Bertoldino e Cacasenno Bertoldo, Venezia, Fenzo, 1749

Vignetta Frontespizio
 Amico lettore,
    Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno sono tre personaggi che hanno meritate le rime de’ più celebri poeti italiani, gli quali in venti bellissimi canti hanno di questi tre successivi eroi formato, si può dire, un poema. Ciò m’indusse a considerarli degni di comparir sulle scene, per far mostra, se non dei loro fatti, almeno dei loro respettivi caratteri, cioè Bertoldo vecchio astuto, malizioso, sentenzioso e mordace, Bertoldino sciocco e goffo ma fornito però di contadinesca malizia, facendolo io vedere non ragazzo, come andò la prima volta alla corte, ma in età virile ed ammogliato, dicendo di lui l’autore del canto decimonono alla trigesimasettima ottava: «Da che moglie si prese è fatto accorto», e Cacasenno in aria affatto di semplice e bacellone. Per unir insieme questi tre soggetti, mi conviene fare una spezie di anacronismo, rispetto a Bertoldo che non era vivo al tempo di Cacasenno, per quello si legge nel testo di Giulio Cesare Croce, ma spero mi sarà perdonato dal benigno lettore, come fu tollerato quello di Enea con Didone inventato con felicità da Virgilio e seguitato con tanto applauso dal celebre Metastasio.
    Io ho concepito il desiderio di porre in teatro tutta la famiglia delli Bertoldi, onde ho con essi introdotta la Menghina, moglie di Bertoldino, avendo lasciata in pace la veneranda Marcolfa, perché niuna delle signore donne averebbe avuto piacere di avere un sì fatto nome e di far la parte della nonna di Cacasenno.
    Per salvar l’unità del luogo, fingesi che il re Alboino colla regina Ipsicratea sua consorte sia passato a villeggiare nel suo real palazzo di Bertagnana, territorio veronese e patria delli Bertoldi, come si legge nel canto primo, ottava diciannove dell’opera riferita.
    L’unità del tempo è osservata, mentre nel giro di ventiquattro ore può succedere quanto nella favola si rappresenta.
    L’azione consiste nell’arrivo delli Bertoldi al palazzo del re e nel ritorno all’albergo loro.
    L’amore del re per Menghina è l’epissodio che li fa andare alla corte; le gelosie della regina e di Aurelia sua cognata è l’epissodio che li fa tornare alla campagna.
    Le burle, i travestimenti e le scioccherie di Cacasenno sono invenzioni per far ridere che è l’unico oggetto di simili componimenti. Non mi son però servito delle inezie e puerilità descritte di Bertoldino dal Croce e di Cacasenno dal Scaligeri, sembrandomi quelle poco addattate alla proprietà del teatro, ma ne ho ritrovate dell’altre, ricavate dal testo della mia testa, le quali se non piaceranno non sarà colpa degli eroici protogonisti ma del poeta.
    A proposito del poeta, fa egli la sua protesta che le frasi e le parole poetiche non hanno a che fare col cuore cristiano, e che, se ha fatto un cattivo libro, in dieci giorni non l’ha saputo far meglio.
    Circa le arie, alcune sono figlie legitime e naturali del libro, alcune addotate, altre spurie ed altre adulterine per commodo e compiacimento de’ virtuosi, onde, eccetera.