Il filosofo di campagna, Verona, Ramanzini, 1760

 SCENA II
 
 LENA e detti
 
 LENA
1180Questa, se non m’inganno,
 di don Tritemio è la figliuola.
 EUGENIA
                                                        Dite.
 Pastorella gentile, è albergo vostro
 questo di dove uscite?
 LENA
                                           Sì signora.
 EUGENIA
 Altri vi son?
 LENA
                          Per ora
1185altri non v’è che io
 ed un uomo da ben, qual è mio zio.
 EUGENIA
 Siete voi maritata?
 LENA
 Son fanciulla ancora
 ma d’esserla son stanca.
 RINALDO
1190(Sia malizia o innocenza, ella è assai franca).
 EUGENIA
 D’una grazia pregarvi
 vorrei, se nol sdegnate.
 LENA
 Dite pur, comandate.
 EUGENIA
 Vorrei nel vostro tetto
1195passar per un momento.
 LENA
 Sola passate pur, che mi contento.
 RINALDO
 Perché sola? Son io,
 pastorella gentille, il di lei sposo.
 LENA
 Davvero? Compatite,
1200ho ancor qualche sospetto.
 Perché non la menate al vostro tetto?
 RINALDO
 Vi dirò...
 EUGENIA
                    Non ancora
 son contratti i sponsali.
 Correr una bugia lasciar non voglio.
 LENA
1205Me n’avvidi che v’era un qualche imbroglio.
 EUGENIA
 Deh per pietà vi prego...
 LENA
 Che sì, che al genitore
 l’avete fatta bella?
 EUGENIA
 Amabil pastorella,
1210voi non sapete al core
 quanto altero comandi il dio d’amore.
 LENA
 (Mi fa pietà). Sentite,
 v’offro l’albergo mio ma con un patto
 che subito sul fatto
1215in mia presenza e d’altro testimonio
 si faccia e si concluda il matrimonio.
 EUGENIA
 Sì sì, ve lo prometto.
 Andiam nel vostro tetto, se vi aggrada.
 LENA
 Precedetemi voi, quella è la strada.
 EUGENIA
1220Andiam. Rinaldo amato,
 l’innocente desio seconda il fatto.
 
    Dopo un’orrida procella
 che alle nubi il sole oscura
 più nel ciel serena e bella
1225spesso l’iride succede
 e co’ raggi il sol si vede
 più ridente scintillar.
 
    Doppo il duolo, affanni e pene,
 spero anch’io col caro bene
1230lieta in pace riposar. (Entra in casa di Nardo)