L’Arcadia in Brenta, Torino, Olzati, 1757

 SCENA VII
 
 FABRIZIO, poi LINDORA
 
 FABRIZIO
895Tutto va ben. Lo so che mi rovino
 ma non importa. Almen anch’io godessi
 da coteste mie ninfe traditore
 un qualche segno di pietoso amore.
 LINDORA
 Signor Fabrizio. (Di lontano)
 FABRIZIO
                                  (Questa, a dir il vero,
900mi par troppo flemmatica).
 LINDORA
                                                     Non sente?
 Signor Fabrizio. (Come sopra)
 FABRIZIO
                                  (E pur, se mi volesse,
 io non ricuserei
 di far un poco il cicisbeo con lei).
 LINDORA
 Si... gnor Fa... bri... zio. (Con caricatura)
 FABRIZIO
                                              Oh cielo! Mi perdoni,
905non l’avevo sentita.
 LINDORA
 Ho gridato sì forte che la gola
 mi si è tutta enfiata;
 quasi in petto una vena m’è crepata.
 FABRIZIO
 Cancaro! Se ne guardi,
910favorisca.
 LINDORA
                     M’aiuti.
 FABRIZIO
                                      Eccomi lesto.
 LINDORA
 Non mi tocchi.
 FABRIZIO
                              Perché?
 LINDORA
                                               Son tenerina.
 FABRIZIO
 Impastata mi par di ricottina.
 LINDORA
 Ahi! Son stanca.
 FABRIZIO
                                 S’accomodi, madama.
 LINDORA
 Sederei volentier ma questa sedia
915è dura indiavolata.
 Sul morbido seder son avvezzata.
 FABRIZIO
 Ehi... Dico pian, non tema. Ehi reca tosto
 una sedia miglior. (Viene il servo)
 LINDORA
                                     Molt’obbligata. (Il servo va e torna con una sedia di damasco)
 FABRIZIO
 Sieda qui, starà meglio.
 LINDORA
                                              Oibò, è sì dura
920cotesta imbottitura
 ch’io non posso sperar di starvi bene.
 FABRIZIO
 Rimediarvi conviene,
 porta la mia poltrona.
 LINDORA
 Compatisca, signor.
 FABRIZIO
                                       Ella è padrona. (Torna il servo colla poltrona)
925Eccola, se ne servi.
 LINDORA
                                     Oh peggio, peggio.
 No no, non me ne curo;
 il guancial di vacchetta è troppo duro.
 FABRIZIO
 Eh corpo d’un giudio,
 ora la servo io. (Parte)
 LINDORA
                               Portate via
930la sedia ed il guanciale,
 quell’odor di vacchetta, ahi! mi fa male. (Torna Fabrizio con un matarazzo)
 FABRIZIO
 Eccolo un matarazzo;
 di più non posso far.
 LINDORA
                                        Quest’è un strapazzo,
 lo conosco, lo so; no, non credevo
935dover soffrir cotanto;
 ahi! che mi vien per il dolore il pianto.
 
    Voglio andar... Non vo’ più star,
 più beffata esser non vo’,
 signorsì, me n’anderò.
940Sono tanto tenerina
 ch’ogni cosa mi scompone;
 e voi siete la cagione
 che m’ha fatto lagrimar.
 
    Se sdegnarmi almen sapessi,
945vendicarmi or io vorrei.
 Ma senz’altro morirei,
 se m’avessi ad arrabbiar.