Statira, Venezia, Pitteri, 1756

 SCENA VIII
 
 STATIRA, poi ARBACE
 
 Statira
 Vuol partir se non l’odo? Amor sarebbe
 l’intoleranza sua? Numi, foss’egli
690a parte del mio cor! Mi prevenisse
 con accenti pietosi! Eccolo, oh come
 di tremor improviso
 s’empie il cor mio nel rimirarlo in viso!
 Arbace
 Finalmente, o regina,
695m’è concesso il vederti e deggio forse
 ai merti d’Artabano
 questo regio favor. Ma d’un sol guardo
 non mi degna Statira? In che t’offese
 l’innocente mio cor?
 Statira
                                        Oh dio!
 Arbace
                                                         Sospiri?
700Che t’affligge, o regina? A me palesa
 ciò che chiudi nel seno. A consolarti
 forse inutile mezzo
 Arbace non sarà. Parla; fai torto
 alla mia fedeltà, se il ver m’ascondi.
705Che t’affligge, o regina? Oh dio! Rispondi.
 Statira
 Principe... se il mio cor... se gli occhi miei...
 Sappi... E pur tu dovresti... (Ah che mi toglie
 la favella il rossor).
 Arbace
                                     Ma qui, Statira,
 non v’è alcun che ci ascolti. Io ti prometto
710silenzio e fedeltà. Qual importuno
 timor può consigliarti
 il tuo cor a celarmi? Ah se mai fosse
 qualche tenero amor quel che t’opprime,
 scoprilo pur; non arossir. Perdona
715se cotanto mi avanzo. Io da’ tuoi lumi
 interpreto il tuo cor. Su via, Statira,
 confidati ad Arbace.
 Statira
                                        Ahimè! Qual gelo
 per le vene mi scorre! Ah chi mi strigne,
 chi mi lacera il cor! Più non resisto;
720io mi sento morir. (Siede presso al tavolino)
 Arbace
                                     Deh mi concedi,
 bellissima regina,
 che per questo dolor certo mi renda
 dell’interno amor tuo. Svelami, oh dio!
 svelami il caro oggetto
725di quel tenero affetto
 che palesi cogli occhi e ascondi in seno.
 Statira
 Deh per pietà non tormentarmi almeno. (Si copre colla mano la faccia posandosi al tavolino, frattanto Arbace scopre colà il foglio da lei scritto; lo prende e legge furtivamente in disparte)
 Arbace
 Stelle! Che leggo mai! Regina, alfine
 ho scoperto il tuo cor.
 Statira
                                          Come?
 Arbace
                                                          Tu stessa
730qui non scrivesti?
 Statira
                                    Audace,
 rendimi il foglio mio. Chi ti concesse
 leggerlo in faccia mia?
 Arbace
                                            Credei...
 Statira
                                                              Non odi?
 Rendimi tosto il foglio.
 Arbace
                                            Eccolo. Oh dei!
 Perché tanto rigore?...
 Statira
735Vanne, incauta cagion del mio rossore. (Lacera il foglio)
 Arbace
 Perché ostentar, regina,
 meco tanto rigor? Perché vietarmi
 di scoprir la tua fiamma? Ingrato, infido
 dubiti ch’io ti sia? Fai torto, o bella,
740al tuo volto, al mio cor. Temi Rosane?
 È vano il tuo timor; di Dario il cenno
 interpretasti in mio favor tu stessa.
 Che ti resta, o Statira,
 che ti resta a temer?
 Statira
                                        Deh per pietade,
745prence, lasciami sola. A ricompormi
 un momento ti chiedo. Io non mi pento
 d’averti incautamente
 disvelato il mio cor. Ma nello stato
 in cui mi trovo adesso,
750non so dirti di più. Vanne; perdona
 quest’ingiuria innocente a chi t’adora;
 vanne, mio ben, se tu non vuoi ch’io mora.
 Arbace
 L’obbedirti, regina,
 sia del mio amor il primo segno. Oh come
755parto da te diverso
 da quel ch’io venni a te. Meco non torna
 il mio povero core. Il tuo bel pianto
 me lo trasse dal petto. Ei teco resta,
 ei vive nel tuo sen. Regina, addio;
760non negarmi il tuo cor, se hai teco il mio.
 
    Care luci, luci amate
 che ferite ancor piangendo,
 il cor mio non condannate
 senza speme a sospirar.
 
 Statira
 
765   Non piangete, o luci belle,
 che già vinta a voi mi rendo.
 Deh tornate, o chiare stelle,
 il bel lume a serenar.
 
 Arbace
 
    Idol mio.
 
 Statira
 
                       Mi lascia, o caro.
 
 Arbace
 
770Perché mai?
 
 Statira
 
                          Non tormentarmi.
 
 a due
 
 Crudo ciel, destino avaro,
 scenda un raggio a consolarmi,
 ah, non farmi delirar!
 
 Arbace
 
    Dimmi almen...
 
 Statira
 
                                   Lasciami sola.
 
 Arbace
 
775Mi lusinga, mi consola
 quel vezzoso sospirar.
 
 a due
 
    Solo amor colla sua face
 la mia pace può formar.
 
 Fine dell’atto secondo