Statira, Venezia, Pitteri, 1756

 SCENA IX
 
 ARBACE, LEARCO priggioniero con seguito da una parte, STATIRA dall’altra e detti
 
 Arbace
 Abbiam vinto, o regina.
 Statira
                                              Oh dei! Quel sangue,
 di cui tinte hai le spoglie,
 donde, Arbace, sortì?
 Arbace
                                          Dal fianco mio
 lo trasse nel pugnar lieve ferita.
 Statira
970Principe, oh dei! tu mi ritorni in vita.
 Learco
 Deh regina, pietà.
 Statira
                                    No, non la merti;
 ma quel destin, per cui felice io sono,
 ti assicura la vita e il mio perdono.
 E voi ribelli e voi vassalli arditi
975ad emendar pensate
 con miglior fedeltà le colpe andate.
 Artabano
 Son pentiti e confusi.
 Rosane
                                          In me, regina,
 cede alla tua virtù l’usato orgolio
 e dell’ire malnate ora mi spoglio.
 Statira
980Scegli lo sposo tuo.
 Rosane
                                     Learco adoro;
 libero da quei lacci a te lo chiedo.
 Learco
 Tante gioie non merto.
 Statira
                                            Io tel concedo. (A Rosane)
 Artabano
 (Misero me! Perduta
 ha la speranza sua tutta il mio cuore
985e tacere mi sforza il mio rossore). (Da sé)
 Statira
 Vieni, Arbace, al mio sen; vieni e ricevi
 nella mia destra il premio
 della tua fedeltà.
 Arbace
                                 Felice appieno
 teco sarò, se vi acconsente il regno.
 Learco
990Persia non ebbe re di te più degno.
 coro
 
    Forma i nodi il dio d’amore;
 vuol dispor del nostro cuore
 la sovrana autorità.
 
    E ad amore invan contende
995il destin con sue vicende
 l’orgogliosa umanità.
 
 Fine del dramma