e mentre Arbace guereggiava contro degli Abelliti ribelli, raccomandonne l’adempimento a Statira, da lui lasciata sovrana nel regno sino che ad età capace di reggere gionto fosse il picciolo Dario. Era Statira segretamente accesa d’Arbace e, se vivente il marito non ardì d’alimentar questa fiamma, dopo la di lui morte trovossi violentata a farlo da una passione che si rendeva in essa meno colpevole. Contrasto però faceale il rimorso di tradir Rosane, onde, confidato il suo cuore ad Artabano grande del regno, sperando averne da esso ottimi consigli in soccorso della sua virtù, fu anzi da lui precipitata, mentre per l’amore ch’egli portava a Rosane e per la speranza di conseguirla per questa via consigliò anzi Statira a palesar il suo fuoco e ad involare alla figlia lo sposo. Poco Rosane poteva piagnere una tal perdita, avendo il suo cuore preoccupato da un’altra segreta fiamma in favor di Learco, più tenero nipote di Dario, ma la sua virtù ed alterezza le faceva anteporre il decoro all’affetto, onde ostentava l’obbedienza al decreto del padre ad onta della sua passione.
    Per opera di Artabano si svelarono finalmente gli arcani di queste donne, sperando egli che, se Rosane d’Arbace non fosse, sua sarebbe divenuta senz’altro ma s’ingannò, poiché Arbace sposò Statira, Rosane sposò Learco ed egli restò deluso, solito premio de’ traditori. Ecco fatta pertanto d’una storia una favola, tanto più addatata alla corrente stagione quanto più breve.
    La scena si finge in Persepoli città reale di Persia.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Atto primo: atrio regio con trono; appartamenti nella reggia.
    Atto secondo: cortile corrispondente alla piazza; sala regia con ara accesa dinanzi al simulacro del sole; appartamenti.
    Atto terzo: cortile; atrio regio corrispondente agli appartamenti.
    Le scene sono d’invenzione del signor Andrea Urbani.
 
 
 ATTORI
 
 STATIRA vedova di Dario
 (la signora Marianna Imer)
 ARBACE principe di Persia
 (il signor Giovanni Belardi detto d’Ancona, virtuoso di camera di sua altezza serenissima l’elettor di Baviera)
 ROSANE figlia di Dario ma non di Statira
 (la signora Marianna De Grandis)
 ARTABANO grande del regno
 (il signor Antonio Cattaneo)
 LEARCO capitano della guardia reale
 (la signora Armellina Mattei)
 
    La musica è del signor maestro Giuseppe Scolari. Il vestiario è del signor Natale Canziani.