Il filosofo di campagna, Vienna, Ghelen, [1759]

 SCENA II
 
 RINALDO, NARDO e poi LENA
 
 RINALDO
 Sentimi Pulcinella!
 NARDO
                                      Eccome cà.
 RINALDO
 Batti tu a quella porta.
 NARDO
975A quale porta?
 RINALDO
                              A quella.
 NARDO
 A chissa? Io non la vedo.
 RINALDO
 Finger dei che vi sia,
 in un quadro si batte o in una sedia
 come i comici fanno alla comedia.
 NARDO
980Aggio caputo; ma famme na grazia
 perché da tozzolare aggio alla porta?
 RINALDO
 Perché della mia bella
 voglio godere il volto.
 NARDO
 Ma se qualcuno poi,
985quann’ho battuto io, battisse a me?
 RINALDO
 Fallo, non dubitar, io son per te.
 NARDO
 Oh de casa!
 LENA
                         Chi batte?
 NARDO
                                               Songo io.
 LENA
 Serva sua padron mio.
 NARDO
                                            Chi siete voi
 quella giovine bella?
 LENA
990Io sono Colombina Picciarella.
 RINALDO
 Di Diana cameriera?
 LENA
 Per servir vosustrissima.
 RINALDO
 Deh fatemi il piacere
 chiamatela di grazia.
 LENA
                                         Ora la servo.
 NARDO
995Sienteme Picciriella!
 Venece ancora tu,
 cà se deverterimo n’fra de nuie.
 LENA
 Sì sì, quest’è l’usanza,
 se i padroni fra lor fanno l’amore,
1000fa l’amor colla serva il servitore.
 
    Il padron colla padrona
 fan l’amor con libertà,
 noi andiamo più alla buona
 senza tanta civiltà.
 
1005   Dicon quelli: «Idolo mio,
 peno, moro, smanio, oh dio!»
 Noi diciam senz’altre pene:
 «Mi vuoi ben? Ti vuoglio bene»,
 e facciamo priesto, priesto
1010tutto quel che s’ha da far.
 
    Dicon lor ch’è un gran tormento
 quell’amor che accende il core,
 diciam noi ch’è un gran contento
 quel che al cor n’arreca amore;
1015ma il divario da che viene?
 Perché han quei mille riguardi,
 penan molto e parlan tardi.
 Noi diciam quel che conviene,
 senza tanto sospirar.