Il filosofo di campagna, Venezia, Zatta, 1795

 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
325V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
 col suo fattore e contano denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
330Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
 Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso, in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo
335il bellissimo Nardo; e il padre vostro
 ha detto, ha comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
 se non per genio, almen per ubbidienza.
 EUGENIA
 Misera, che farò?
 RINALDO
                                   Coraggio avrete
340di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate;
 a me condur lasciate la facenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguitarla)
 LESBINA
345Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua; voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio.
 RINALDO
                                     Soffrir conviene.
 EUGENIA
 
350   Se amor provasti mai,
 se sai che cosa è affetto,
 ben puoi vedermi in petto
 a palpitare il cor.
 
    E palpitar se il vedi,
355se credi a’ miei sospiri,
 perché da’ suoi martiri
 non lo ritogli ancor? (Parte)
 
 RINALDO
 Parto, Lesbina, anch’io; ma tu frattanto
 rassicura pietosa il mio tesoro;
360dille che vivo in pene e che l’adoro.
 
    Al mio bene tu dirai
 che nel laccio amor m’ha preso
 e ferito è questo cor...
 
    Senti, senti le dirai
365che quegli occhi suoi furbetti,
 quelle guancie, quei labretti
 m’hanno fatto innamorar.
 
    Se mai l’amabile
 mia bella Eugenia
370alle mie lagrime,
 alle mie suppliche
 spietata e rigida
 si vuol mostrar,
 
    dille che smanio,
375dille ch’io peno;
 dille che l’anima
 sta per andar. (Parte)