Il filosofo di campagna, Torino, Guibert e Orgeas, 1777

 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
 col suo fattore e contano denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
330Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
 Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
 Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso, in questo punto,
335forte, lesto e gagliardo
 il bellissimo Nardo. E il padre vostro
 ha detto, ha comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
 se non per genio, almen per ubbidienza.
 EUGENIA
340Misera, che farò?
 RINALDO
                                   Coraggio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate;
 a me condur lasciate la faccenda.
345Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguitarla)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua; voi di là; così va bene.
 EUGENIA
350Soffrite, idolo mio.
 RINALDO
                                     Soffrir conviene.
 EUGENIA
 
    Se amor provasti mai,
 se sai che cosa è affetto,
 ben puoi vedermi in petto
 a palpitare il cor.
 
355   E palpitar se il vedi,
 se credi a’ miei sospiri,
 perché da’ suoi martiri
 non lo ritogli ancor?
 
 RINALDO
 Parto, Lesbina, anch’io; ma tu frattanto
360rassicura pietosa il mio tesoro.
 Dille che vivo in pene e che l’adoro.
 
    Al mio ben tu le dirai
 che nel laccio amor m’ha preso
 e ferito è questo cor.
 
365   Senti senti le dirai
 che quegli occhi suoi furbetti,
 quelle guancie, quei labretti
 m’hanno fatto innamorar.
 
    Se mai l’amabile
370mia bella Eugenia
 alle mie lagrime,
 alle mie suppliche
 spietata e rigida
 si vuol mostrar,
 
375   dille che smanio,
 dille ch’io peno;
 dille che l’anima
 sta per andar.