Statira, Venezia, Pitteri, 1756

 SCENA VIII
 
 ARBACE con foglio in mano e dette
 
 Arbace
 Perdonami, regina,
 se importuno m’avvanzo...
 Statira
                                                   E che ti sprona
255sollecito a tornar? La brama forse
 di rimirar l’amabile sembiante
 della sposa gentil tenero amante?
 Arbace
 Altra cagion per or mi guida. Il foglio,
 ch’io ti presento, ha registrati i merti
260di quei che han meco e combattuto e vinto.
 Prove diero col sangue
 di coraggio e valor, d’amor, di fede;
 ed aspettan da te premio e mercede.
 Statira
 Resti il foglio ad Arbace e tu disponi
265a pro di chi n’è degno
 del favor di mia mano e del mio regno.
 Arbace
 Questa novella prova
 di benefico cor...
 Statira
                                 Prence, opportuno
 giugni a un disegno mio più che non credi.
 Arbace
270Eccomi a’ cenni tuoi.
 Statira
                                         M’ascolta e siedi.
 Rosane
 Regina, io partirò?
 Statira
                                     No, restar devi.
 Vuo’ vederti in amore o avvinta o sciolta.
 Rosane
 (Qual cimento al mio cor?) (Da sé)
 Statira
                                                     Siedi e m’ascolta. (A Rosane. Tutti seggono)
 Dell’estinto sovrano il germe imbelle
275stretto è ancor tra le fasce e, finch’ei giunga
 a quella età cui più convenga il trono,
 del destin della Persia arbitra io sono.
 So che de’ vostri affetti
 dispose il genitore, il re dispose;
280ma se in mia man depose
 di far felici ed infelici il modo,
 unir poss’io, poss’io disciorre un nodo.
 Meco apritevi il sen. Venga in cimento
 l’ambizion coll’affetto;
285e alla pace del cor ceda il rispetto.
 Tace ogniuno di voi? Su via, per tema,
 per soverchio rossor se il labbro è tardo,
 alzate i lumi e vi palesi il guardo.
 Fisi al suol li tenete? Ho inteso, ho inteso,
290quel muto ragionar disse abbastanza.
 Libertà mi chiedete?
 Sì libertade avrete.
 Pietà risento; i vostri voti accolgo
 e dal nodo forzato io vi disciolgo.
 Arbace
295(Non si scuote Rosane; il soffre in pace). (Da sé)
 Rosane
 (Non mi guarda il superbo; ascolta e tace). (Da sé)
 Statira
 Ma il silenzio importuno
 rompasi alfin.
 Arbace
                             Se ad un monarca estinto
 rispettoso vassallo il ciglio inchina,
300di vivente regina al cenno augusto
 chinar la fronte e rassegnarmi è giusto.
 Rosane
 Facile è il rassegnarsi
 a un comando che piace.
 Parla Dario al cuor mio, se estinto giace.
305No, regina, non serbo
 il cuor sì poco dell’onor geloso
 né scegliere lo sposo
 col consiglio vogl’io del proprio affetto.
 Quel che il padre mi scelse, io quello accetto.
 Statira
310Odi, Arbace, la saggia (Ad Arbace)
 che sposarti desia del cuore ad onta?
 Arbace
 Nozze infauste, dolenti,
 ministre di martir, non di contenti!
 Statira
 Odi i tristi presagi (A Rosane)
315d’un forzato imeneo che ti prepara,
 più che l’amore, un forsennato orgoglio?
 Rosane
 Comanda il padre ed obbedirlo io voglio.
 Statira
 Lodo la tua virtù ma non consento
 ch’ella giunga a tradirti. Un sol momento
320fingi che a nuova vita
 ritorni il padre tuo, fingi ch’ei stesso
 ti lasci in libertà. Figura, Arbace,
 che il tuo re ti disciolga; i voti vostri
 quai sarebbono allor? Chieder sapreste
325altre nozze novelle, al cuor più grate?
 Cangereste destin? Su via, parlate.
 Arbace
 Ti risponda Rosane.
 Statira
                                       Ella pur tace.
 Rosane
 All’immagine tua risponda Arbace.
 Statira
 In me Dario vi parla. Egli in me regna
330ed io regno per lui. Posso le leggi
 libera interpretar, corregger posso
 a pro vostro il decreto. A me chiedete
 le odiate rivocar leggi inumane.
 Rosane
 Sveli Arbace il suo cor.
 Arbace
                                            Parli Rosane.
 Statira
335Basta, basta per or; fra brevi istanti (S’alzano)
 di Persepoli in faccia esser dee noto
 di Rosane ed Arbace il comun voto.
 Nel momento in cui deggio
 sceglier lo sposo mio, scegliere al trono
340del picciol Dario il regnator custode,
 l’amor mio studierà, sperate, amici,
 che vi renda il destin lieti e felici.
 Qual m’unisca interesse
 al vostro ben voi non sapete ancora.
345Venite, o figli, e lo saprete allora.
 
    Infelice cuor amante,
 ho pietà del tuo dolore. (Ad Arbace)
 No, non merta un bel sembiante
 così barbara mercé. (A Rosane)
 
350   (Sventurata più di te
 l’alma mia dubbiosa freme
 fra il timore e fra la speme,
 che risolvere non so). (Da sé)
 
    Fido prence, (Ad Arbace) dolce amica... (A Rosane)
355(Ah non so ciò ch’io mi dica.
 Più consiglio in sen non ho). (Parte)