Li matti per amore, Venezia, Fenzo, 1754

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Piazzetta con due casini uno per parte della scena, ogniuno con le loggie e vedute di giardino e fabrica d’osteria con sotto una bottega da fruttaiolo.
 
 LISETTA avanti la sua bottega di frutta presso alla quale RIDOLFO a sedere; EUGENIA sopra una delle loggie; CAMILLA sopra l’altra loggia della sua casa
 
 Lisetta
 
    Meschinello è pur quel core
 che si fa servo d’amore.
 Quanti stenti! Quante pene!
 Poverino, io n’ho pietà.
 
 Eugenia
 
5   Il mio cor che sta in cattena,
 che sospira, piange e pena,
 ben l’intende e ben lo sa.
 
 Lisetta
 
    Parlo un poco, egli è di foco,
 quando taccio, egli è di ghiaccio,
10sempre chiede ad una ingrata
 compassione e carità.
 Ma l’ingrata, dispietata,
 carità per lui non ha.
 
 Camilla
 
    Infelice, meschinella
15qual destino amar mi fa.
 
 Ridolfo
 
    La mia sorte e la mia stella
 quando mai si cangierà!
 
 Eugenia
 Dice pur ben colei
 e si confano, oh quanto!
20le sue parole a’ duri affanni miei.
 Lisetta
 Eh mio signor Ridolfo, (Scotendo Ridolfo che sarà astretto)
 dove ne siete adesso col cervello?
 Se il conte vi diletta
 appunto fa per voi la canzonetta.
 Ridolfo
25Fa per me, fa per te, fa per ciascuno
 che d’una donna ingrata
 abbia l’anima cotta, abbrustolata.
 Ah quelle luci amate
 mi fan di foco.
 Lisetta
                              In là, non mi scottate. (Rispingendolo)
 Ridolfo
30Senti...
 Lisetta
                 In là, che v’ho inteso;
 signora un poco d’acqua, il foco è acceso.
 Per voi Ridolfo abbruggia.
 Camilla
 Lisetta, se per lui dell’acqua or vuoi
 io ten darò.
 Lisetta
                        Non la domanda a voi,
35la domanda ad Eugenia.
 Eugenia
                                               Eugenia è sorda.
 E chi lei non conosce?
 Lisetta
                                           Eh come?
 Eugenia
                                                                Oh dio,
 se nol sapete voi, lo so ben io.
 Ridolfo
 Anch’io crudel lo so; so che un mio pari,
 cui cento dame han dato il core in dono,
40sprezza una serva vile.
 Eugenia
                                            Io vil non sono.
 Vil mi faria l’amarti, a tuo rossore,
 un giorno lo saprai. Sappi per ora
 che il mio dover discerno,
 non t’amo no, né t’amerò in eterno. (Parte)