Il filosofo di campagna, Milano, Montano, 1762

 SCENA II
 
 LA LENA di casa e detti
 
 LENA
 Questa, se non m’inganno,
 di don Tritemio è la figliuola.
 EUGENIA
                                                        Dite,
1175pastorella gentile, è albergo vostro
 questo di dove uscite?
 LENA
                                           Sì signora.
 EUGENIA
 Altri vi son?
 LENA
                          Per ora
 altri non v’è che io
 ed un uomo da ben, qual è mio zio.
 EUGENIA
1180Siete voi maritata?
 LENA
 Sono fanciulla ancora
 ma d’esserla son stanca.
 RINALDO
 (Sia malizia o innocenza, ella è assai franca).
 EUGENIA
 D’una grazia pregarvi
1185vorrei, se nol sdegnate.
 LENA
 Dite pur, comandate.
 EUGENIA
 Vorrei nel vostro tetto
 passar per un momento.
 LENA
 Sola passate pur, che mi contento.
 RINALDO
1190Perché sola? Son io,
 pastorella gentile, il di lei sposo.
 LENA
 Davvero? Compatite,
 ho ancor qualche sospetto.
 Perché non la menate al vostro tetto?
 RINALDO
1195Vi dirò...
 EUGENIA
                    Non ancora
 son contratti i sponsali.
 Correr una bugia lasciar non voglio.
 LENA
 Me n’avvidi che v’era un qualche imbroglio.
 EUGENIA
 Deh per pietà vi prego...
 LENA
1200Che sì, che al genitore
 l’avete fatta bella?
 EUGENIA
 Amabil pastorella,
 voi non sapete al core
 quanto altero comandi il dio d’amore.
 LENA
1205(Mi fa pietà). Sentite,
 v’offro l’albergo mio ma con un patto
 che subito sul fatto
 in mia presenza e d’altro testimonio
 si faccia e si concluda il matrimonio.
 EUGENIA
1210Sì sì, ve lo prometto.
 Andiam nel vostro tetto, se vi aggrada.
 LENA
 Precedetemi voi, quella è la strada.
 EUGENIA
 Andiam, Rinaldo amato.
 L’innocente desio seconda il fatto.
 
1215   Che più bramar poss’io?
 Che più dal cielo aspetto?
 Andrò col mio diletto
 la pace ad incontrar. (Entra in casa di Nardo)