Le donne redicole, Roma, Grossi, 1759

 SCENA V
 
 MOSCHINA e don TIBERIO
 
 TIBERIO
 Mia signora, la prego...
 MOSCHINA
 Povero Calloandro, (Leggendo)
 sarà rimasto brutto
 quando alzò la visiera e la sua cara
155vide cadersi a’ piedi.
 TIBERIO
 Moschina, mia Moschina...
 MOSCHINA
 Allor poteva dire,
 vista la faccia scolorita e bella:
 «Non cadde no, precipitò di sella».
 TIBERIO
160Mia signora, la prego...
 MOSCHINA
 Ma lei cos’ha, che dice?
 TIBERIO
                                             Dico a lei.
 MOSCHINA
 Ma che brama, che vuole?
 TIBERIO
 Lo senta espresso in queste mie parole.
 
    Si ricorda... quando che...
165Senta bene... Il suo Teseo...
 Arianna là dal lido...
 Anzi quando il caro Orfeo...
 Euridice... O allor che fido...
 Son troiano... O quando quando...
170Anzi insomma, io dir vorrei
 che per lei mi sento in guerra
 l’intestina, le budella.
 Gelo, sudo, smanio e peno,
 non ho pace, non ho freno.
175Più di Dido, più d’Orfeo...
 d’Arianna... di Teseo...
 io mi sento già schiattar. (Nel partire vien richiamato da Moschina e dice)
 
 MOSCHINA
 Bel zitel, bel zitello.
 TIBERIO
 Dice a me?
 MOSCHINA
                        Dico a lei, mi senta in grazia.
 TIBERIO
180Compatisca signora,
 il tenue e dolce suon di vostra voce
 non passò del mio orecchio
 il timpano armonioso.
 MOSCHINA
 Apra dunque l’orecchio
185che, con il suono delle mie parole,
 il timpano passando
 che trapassa l’udito, adesso anch’io
 voglio spiegarvi il sentimento mio.
 
    Di sguardi, d’occhiate
190se sol vi pascete,
 venite, guardate,
 saziatevi pur;
 
    ma se pretendete
 l’affetto del core,
195aver nol potrete,
 credetelo a me.