Il filosofo di campagna, Milano, Montano, 1762

 SCENA XVII
 
 Camera in casa di don Tritemio.
 
 DON TRITEMIO e LESBINA
 
 DON TRITEMIO
 Che ardir, che petulanza?
 Questo signor Rinaldo è un temerario.
1005Gli ho detto civilmente
 ch’Eugenia è data via!
 Egli viene a bravarmi in casa mia?
 LESBINA
 Povero innamorato!
 Lo compatisco.
 DON TRITEMIO
                              Brava?
1010Lo compatisci?
 LESBINA
                               Anch’io
 d’amor provo il desio,
 desio però modesto;
 e se altrui compatisco, egli è per questo.
 DON TRITEMIO
 Ami ancor tu, Lesbina?
 LESBINA
                                             Da questi occhi
1015lo potete arguire.
 DON TRITEMIO
 Ma chi?
 LESBINA
                  Basta... (Guardando pietosamente don Tritemio)
 DON TRITEMIO
                                  Ma chi? (Amoroso)
 LESBINA
                                                   Nol posso dire. (Mostrando vergognarsi)
 DON TRITEMIO
 Eh t’intendo, furbetta;
 basta, Lesbina, aspetta
 ch’Eugenia se ne vada
1020a fare i fatti suoi
 ed allor pensaremo anche per noi.
 LESBINA
 Per me come per lei
 si potrebbe pensar nel tempo stesso.
 DON TRITEMIO
 Via pensiamoci adesso.
1025Quando il notaro viene,
 ch’ho mandato a chiamar per la figliuola,
 farem due cose in una volta sola.
 LESBINA
 Ecco il notaro appunto;
 e vi è Nardo con lui.
 DON TRITEMIO
                                       Vengono a tempo.
1030Vado a prender Eugenia e in un momento
 farem due matrimoni e un istrumento. (Parte)