L’Arcadia in Brenta, Torino, Guibert e Orgeas, 1777

 SCENA IX
 
 Arriva un burchiello di cui sbarca il conte BELLEZZA
 
 FABRIZIO
 Poh che gran signorone,
 costui porre mi vuole in soggezione.
 CONTE
 Permetta, anzi conceda
 che prostrato si veda
355al prototipo ver de’ generosi
 l’infimo de’ suoi servi rispettosi.
 FABRIZIO
 Servitor obbligato.
 CONTE
 La fama ha pubblicato
 i pregi vostri con eroica tromba;
360l’eco intorno rimbomba
 il nome alto sovrano
 di Fabrizio Fabroni da Fabriano.
 FABRIZIO
 Servitore di lei.
 CONTE
 Ed io pur bramerei,
365anzi sospirerei,
 benché il merito mio sia circonscritto,
 nel ruolo de’ suoi servi esser descritto.
 FABRIZIO
 Anzi de’ miei padroni.
 CONTE
 Ah mio signor, perdoni
370se tracotante, ardito,
 prevenendo l’invito,
 per far la mente mia sazia e contenta,
 son venuto a goder l’Arcadia in Brenta.
 FABRIZIO
 S’accomodi.
 CONTE
                         La fama
375poco disse finor di voi parlando,
 voi cantando, esaltando,
 veggo più, veggo molto
 in quell’amabil volto
 che con raggi di placido splendore
380spiega l’idea del liberal suo cuore.
 FABRIZIO
 Signor lei mi confonde.
 Vorrei dir ma non so,
 per andar alla breve io tacerò.
 CONTE
 Quel silenzio loquace
385quanto, quanto mi piace! Ella tacendo
 col muto favellar va rispondendo
 ed io, che tutto intendo,
 il genio suo comprendo.
 Ella vuol favorirmi ed io mi arrendo;
390ed accetto le grazie e grazie rendo.
 FABRIZIO
 Le renda o non le renda,
 è tutta una faccenda.
 Se qui vuole restar, mi farà onore,
 cerimonie non fo, son di buon cuore.
 CONTE
395Viva il buon cor. Anch’io l’affettazione
 odio nelle persone;
 parlar mi piace natural affatto.
 Perciò dal seno estratto
 il più divoto e caldo sentimento,
400trabocca dalle labbra il mio contento.
 FABRIZIO
 Se questo è naturale,
 parla ben, non vi è male.
 CONTE
 La provida natura
 prese di me tal cura
405che mi rese il più vago e il più giocondo
 grazioso cavalier che viva al mondo.
 FABRIZIO
 Me ne rallegro assai. S’ella bramasse
 riposarsi è padron.
 CONTE
                                      Sì, mio signore,
 accetterò l’onore
410che l’arcisoprafina sua bontà
 gentilissimamente ora mi fa.
 FABRIZIO
 Vada pure. Pancrazio, (Al servo)
 servi questo signor.
 CONTE
                                       L’esuberanza,
 anzi l’esorbitanza
415delle grazie, onde lei m’ha incatenato...
 FABRIZIO
 Vada, basta così.
 CONTE
                                 Lasci che almeno...
 FABRIZIO
 Vada per carità.
 CONTE
                                Non fia mai vero
 ch’io manchi al dover mio...
 FABRIZIO
 Vada lei, mio signore, o vado io.
 CONTE
 
420   Non s’adiri di grazia, che io taccio.
 Non vo’ dargli più noia né impaccio,
 bramo solo... Sto zitto e non parlo.
 Più non ciarlo, credetelo a me.
 
    Ma tal pena chi puol mai soffrire?
425Io star cheto? Mi sento morire.
 Signor caro... ho finito, in mia fé. (Parte)