Statira, Venezia, Pitteri, 1756

 SCENA VII
 
 Appartamenti di Statira con tavolino e sedia.
 
 STATIRA, poi ARTABANO, guardie sulle porte e paggio
 
 Statira
 Venga Arbace... Ma no; t’arresta. Oh dio! (Al paggio)
 Come al bell’idol mio,
635come potrei svelar l’interno ardore,
 se il timor, se il rossore,
 che dal seno al sembiante or si diffonde,
 m’avvilisce, mi turba e mi confonde?
 Ah se d’Arbace il nome
640tale confusion mi desta in petto,
 d’Arbace, oh dio! che non faria l’aspetto?
 E pur parlar m’è forza,
 se morir non vogl’io. Su via, si parli
 ma col labbro non già. La man supplisca
645della voce all’uffizio e, se mi priva
 di coraggio il rossor, la mano scriva. (S’accosta al tavolino)
 Olà, nessuno audace
 sturbarmi ardisca e più non entri Arbace. (Parte il paggio)
 Destra, coraggio. Una gran parte scema
650di timido rispetto
 poter del proprio affetto (Siede)
 non veduta parlar. «Mio caro Arbace, (Scrive)
 soffri che il grande arcano
 che la voce non può scopra la mano.
655Troppo vago tu sei,
 principe, agli occhi miei,
 per poter non amarti. Abbi pietade
 del misero cor mio. Per te sospira,
 per te, bell’idol mio, piange...»
 Artabano
                                                          Statira,
660perdona se il tuo cenno...
 Statira
                                                Il cenno mio (S’alza)
 si rispetta sì poco?
 Artabano
                                     Ad Artabano
 delle tue regie stanze
 impedito giammai non fu l’ingresso.
 Statira
 Non è il regio voler sempre lo stesso.
 Artabano
665Numi! Qual colpa mia...
 Statira
                                              Basta, che vuoi?
 Spiegati e tosto parti.
 Artabano
                                          Arbace...
 Statira
                                                             Arbace
 forse è quel che t’invia?
 Artabano
                                              Sì.
 Statira
                                                      Che richiede
 il principe da me? Fido Artabano,
 dimmi, che sperar posso
670dal cuor dell’idol mio?
 Artabano
                                           Grazie agli dei;
 placato è il tuo furor.
 Statira
                                         Non tormentarmi.
 Dimmi; Arbace che vuol?
 Artabano
                                                 Brama vederti.
 Per tuo cenno venia, poi per tuo cenno
 fu il suo passo arrestato. Ei ne stupisce,
675ei si lagna di te.
 Statira
                                Per poco ancora
 fa’ che là si trattenga.
 Artabano
                                          Invan lo speri.
 Statira
 Perché?
 Artabano
                  Perché sdegnato
 Persepoli abbandona. Invan pretendi,
 se vederlo ricusi,
680che il principe alla reggia io più trattenga.
 Statira
 Vanne, vanne, Artabano; Arbace venga.
 Artabano
 Deh non soffrir che invano
 t’offra il destin pietoso
 occasion sì felice...
 Statira
                                    Oh dei! Va’ tosto,
685che, se Arbace mi lascia,
 morirò disperata.
 Artabano
 (Quanto mi costi mai, Rosane ingrata!) (Da sé e parte)