L’Arcadia in Brenta, Bonn, Stamparia delle Loterie, 1771

 SCENA IX
 
 Arriva un burchiello da cui sbarca il conte BELLEZZA
 
 FABRIZIO
 Poh! Che gran signorone!
355Costui porre mi vuole in soggezione.
 CONTE
 Permetta, anzi conceda
 che prostato si veda
 al prototipo ver de’ generosi
 l’infimo de’ suoi servi rispettosi.
 FABRIZIO
360Servitor obligato.
 CONTE
 La fama ha publicato
 i pregi vostri con eroica tromba;
 l’eco intorno rimbomba
 il nome alto sovrano
365di Fabrizio Fabroni da Fabriano.
 FABRIZIO
 Servitore di lei.
 CONTE
 Ed io pur bramerei,
 anzi sospirerei,
 benché il merito mio sia circonscritto,
370nel ruolo de’ suoi servi esser descritto.
 FABRIZIO
 Anzi de’ miei padroni.
 CONTE
 Ah! Mio signor, perdoni
 se tra cotanti, ardito,
 prevenendo l’invito,
375per far la mente mia sazia e contenta,
 son venuto a goder l’Arcadia in Brenta.
 FABRIZIO
 S’accomodi.
 CONTE
                         La fama
 poco disse finora di voi parlando,
 voi cantando, esaltando,
380veggo più, veggo molto
 in quel amabil volto
 che con raggi di placido splendore
 spiega l’idea del liberal suo core.
 FABRIZIO
 Signor, lei mi confonde,
385vorrei dir ma non so,
 per andar alla brieve io mi tacerò.
 CONTE
 Quel silenzio loquace
 quanto, quanto mi piace, ella tacendo
 col muto favellar va rispondendo.
390Ed io che tutto intendo,
 il genio suo comprendo,
 ella vuol favorirmi ed io mi rendo.
 FABRIZIO
 Le renda o non le renda
 è tutta una facenda,
395se qui vuol restar, mi farà onore,
 ceremonie non fo, son di buon core.
 CONTE
 Viva il bon cor, anch’io l’affettazione
 odio nelle persone,
 parlar mi piace natural affatto,
400perciò del seno estratto
 il più divoto e caldo sentimento
 trabocca tra le labra il mio contento.
 FABRIZIO
 Se questo è naturale,
 parla ben, non va male.
 CONTE
405La provida natura
 prese di me tal cura
 che mi rese il più vago ed il più giocondo
 grazioso cavalier che viva al mondo.
 FABRIZIO
 Me ne rallegro assai. S’ella bramasse
410riposarsi, è padron.
 CONTE
                                       Sì, mio signore;
 accettarò l’onore
 che l’arcisoprafina sua bontà
 gentilissimamente ora mi fa.
 FABRIZIO
 Vada pure. Pancrazio,
415servi questo signor. (Al servo)
 CONTE
                                        L’essuberanza,
 anzi l’essorbitanza
 delle grazie, onde lei m’ha incatenato...
 FABRIZIO
 Vada, basta così.
 CONTE
                                 Lasci che almeno...
 FABRIZIO
 Vada per carità.
 CONTE
                                Non fia mai vero
420ch’io manchi al dover mio...
 FABRIZIO
 Vada lei, mio signore, o vado io.
 
 Aria
 
 CONTE
 
    Non s’adiri, di grazia, ch’io taccio.
 Non vo’ darli più noia né impaccio.
 Bramo solo... Sto zitto e non parlo,
425più non ciarlo, credetelo a me.
 
    Ma tal pena chi può mai soffrire?
 Io star cheto! Mi sento morire;
 signor caro... ho finito, in mia fé.