Il filosofo di campagna, Venezia, Zatta, 1795

 SCENA VI
 
 RINALDO, poi DON TRITEMIO ed EUGENIA
 
 RINALDO
 Se da Eugenia dipende il piacer mio,
680di sua man, del suo cor certo son io.
 Veggola che ritorna
 col genitore allato;
 della gioia vicino è il dì beato.
 TRITEMIO
 Eccola qui; vedete, son io
685un galantuomo?
 RINALDO
                                 Ognor tal vi crederei,
 benché foste nemico ai desir miei.
 TRITEMIO
 Eugenia, quel signore
 ti vorrebbe in isposa; e tu che dici?
 EUGENIA
 Tra le donne felici
690la più lieta sarò, padre amoroso,
 se Rinaldo, che adoro, avrò in isposo.
 TRITEMIO
 Brava, figliuola mia!
 Il rossor questa volta è andato via.
 RINALDO
 L’udiste? Ah non tardate (A don Tritemio)
695entrambi a consolare.
 TRITEMIO
                                          Eppur pavento...
 RINALDO
 Ogni timore è vano.
 In faccia al genitor mi dia la mano.
 TRITEMIO
 La mano? In verità
 s’ha da far... se si potrà.
700Dammi la destra tua. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                           Eccola. (Don Tritemio le prende la mano)
 TRITEMIO
                                                          A voi. (Chiede la mano a Rinaldo)
 Prendetela... bel bello,
 che nel dito d’Eugenia evvi un anello.
 Ora che mi ricordo,
 Nardo con quell’anello la sposò;
705e due volte sposarla non si può.
 RINALDO
 Come!
 TRITEMIO
                Non è così? (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                       Sposa non sono.
 TRITEMIO
 Ma se l’anello in dono
 prendesti già delle tue nozze in segno,
 non si può, figlia mia, scioglier l’impegno.
710Voi che dite, signor? (A Rinaldo)
 RINALDO
                                         Dico che tutti
 perfidi m’ingannate,
 che di me vi burlate e che son io
 bersaglio del destin barbaro e rio.
 TRITEMIO
 La colpa non è mia.
 EUGENIA
                                      (Tacer non posso).
715Udite; ah svelar deggio
 l’arcano onde ingannato...