Il filosofo di campagna, Vicenza, Bressan, 1767

 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani, poi LA LENA
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
200se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
 e doppoi si mangierà;
 del buon vin si beverà
205ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
210l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
215con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se fosse un poveretto, (A Nardo)
220compatir vi vorrei; ma siete ricco,
 avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
225fareste meglio maneggiar la rocca.
 LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto
230comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
 Voi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
235a caso per la strada
 qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
 Povera vanarella,
 tu sposaresti un conte od un marchese,
240perché in meno d’un mese,
 strappazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riduce al nulla.
 LENA
 Io non voglio un signor né un contadino.
 Mi basta un cittadino
245che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LENA
                                               Ch’abbia un’entratta
 qual a mediocre stato si conviene.
 Che sia discretto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai.
 Se lo brami così, nol troverai.
250Per lo più i cittadini
 hanno pochi quattrini e troppe voglie.
 E non usano molto amar la moglie.
 Per pratica commune
 nelle cittadi usata,
255è maggior l’uscita dell’entrata.
 LENA
 Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
 così non usa?
 NARDO
                            È vero.
 Ma in villa se ne sta,
260perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
265perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
270oggi la vederò.
 LENA
                              Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
275ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
280Voi siete il babbo mio.
 Vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorebbe poverina...
285Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)