Il filosofo di campagna, Vicenza, Bressan, 1767

 SCENA II
 
 DON TRITEMIO e dette
 
 DON TRITEMIO
 A che gioco giochiamo? (A Eugenia)
 Corro, ti cerco e chiamo;
 mi fugi e non rispondi?
530Quando vengo da te perché ti ascondi?
 EUGENIA
 Perdonate, signor...
 LESBINA
                                      La poveretta
 è un pocchin ritrosetta.
 DON TRITEMIO
                                             Oh bella affé
 si vergogna di me, poi collo sposo
 il suo cuore non è più vergognoso.
 LESBINA
535Vi stupite di ciò? Si vedon spesso
 cotali meraviglie.
 Soglion tutte le figlie,
 ch’ardono in sen d’amore,
 la modestia affettar col genitore.
 DON TRITEMIO
540Basta; veniamo al fatto. È ver ch’avesti
 dallo sposo l’anello? (Ad Eugenia)
 LESBINA
                                        Signorsì.
 DON TRITEMIO
 Parlo teco. Rispondi. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                         Eccolo qui.
 DON TRITEMIO
 Caperi! È bello assai.
 Non mi credevo mai
545che Nardo avesse di tai gioie in dito.
 Vedi se t’ho trovato un buon marito?
 EUGENIA
 (Misera me, se tal mi fosse). (Da sé)
 DON TRITEMIO
                                                       Oh via,
 codesta ritrosia scaccia del petto;
 queste smorfie omai mi fan dispetto.
 LESBINA
550Amabile sposina,
 mostrate la bocchina un po’ ridente.
 EUGENIA
 (Qualche volta Lesbina è impertinente). (Da sé)
 DON TRITEMIO
 È picchiato mi par.
 LESBINA
                                      Vedrò chi sia.
 (Ehi, badate non far qualche pazzia). (Piano ad Eugenia e parte)