L’Arcadia in Brenta, Venezia, Savioli, 1770

 Lettor gentilissimo,
    pochi saranno quelli che, letta L’Arcadia in Brenta, non avranno l’intiera cognizione. Si sa quasi communemente aver figurato l’autore di quest’Arcadia una conversazione di sette civili ed oneste persone in un luogo delizioso fra quei magnifici palaggi che adornano il fiume Brenta e che formano una delle più belle villeggiature d’Italia. Tre uomini e tre donne formarono la raunanza, cioè Silvio, Giacinto, Foresto, Marina, Rosanna e Laura, a’ quali s’aggiunse dopo qualche giorno Fabricio Fabroni di Fabriano che per la sua età e per il suo carattere, misto di sciocco e di faceto, riescì il condimento della gioconda società loro. L’Arcadia, di cui ora parlo, consiste principalmente in motti arguti, detti faceti, novelle spiritose, canzonette, madrigali e cose simili, per lo che potendo una simile conversazione intitolarsi giocosa accademia, fu per la stessa ragione dall’autore intitolata L’Arcadia in Brenta, colla respettiva similitudine dell’Arcadia di Roma, in cui cose più serie e più elevate si trattano.
    Io adunque per argomento della mia presente operetta non prendo già L’Arcadia in Brenta che scritta trovasi dal nostro autore, poiché in essa materia non trovo per una teatrale rappresentazione.
    Sul fine di detta Arcadia, sciogliendo i sette arcadi la loro gentile conversazione, s’invitano vicendevolmente per la susseguente stagione e tutto che stabilissero passare sul fiume Sile, accade però che quel tale messer Fabrizio Fabroni da Fabriano, picatosi di generosità, volle trattar magnificamente la maggior parte di quelli che l’avevano favorito e seco li condusse in un suo casino sul fiume Brenta, formando in esso novellamente L’Arcadia in Brenta. Invitò Rosanna e Laura, Giacinto e Foresto, lasciando da parte Marina e Silvio, perché essi troppo sul vivo lo avevano motteggiato nell’altra Arcadia.
    S’accrebbe non pertanto il numero della conversazione con madama Lindora, dama di una straordinaria stucchevole dilicatezza, ed il conte Bellezza di una caricatissima affettazione.
    Il povero Fabrizio, di gran core ma di poche sostanze, per sostener l’impegno, a cui incautamente s’apprese, andò in rovina, rimasto in pochi dì senza denaro e senza roba e col rossore di doversi vedere scornato dagli ospiti e ridotta L’Arcadia in una commedia, che per lui poteva dirsi tragedia, a che molto ha contribuito Foresto, uno degli arcadi ma il più confidente di Fabrizio, quello a cui aveva egli raccomandata l’economia della casa.
    Questa mia Arcadia in Brenta è tanto istorica quanto quella di Ginnesio Gavardo Vacalerio, avendola ricavata da codici antichissimi della Malcontenta, ove vanno a terminar i suoi giorni tutti quelli che, come messer Fabrizio, si fanno mangiare il suo e si riducono poveri per volerla spacciar da grandi.