Il filosofo di campagna, Londra, 1762, ms.

 SCENA IV
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani, poi LA LENA
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
130con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
135e dipoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno.
140Tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca e il cavolo.
 Non cambierei, lo giuro,
145con piacer delle feste e de’ teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto;
 se foste un poveretto,
150compatirvi vorrei; ma siete ricco,
 avete de’ poderi e de’ contanti;
 la fatica lasciate a’ lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
155fareste meglio a maneggiar la rocca.
 LENA
 Colla rocca, col fuso e co’ famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri; presto
160comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì?
 Eccolo, io ve lo do;
 lo volete? Vi piace?
 LENA
                                      Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
165a caso per la strada
 qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella,
 povera vanarella.
 LENA
 Io non voglio un signor né un contadino,
170mi basta un cittadino. E imito voi.
 Del signor don Tritemio la figliuola
 v’hanno proposta in sposa, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
175con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 L’avete ancor veduta
 Ammogliatevi presto, signor zio,
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
180abbiate carità.
 Io sono un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio;
 vedete, caro zio,
185ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete, m’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 NARDO
190Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina
 ma la vo’ maritar da contadina.
 Ma piano signor Nardo;
195vedo che non pensate
 però come parlate.
 Della città il costume
 sprezzaste con filosofa dottrina
 e sposarete poi la cittadina?
200Questo nome sicuro a dirittura
 m’ha cacciato nel corpo nel corpo
 un poco di paura.
 Ma l’impegno è già fatto.
 Andiam... Ma no... Si tratta d’una moglie.
205Ma ogniuno che lo sa
 di me si riderà, se torno indietro.
 Oh che imbroglio! Oh che impaccio!
 Risolvermi non so, sudo e... m’agghiaccio.
 
    Pensieri a capitolo,
210che abbiamo da fare?
 La femmina è un articolo
 che dà da pensare.
 
    Mi dice l’amore:
 «Contenta il tuo core»,
215l’onore mi dice:
 «Non fare, non lice».
 Che abbiamo da fare?
 Nel cor poverello
 campana a martello
220sentire mi par.
 
    Che dichino, che parlino,
 che gridino, che ciarlino,
 oh questa sì ch’è buona!
 Oh questa sì ch’è bella!
225Io son padrone e quella
 contento vo’ sposar.