Il filosofo di campagna, Treviso, Pianta, 1765

 SCENA VI
 
 RINALDO, poi DON TRITEMIO ed EUGENIA
 
 RINALDO
 Se da Eugenia dipende il piacer mio,
645di sua man, del suo cor certo son io.
 Vegola che ritorna
 col genitore allato;
 della gioia vicino è il dì beato.
 DON TRITEMIO
 Eccola qui; vedete se son io
650un galantuomo.
 RINALDO
                                Ognor tal vi credei,
 benché foste nemico ai desir miei.
 DON TRITEMIO
 Eugenia, quel signore
 ti vorrebbe in isposa; e tu che dici?
 EUGENIA
 Tra le donne felici
655la più lieta sarò, padre amoroso,
 se Rinaldo, che adoro, avrò in isposo.
 DON TRITEMIO
 Brava, figliuola mia,
 il rossor questa volta è andato via.
 RINALDO
 L’udiste? Ah non tardate (A don Tritemio)
660entrambi a consolare.
 DON TRITEMIO
                                          Eppur pavento...
 RINALDO
 Ogni timor è vano.
 In faccia al genitor mi dia la mano.
 DON TRITEMIO
 La mano? In verità
 s’ha da far; s’ha da far... se si potrà.
665Dammi la destra tua. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                           Eccola. (Don Tritemio li prende la mano)
 DON TRITEMIO
                                                          A voi. (Chiede la mano a Rinaldo)
 Prendetela... bel bello,
 che nel dito d’Eugenia evvi un anello.
 Ora che mi ricordo,
 Nardo con quell’anello la sposò;
670e due volte sposarla non si può.
 RINALDO
 Come!
 DON TRITEMIO
                Non è così? (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                       Sposa non sono.
 DON TRITEMIO
 Ma se l’anello in dono
 prendesti già delle tue nozze in segno,
 non si può, figlia mia, scioglier l’impegno.
675Voi che dite, signor? (A Rinaldo)
 RINALDO
                                         Dico che tutti
 perfidi m’ingannate,
 che di me vi burlate, e che son io
 bersaglio del destin barbaro e rio.
 DON TRITEMIO
 La colpa non è mia.
 EUGENIA
                                      (Tacer non posso);
680udite; ah svelar deggio
 l’arcano onde ingannato...