Statira, Venezia, Pitteri, 1756

 SCENA II
 
 ROSANE, poi STATIRA
 
 Rosane
 Vedrò pur una volta
 quest’altera tremar; del folle orgoglio,
 dell’ingiusto amor suo vuo’ che si penta.
 Statira
805Ah Rosane crudel, sarai contenta.
 Rosane
 Che vuoi tu dir?
 Statira
                                 Che de’ tuoi sdegni alfine
 mirerai la mercé, che il tuo Learco
 appreso ha dal tuo cuore
 l’arte d’esser ingrato e traditore.
 Rosane
810Mi rimproveri a torto; e qual ragione
 teco ho d’esser sdegnata?
 Statira
                                                 Invan t’ascondi,
 meco invano t’infingi e ti confondi.
 Sappilo per tua pena; adoro Arbace
 e, se il fato crudel di lui mi priva,
815sposo tuo non sarà per finch’io viva.
 Rosane
 Lode al ciel, da te stessa
 che ami Arbace si svela e si confessa.
 Sia di me, sia di te, credi, o regina,
 poco o nulla mi cal; vuo’ che dal mondo
820mi si renda giustizia e sia l’arcano
 pubblico alfin che tu celasti invano.
 
    Mentir può il labbro
 che amor nasconde
 ma l’occhio parla,
825ma si confonde
 di chi ben ama
 sovente il cor.
 
    Pietà soverchia,
 soverchio sdegno
830è chiara prova,
 sicuro segno
 che altrui palesa
 l’interno amor. (Parte)