Statira, Venezia, Pitteri, 1756

 SCENA PRIMA
 
 Cortile.
 
 ROSANE ed ARTABANO
 
 Artabano
 Principessa, t’arresta; ah pria che il piede
410sollecito ti guidi all’ara innanzi,
 un consiglio migliore
 sagrificar deh non ti lasci il cuore.
 Rosane
 A qual pro diferir del re, del padre
 l’inviolabile cenno? Oggi Statira
415per me del nume in faccia
 dee pronunciar l’oracolo tremendo.
 Già si appressa il momento e qui l’attendo.
 Artabano
 Che vuol dir, principessa,
 questa nuova favella? Io non ti vidi
420sollecita mai tanto
 di cotesti imenei. Tale ti rese
 il bel volto d’Arbace?
 Rosane
                                         Io son la stessa
 né un bel volto mi cangia. A me sol basta
 sapere il mio destin.
 Artabano
                                        Del tuo destino
425deh permetti, Rosane,
 che ti prevenga un mio pensiero audace,
 tu speri invan se ti lusinga Arbace.
 Rosane
 Artabano, perché?
 Artabano
                                     Perché Statira
 so che d’amor sospira
430e penetrar cercando
 della regina i più segreti ardori
 ho ragion di temer che Arbace adori.
 Rosane
 E di Dario la legge
 può Statira obliar? Portar sul trono
435del nume in faccia il contumace affetto?
 Se di quel rio sospetto,
 che m’accendi nel sen, ragion non vedo,
 no, perdona, Artabano, io non lo credo.
 Artabano
 Ma che perdi in Arbace? Un che non ama
440il tuo volto, il tuo cor, che non ti stima,
 che non cura di te. Quanto, Rosane,
 quanto meglio impiegato
 sarebbe l’amor tuo con chi ti adora!
 Rammentati che ancora
445io sospiro per te, ch’io son lo stesso...
 Rosane
 Eh, non è tempo adesso
 di parlarmi d’amor; che a me si tolga
 lo sposo mio da una rivale aspetta...
 Artabano
 Poi, che parli d’amor?
 Rosane
                                           No, di vendetta.
 
450   Non mi parlar d’affetto;
 non domandar mercede,
 fin che m’innonda in petto
 sdegno, vendetta il cor.
 
    Placida lieta calma
455facile non succede
 a serenare un’alma
 dove regnò il furor. (Parte)